«Chi accoglie me, non accoglie me» - Mons. Trevisi e la teologia pastorale
di Stefano Sodaro
Probabilmente scorre via nella lettura, senza troppa considerazione, anzi forse senza nessuna considerazione particolare, la chiusa del brano evangelico previsto oggi nel dal Lezionario secondo il Rito Romano. Quel finale del versetto 37 del capitolo 9 di Marco, che merita riportare comunque per intero: Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato.
Tutta la concentrazione si appunta sulla simpatia – al tempo inaudita – del Maestro di Nazaret per un bambino, ma il seguito di quelle parole rischia di far schiantare al suolo un intero apparato teologico, che, in qualche modo – e absit iniuria verbis – ha per così dire “idolatrato” il Gesù storico, il quale respinge invece via da sé l’attenzione, ma proprio completamente, per dirottarla altrove, verso Qualcuno (o Qualcuna) d’Altro. “Chi accoglie me, non accoglie me”.
Qualche settimana fa don Severino Dianich ha ben ritratto “il tradimento dei teologi” – e, non a caso, non “delle teologhe” -, lamentando «che i teologi di allora, a differenza di quel che accade oggi, mordevano davvero sull’opinione pubblica del proprio tempo, se in un certo giorno degli anni Settanta la Repubblica di Scalfari dedicava un’intera pagina all’intervista del vicepresidente dell’ATI di allora, condotta da Domenico Del Rio, uno dei migliori vaticanisti della storia del giornalismo.».
Eppure spazio per la teologia ci sarebbe dappertutto, se solo non si ignorasse – appunto – la provocazione profonda delle Scritture, ad esempio evitando di pensare a cosa mai potrebbe voler dire accogliere un Cristo che, raccolta l’attenzione, la devia e la rifrange su chi l’ha mandato, su un Altro, o un’Altra, sconosciuto/a. Sembra quasi fastidiosa simile ammonizione.
Questo pomeriggio, nella Chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Taumaturgo, in pieno centro, il Vescovo di Trieste mons. Enrico Trevisi ha consegnato alla Diocesi la sua seconda Lettera Pastorale, intitolata Io sono con te.
Scrive a pag. 18 della Lettera mons. Trevisi: Se la Fede non si rigenera, degenera: sa di passato ammuffito.
Qui è come sintetizzata la novità dell’episcopato del presule triestino: la centralità della dimensione pastorale della fede ecclesiale.
Dieci anni fa pressoché esatti il rione di Roiano, sobborgo di Trieste – ove ha sede legale il nostro settimanale –, vide sbaragliato l’intero presbiterio parrocchiale, dal parroco a tutti i cappellani, creando una ferita nel tessuto socio-ecclesiale del rione che, sostanzialmente, non si è più rimarginata e non è stata più curata, nonostante l’aggravarsi del quadro relativo alla convivenza territoriale, anche sotto il profilo dell’ordine pubblico. Le ragioni stavano, verosimilmente, nella ritenuta eccessiva prossimità pastorale di quei preti alla gente di Roiano, con pregiudizio, evidentemente ritenuto inaccettabile, delle ragioni del sacro da riaffermare e ristabilire.
Dieci anni dopo, anche se parte ancora un altro cappellano da Roiano verso altra Parrocchia, il riferimento comunitario centrale, l’asse di riferimento vero e proprio, è completamente mutato, se non rovesciato, la direzione quasi invertita, e la comunità ecclesiale cattolica tutta sa di avere nel Vescovo un Pastore che si spende per il bene della Città, prima ancora che della Diocesi intesa come presenza di Chiesa. Una Chiesa a servizio della Città, come intitolava a metà degli Anni Ottanta dello scorso secolo un documento fondativo dell’episcopato di mons. Lorenzo Bellomi, indimenticabile Vescovo del capoluogo giuliano.
Detto in altro modo, e cercando di astrarre dal coinvolgimento personale (ovviamente tutt’altro che raffreddato) del sottoscritto: la teologia pastorale sta di nuovo al centro dell’agire della Chiesa di Trieste e dunque non è più né così significativo, né così drammatico – come invece fu dieci anni fa -, che un prete lasci una comunità parrocchiale e si unisca ad un’altra, perché il Vescovo che ha disposto lo spostamento è colui che insegna che “se la Fede non si rigenera, degenera: sa di passato ammuffito”.
La Chiesa Locale ha una “sufficienza teologica” – ammesso (e non concesso) sia lecito esprimersi così – che le comunità parrocchiali non hanno. Le Parrocchie non sono, direbbero i canonisti, “di diritto divino”. La Chiesa locale sì. E mons. Trevisi insegna a saper apprezzare la dimensione intensamente e intrinsecamente teologica del vivere la Chiesa in un certo luogo, nella specie Trieste. Che poi Trieste si articoli in rioni e parrocchie è meno rilevante di una coscienza civica ed ecclesiale cittadina e diocesana, pena una specie di “sovranismo parrocchiale” di cui francamente non si sente proprio alcun bisogno.
Compongono il volto di Gesù di Nazaret, per chi ci crede, i volti assiepati di donne, uomini, bambini, bambine, ragazzi, ragazze, studentesse, studenti, anziane e anziani. “Chi accoglie me, non accoglie me”. Mons. Trevisi annuncia il Vangelo di oggi, proprio di questa domenica, pubblica la sua Lettera Pastorale, e ripete così un profondo ammaestramento cristologico, che per Trieste è come aria di Bora.
Buona domenica.