Guai a voi!

Caronte, “Guai a voi, anime prave” - illustrazione di Gustave Doré (1857) per

La Divina Commedia - Inferno - Tavola 9 (Canto III)

- immagine tratta da commons.wikimedia.org

Sono stato contestato per aver scritto che Gesù non ha mai minacciato nessuno e non ha mai usato violenza (cfr. l’articolo Il diavolo: essere spirituale invisibile o uomo in carne e ossa? O anche l’articolo Simon Pietro, nn. 473 e 478 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-473---7-ottobre-2018/il-diavolo-essere-spirituale-invisibile-o-uomo-in-carne-e-ossa e https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-478---11-novembre-2018/simon-pietro).

Mi si dice che ho dimenticato, ad esempio, tutti i casi in cui Gesù minaccia direttamente dicendo “Guai a voi!”

Ho dimenticato che in Mc 12, 38-48 Gesù dice espressamente che gli scribi riceveranno condanna più severa.

Ho dimenticato soprattutto il caso del fico maledetto in cui Gesù passa dalla minaccia ai fatti perché il fico si secca (Mt 21,19s).

Ho dimenticato il caso in cui Anania e Saffira cadono stecchiti per aver cercato di frodare la prima comunità cristiana (At 5, 5-10): posto che tutte le azioni ad extra (all’esterno della Trinità) devono essere attribuite alla tre Persone divine insieme, anche Gesù – come seconda persona della Trinità, e non solo lo Spirito santo – resta coinvolto in questa punizione fatale.

La carne al fuoco è davvero tanta, e per prima cosa mi chiedo (senza saper rispondere) quale sarebbe il criterio in base al quale le Persone trinitarie agiscono ora all’unisono, ora singolarmente.

Se, ad esempio, con lo Spirito santo che ammazza Anania e Saffira (At 5, 3.9) ha necessariamente collaborato anche Gesù, come mai solo Gesù si è incarnato e non anche lo Spirto santo con lui? Nel Credo si recita che Gesù Cristo si è incarnato solo per opera dello Spirito santo: è stato forse dimenticato che le Persone trinitarie agiscono necessariamente all’unisono? Ma se agiscono necessariamente all’unisono, l’incarnazione deve essere avvenuta anche per opera dello stesso Cristo, seconda Persona della Trinità. Aspetto risposte, se qualcuno sa darmele.

In attesa che qualcuno che ne sa più di me mi risolva questo dilemma, cominciamo pure con i tanti casi in cui Gesù avrebbe minacciato varie categorie di persone sorde al suo insegnamento, col famoso “Guai a voi! Farisei, ricchi, ecc...”

È vero, nella versione italiana sta scritto proprio “Guai!”, ma non si tratta necessariamente di una traduzione corretta: siamo, come spesso accade, davanti a un termine che può essere inteso in modo diverso. Non dico che l’interpretazione da me preferita sia l’unica possibile; dico semplicemente che esistono altre interpretazioni logiche possibili oltre a quella che ci è stata insegnata e che evidenzia un Dio sinistro e assai poco amorevole. Eppure, come si è ormai detto più volte, l’unica definizione di Dio che si trova nel Nuovo Testamento è che Dio è amore (1Gv 4, 8).

Ancora oggi c’è chi è incapace di vivere senza un dio che deve per forza minacciare e far paura se vuol essere credibile, ma ci sono altri che pensano che Dio preferisce essere amato piuttosto che temuto (Daniélou J.). Ed io preferisco aderire a questa seconda linea dove l’azione di Gesù non è mai distruttiva, ma sempre vivificante, anche se non posso negare che chi parteggia per il Dio biblico tremendo e violento fino al sadismo possa trovare vari appigli nelle sacre Scritture.

Ebbene, come mai si ritiene che l’evangelista presenti delle minacce (Guai!), quando non fa cenno alcuno alle punizioni? Cosa dice una mamma al bambino? “Guai a te se fai questo, perché ti arriva una scapaccione”: la minaccia è accompagnata dalle conseguenze nel caso di disobbedienza. Nella Genesi Dio pone il divieto ad Adamo di mangiare il frutto dell’albero della conoscenza, e prevede, in caso di disobbedienza, la morte (Gn 2, 16s.). E qui mi basta ricordare che non minaccia l’inferno eterno.

L’espressione “Guai!” che troviamo nelle Scritture è in greco οủαὶ (e corrisponde all’ebraico hôi), e corrisponde il più delle volte al lamento funebre (Maggi A.). Ad esempio: “Depose il cadavere nella propria tomba; ed egli e i suoi figli lo piansero, dicendo: “Ahi [in greco appunto: οủαὶ], fratello mio!” (1 Re 13,30; Ger 22,18), non “Guai!”. È la stessa parola con la quale i profeti denunciavano le ingiustizie sociali e la rovina legata ad esse (cfr. Os 7,13; Ab 2,6.12.19; Is 5,8; 10,1).

Nel vangelo Gesù si rivolgerà con la stessa espressione “alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni” (Mt 24,19; Mc 13, 17). Qui mi sembra chiaro che non può trattarsi di una minaccia, ma di un lamento per la loro triste sorte. Povere disgraziate, che male hanno fatto? Le dovrebbe forse minacciare perché sono rimaste incinte? In effetti c’è stato anche chi ha sostenuto che la persona maritata si dà pensiero delle cose del mondo, mentre chi non lo è cerca le cose di Dio (1Cor 7, 34), per cui sarebbe meglio che le donne restino vergini; ecco perché “Guai!” alle donne incinte e che allattano (in questi termini sembra porsi san Girolamo, La perenne verginità di Maria - Contro Elvidio). Ma non c’è catechismo o documento vaticano o passo del vangelo che possa farmi accettare una simile idea, essendo a mio avviso inaccettabile l’idea di un Dio che, avendo fatto proprio lui l’uomo di carne e spirito, poi pretenda che l’Uomo si comporti come fosse puro spirito. Concordo con l’idea che più l’Uomo è umano, più si divinizza; più si disumanizza e meno riuscirà a elevare la materia. Pertanto, anche in questo passo, ritengo che Gesù non stia minacciando le donne non vergini che non si sono sufficientemente spiritualizzate, ma le piange perché purtroppo sa bene che molti eserciti usavano sventrare le donne incinte per uccidere il feto e cancellare così le future generazioni. E Gesù prevedeva che cosa analoga sarebbe accaduta nel prossimo futuro.

Anche verso i ricchi Gesù non usa parole di minaccia, ma parole di pianto. Li piange come morti. “Ahi voi ricchi!” Abbiamo visto altre volte che Gesù vuole collaboratori attivi, non credenti infantili. Il ricco è una persona che rimane in una condizione infantile perché, come un bambino piccolo, trattiene facilmente tutto per sé. Tutto è suo. E allora Gesù non sa che farsene di persone infantili (Maggi A.), mentre sa bene che per questo loro egoismo avranno difficoltà a cambiar vita (convertirsi) e salvarsi.

Lo stesso quando denuncia con sdegno l’ossessione degli scribi e dei farisei di apparire sempre puri e immacolati, mentre in realtà nascondono interiormente ogni genere di malvagità: “Ahi voi, scribi e farisei, teatranti” (Mt 23, 15-29), perché mentre vi presentate come modelli di perfezione religiosa siete veicolo d’impurità (Maggi A.).

Allora, perché mai nella versione italiana si legge “Guai!” e non “Ahi”? Il nostro “Guai!” nasce dalla traduzione della Vulgata latina, dove venne usata la parola “vae”: e chi non si ricorda di aver studiato a scuola la minaccia di Brenno, capo dei Galli, dopo l’umiliante sconfitta dei Romani? “Vae victis!”, “Guai ai vinti!” Poi però, per fortuna dei Romani, arriverà Furio Camillo che metterà le cose a posto.

Sennonché la parola “vae” anche in latino può essere espressione di angoscia, tipo “Vae me!” che significa “povero me!”, “ahimé!” e non certo “Guai a me!”.

La preferenza della minaccia rispetto al lamento si spiega solo con l’imperante teologia capace di vedere sempre e solo un dio irato, vendicativo e minaccioso, ma incapace di vedere un Dio-Amore.

Certo, ultimato il settenario degli οủαὶ, il successivo capitolo inizia con «Serpenti, razza di vipere, come potete fuggire alla condanna della Geenna?» (Mt 23, 33). La frase ricalca la veemenza di Giovanni Battista: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?» (Mt 3, 7). Ma mentre il Battista parla espressamente di ira divina che sta per abbattersi sui peccatori, Gesù non parla mai di ira divina; si chiede ad alta voce: “poveri voi per tutto il vostro comportamento religioso deviato; come pensate di non finir male se non cambiate registro? Se non vi convertite?” Ripeto che non sta minacciando la rabbiosa vendetta divina, ma prevede facilmente la seconda morte nell’inceneritore di Gerusalemme: la Geenna. E su cosa fosse veramente la Geenna si è già parlato nell’articolo sull’Inferno, al n. 467 di questo giornale (https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-467---26-agosto-2018/inferno). In questo stesso senso va intesa anche la minacciata condanna per gli scribi che amano i primi posti e i vestiti sgargianti (Mc 12, 40).

È vero, anche Anania e Saffira cadono stecchiti davanti a Pietro quando si scopre il loro imbroglio (At 5, 1-10), ma ciò avviene prima della sua conversione ad opera del centurione pagano, quando cioè Pietro non aveva ancora compreso il nuovo messaggio di Gesù e prevaleva in lui (come in tanti altri) l’immagine biblica del Padreterno che punisce inesorabilmente. C’è qui un chiaro parallelismo biblico perché, nella Bibbia, chi privilegia il proprio interesse rispetto a quello collettivo veniva espressamente punito, come venne punito il clan di Acan (Gios 7 e 8): l’arricchimento illecito di un clan danneggiava infatti gli altri, per cui Dio – tramite Giosuè, - li fece lapidare tutti. Dunque, chi cerca di arricchirsi senza badare alle condizioni degli altri è dannato (Plescan G., Inferno, Purgatorio, Paradiso, ed. Claudiana, 2000, p.48s.), viene punito e muore.

Ma si può anche pensare che la coppia muore perché col cuore diviso non si può vivere: occorre unità. Il cuore si spezza quando lo si divide fra Dio e mammona. Un’ulteriore interpretazione, invece, sostiene che Pietro capisce che i due coniugi gli stanno mentendo, e fa loro presente che stanno mentendo non a lui ma allo Spirito che guida la comunità, perché la comunità è incarnazione dello Spirito: dicendo che Anania muore, s’intende che gli viene meno la vita della comunità (così la Scuola Biblica di Montegiove di Fano, Didachè, Corso a cura di Frigerio S.). Questa spiegazione mi lascia però perplesso perché il testo dice anche che tutta la comunità rimase spaventata per questa morte (At 5, 5), il che poco si concilia con una semplice esclusione dal gruppo.

Ben può essere allora che Pietro fosse convinto che la morte dei due fosse da attribuire allo Spirito santo, e trasmettendo questa sua convinzione abbia spaventato la comunità. Nel Nuovo Testamento, infatti, Pietro si avvicina solo per gradi alla nuova immagine di Dio che è solo Amore, sempre buono e sempre misericordioso, e alla fine sarà convertito grazie a un impuro pagano (vedi quanto detto nell’articolo Gesù non chiede di amare Dio, al n.483 di questo giornale): la lettura degli Atti degli Apostoli è interessantissima per far capire la difficoltà enorme che ha avuto fin dall’inizio la comunità cristiana a comprendere l’insegnamento di Gesù. Quindi si può capire anche la difficoltà nello staccarsi dall’immagine di un dio vendicativo e violento com’era il dio biblico.

L’ho ormai detto più volte: se arriviamo alla conclusione che l’amore umano (ad es. quello di una mamma) può essere migliore dello strombazzato amore di Dio, è scontato che, quando l’uomo si scopre migliore del dio al quale viene invitato a credere rifiuta questo dio che gli sembra inferiore a noi umani nella capacità di amare.

“Ma come la mettiamo con l’inquietante episodio della maledizione del fico?” (Mt 21, 18-22 Mc 11, 12-14), mi chiede un altro contestatore, ritenendo così di confutare la tesi secondo cui Gesù non avrebbe fatto mai del male a nessuno.

Lo conoscete tutti l’episodio del fico: Gesù sta camminando, ha fame, vede un fico, trova soltanto foglie e non frutti da mangiare, lo maledice e il fico si secca fino alle radici.

Certo che c’è da aver paura di un tipo così: quando gli girano… Ma l’evangelista Marco, ancor più perfidamente di Matteo, dice: “ma non era quella la stagione dei fichi!” (Mc 11, 13). C’è chi – come il noto filosofo inglese Bertrand Russel - pone questo racconto fra i motivi del proprio rifiuto verso Cristo, il cristianesimo e la Chiesa, visto che l’albero non ha chiaramente nessuna colpa. L’unica spiegazione coerente l’ho trovata, ancora una volta, nel biblista Alberto Maggi, il quale opportunamente ricorda come il suo primo impatto col brano fu questo: o è scemo Gesù che cerca frutti in una stagione in cui il fico non fa frutti, o è scemo l’evangelista che fa passare Gesù per pazzo pericoloso.

L’episodio va in realtà inserito nello schema del trittico, che è un espediente letterario (Maggi A.; Mateos J. e Camacho F.) per cui il brano va spiegato in base a quel che si trova nelle vicinanze. Nella pittura, il trittico è formato da un grande quadro centrale con due tavole laterali più piccole. Quello che è raffigurato negli sportelli laterali non ha senso compiuto e non si capisce se non in relazione al quadro centrale. Nello scritto c’è una introduzione, uno sviluppo centrale e poi una sorta di riassunto. Infatti, anche nell’episodio del fico c’è un quadro centrale che è quello importante, e fa comprendere quello che precede e quello che segue: il quadro centrale è la cacciata dal Tempio; l’episodio del fico sta nel primo e nel terzo pannello laterale.

Allora nel primo pannello, quello che precede il quadro centrale, Gesù vede il fico. Il fico non è un albero qualunque: insieme alla vite, il fico rappresentava il popolo di Israele (Ger 5, 17; Os 2, 14; Os 9, 10: Zac 3, 10). Gesù cerca un frutto, ma trova soltanto foglie, cioè soltanto splendore esterno, ma dietro a questo appariscente splendore di foglie si nasconde la sterilità. Allora Gesù non maledice il fico, ma mette in guardia i discepoli: “che nessuno mangi più di questo albero” (Mc 11, 14). Il fico rappresenta l’istituzione religiosa giudaica che era tutto splendore ma niente frutto, perché infedele alla sua missione (Mateos J. e Camacho F.). Segue la scena centrale. Gesù entra nel Tempio, la dimora di Dio in terra secondo la religione, e sbaracca tutto e tutti, venditori e compratori con tutte le loro mercanzie (Mc 11, 15-19): Gesù non va a purificare il Tempio, lo va ad eliminare, perché non tollera che il popolo venga sfruttato in nome di Dio, visto che il Padre di Gesù dà gratuitamente senza chiedere mai nulla, avendo già tutto. Quindi Gesù priva quel luogo sacro del culto, cioè della linfa vitale che lo teneva in vita. Terzo pannello: Gesù ed i discepoli escono dal Tempio e trovano il fico seccato fino alle radici. Qual è il significato? Il fico diventa l’immagine del Tempio, dell’istituzione religiosa giudaica. Una volta che l’apparato religioso non viene più alimentato dalle offerte, dai sacrifici (ricordate l’episodio della povera vedova che si priva fin dell’essenziale, nella convinzione di dover offrire al Tempio? – Mc 12, 42), per quanto bello all’apparenza con tutte quelle sue foglie, si secca fino alle radici.

Si obietterà che Pietro è fermamente convinto che il fico si sia seccato a causa della maledizione di Gesù (Mc 11, 21). Qui, Pietro lascia semplicemente vedere il suo solito atteggiamento: chiama per la seconda volta Gesù Rabbi, titolo che attiene alla tradizione del giudaismo, dimostrando di essere sempre ancorato alle sue vecchie posizioni: fa infatti notare a Gesù il potere della sua parola, insinuando (ecco di nuovo satana) che potrebbe annientare i suoi nemici senza dover affrontare la morte, come del resto tutti si aspettavano dal Messia davidico (Mateos J. e Camacho F.).

E cosa vuol dire che non era la stagione dei fichi? Dio aveva fatto un patto con il suo popolo e il patto era questo: “Io, Dio, vi do le mie leggi; se voi le osservate io mi prendo cura di voi”. Cosa sarebbe dovuto accadere? Che i popoli circostanti, che avevano ciascuno le proprie divinità, avrebbero creduto al Dio di Israele, perché avrebbero visto che lì regnava la giustizia e, soprattutto, che nessuno in quel popolo che adorava Yhwh era bisognoso (Dt 15, 4): quindi sarebbero rimasti convinti che il Dio di Israele era il più grande. Gesù viene e chiede conto di questa alleanza.

Nella lingua greca esistono due termini che noi traduciamo con un’unica parola (tempo): uno è kronos (da cui cronometro, cronologia) che è il tempo che si misura con l’orologio, che scorre e si consuma come le ore del singolo giorno, o il tempo delle stagioni; l’altro termine, che è quello che qui adopera l’evangelista, è kairòs.

Kairos era una divinità, era quel giovanetto che aveva un ciuffo di capelli soltanto sulla fronte e veniva incontro correndo. O lo si afferrava al volo prendendolo per il ciuffo o altrimenti era troppo tardi perché dietro non aveva capelli o non lo si poteva più afferrare. Kairos è l’attimo fuggente: quindi, se si perdeva l’unica occasione di prenderlo al volo nell’esatto momento in cui arrivava, non si aveva una seconda possibilità. L’espressione “prendere l’occasione al volo”: deriva proprio da questo kairos. Allora il termine kairos lo dobbiamo tradurre più propriamente con occasione, non con stagione di fichi o tempo dei fichi, che fa invece pensare al kronos. L’occasione propizia per dare frutto era stata offerta al popolo con la prima alleanza; ma l’occasione era ormai passata ed era stata persa e non si vedeva alcun frutto di giustizia. Come già denunciato dai profeti la vigna dava uva selvatica (Is 5, 4), e dove Dio si aspettava giustizia ha trovato assassinii e violenze (Is 5, 7). Anzi, qui l’ingiustizia viene praticata nel Tempio con l’aggravante di farla in nome di Dio. C’è una ingiustizia esercitata in nome di Dio dalla stessa istituzione religiosa che deturpa così il volto di Dio. Gesù è venuto a cercare il frutto, ma non lo trova: “fatemi vedere dove sono i fichi. Il tempo è scaduto, non c’è più altro tempo”.

L’istituzione religiosa è splendore all’esterno, nelle cerimonie; ci sono solo belle foglie che sembrano promettere bene. Ma il frutto della giustizia dov’è? Questo Gesù non lo tollera, e allora elimina l’immagine deformata del dio del Tempio, di un dio che viene messo in mezzo al denaro, che chiede in continuazione: l’idea di offrire a Dio è del tutto assente nel messaggio di Gesù.

Dunque, l’episodio ci ricorda che dobbiamo utilizzare bene il nostro tempo. Non dobbiamo mai dimenticarci del fico maledetto. Faceva già qualcosa: le foglie. Come noi… (Escrivá J.).

Ma anche qui, la rottura con l’istituzione religiosa che falsifica l’immagine di Dio non avviene con punizioni, con tremendi castighi, con violente uccisioni, ma semplicemente rendendosi indipendenti dal suo potere. Il potere si liquefa se la gente non gli obbedisce più. Il potere ha la forza che gli viene riconosciuta dalla gente: se la gente smette di credergli, gli ride in faccia, non porta più offerte, l’istituzione religiosa si secca perché le viene a mancare la linfa vitale. Se l’istituzione si secca, mai più sarà in grado di far nascere buoni frutti. Gesù lo sa e lo dice (in greco, letteralmente,: “non più da te frutto sia per l’eternità” - Mt 21, 19).

Gesù non maledice il fico (questo non viene detto espressamente in nessun brano); invita a non mangiare più i suoi frutti che sono avvelenati. Fuori metafora, vuol dire che essendo l’istituzione religiosa incapace di dare vita ed essendo capace solo di produrre frutti tossici, bisogna prendere le distanze da essa. È inutile cercare qualcosa di buono nell’istituzione religiosa perché è bacata fino alle radici, ha le foglie, ma non darà mai buoni frutti. Quando – dopo la cacciata dal Tempio, - Gesù e gli apostoli passano vicino allo stesso fico lo vedono seccato fin dalle radici (Mc 11, 20). Non l’ha seccato Gesù, ma si è seccato perché la gente, accogliendo l’invito di Gesù, ha smesso di portare le offerte al Tempio, e a quel punto il Tempio si secca fin alle radici.

E allora riusciamo anche a capire cosa, subito dopo, Gesù intende dire (Mc 11, 22) quando assicura che se uno ha tanta fede nella Buona Novella da rendersi indipendente dall’istituzione religiosa, potrà dire a quel monte di togliersi e di gettarsi in mare. Nessun papa, nessun santo è riuscito a spostare un monte e a farlo sprofondare nel mare. Tutti senza fede, in duemila anni? No. Siamo di nuovo di fronte a un’ulteriore metafora (va ricordato che ai tempi del Talmud,V-VII secolo d.C., i rabbini distinguevano fra i rabbini conservatori e i rabbini ‘sradicatori di montagne’, cioè innovatori – Fontana R.): il monte cui fa riferimento Gesù è Sion su cui sorge il Tempio; quel monte s’identifica con l’istituzione religiosa che scomparirà definitivamente senza lasciare alcuna traccia (come fosse sparita in mare), se solo uno è convinto in cuor suo che può tranquillamente rendersi indipendente dall’istituzione ecclesiastica, tutta culto splendido, ma niente sostanza. Il mare (ricordo quanto detto nell’articolo Tu sei Pietro, al n. 479 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-479---18-novembre-2018/tu-sei-pietro) era visto dagli Ebrei come il residuo dell’oceano primordiale, come il luogo del caos (Gn 1,2-7), per cui veniva identificato col male: significa distruzione definitiva e completa. La forza dell’istituzione poggia sull’obbedienza della gente: per questo i capi pretendono sempre obbedienza. Se la gente non obbedisce più è inutile che i capi comandino, è inutile che sbraitino, perché l’istituzione religiosa non ha altra forza se non quella che le viene riconosciuta dagli uomini che le hanno dato la loro adesione. Questo valeva per i sacerdoti del Tempio di allora e vale per i vescovi di oggi.

Quindi Gesù non invita a un atteggiamento di ribellione violenta, non minaccia castighi o ritorsioni, ma sollecita un atteggiamento di serena indifferenza. Hai capito che vogliono comandare? E lasciali comandare! Sai che vogliono obbligarti? Lasciali obbligare. Sai che pretendono di proibire? E lasciali proibire; a noi non interessa. E questi poveri capi, a forza di sgolarsi per comandare, imporre e proibire, se poi non trovano nessuno che osserva…ecco che questo monte (il Sion su cui sorge il Tempio) finisce nel mare. L’azione del fico è simbolica: l’azione concreta è quella che riguarda il Tempio.

E a proposito: oggi forse non si prostituisce più l’immagine di Dio? Non c’è ancora qualcuno nel clero che chiede che si paghi una messa, e con la consegna del denaro il pagatore crede di garantire un futuro migliore al proprio caro defunto? E mammona non ha forse qualcosa a che vedere con lo Ior (vedasi il documentato Nuzzi G., Vaticano S.p.A., ed. Mondolibri, Milano, 2009), che neanche Papa Francesco è ancora riuscito a risistemare? E non c’è più nessun alto prelato nell’istituzione Chiesa che pretende di comandare e di essere obbedito? Anche la nostra Chiesa, se si limita ad essere solo una realtà cultuale, farà la fine del fico maledetto.

Ripeto se crediamo veramente che Dio è amore, non può castigare, perché l’amore può essere soltanto offerto, mentre se viene imposto non si tratta più di amore, ma di violenza. L’amore richiede libertà, per cui è mobile: esattamente il contrario dell’aristotelico motore immobile che anche la dottrina della Chiesa ha utilizzato nella sua metafisica per spiegarci chi è Dio. Ed è proprio questo amore di Dio solo offerto ma mai imposto, manifestato da Gesù, che ha sconcertato e scandalizzato tutti quanti, e continua a scandalizzare ancora oggi. Scandalizza l’idea che per gli impuri peccatori non arrivi un giustiziere, non arrivi un castigatore, ma un salvatore. Eppure “Oggi nella città di Davide, è stato generato per voi un salvatore” afferma fin dall’inizio l’angelo ai pastori peccatori che si aspettano di essere sterminati (Lc 2, 11). E questo metterà in crisi anche il povero Giovanni Battista, che dal carcere riceve notizia delle azioni di Gesù, ma di un Gesù senza la scure che lui aveva invece immaginato: “Sei tu quello che deve venire o ne dobbiamo aspettare un altro? (Lc 7, 18). Io avevo detto che se un albero che non porta frutto il Messia lo taglierà e lo brucerà (Mt 3, 10), e tu vai dicendo il contrario, che se non porta frutto lo si zappetta?! (Lc 13, 8). Io avevo parlato di un Messia che viene a separare i giusti dai peccatori e tu vai a pranzo con i peccatori?!”

Ma, diranno affranti coloro che si considerano unici veri credenti e unici affidabili custodi dell’ortodossia: “se quando pecco Dio non mi castiga più, non c’è più religione”. E in effetti Dio non castiga, per cui non c’è più religione. La parola “castigo” fa parte del bagaglio religioso, ma è assente nel Dio che Gesù ci ha raccontato.

Nella religione persiste questo dio che premia i buoni e castiga i malvagi.

Nel messaggio di Gesù, l’immagine che lui dà di Dio, è quella di un Padre che è amore e l’unica maniera che ha per mettersi in comunicazione con gli uomini è quello dell’amore. Poi questo amore può essere accolto o no, ma questo dipende dagli uomini. Gesù è venuto solo a vivificare, per cui vuol dare un’opportunità a tutti, anche a coloro che Giovanni Battista voleva gettare nel fuoco. Giovanni preannunciava pure che Gesù sarebbe venuto a battezzare in Spirito Santo e fuoco (Mt 3,11: cioè vita per chi accoglie il suo messaggio, e fuoco distruttore per chi non l’accoglie, come ancora oggi afferma il n.1864 del Catechismo). Per Gesù, invece, lo Spirito santo sarà lui simile a un fuoco solo perché arde nei cuori dei discepoli (At 2, 3-4) (Ravasi G.), un fuoco d’amore che afferra, penetra nei cuori chiedendo ogni giorno scelte di assoluta fedeltà, fino al dono totale di sé (Tettamanzi D.).

Anche fra i musulmani e gli ebrei persiste quest’idea di colpa legata alla punizione. Leggiamo la Bibbia: il faraone si crede Dio onnipotente (dovrebbe rappresentare in terra un mondo superiore, ma non rappresentando Dio è in realtà un usurpatore, mentre Mosè - che invece rappresenta l’autorità spirituale - inutilmente lo richiama a essere solo autorità terrena); in tale veste il faraone fa uccidere i primogeniti ebrei, ma alla sua colpa segue il castigo: l’angelo del Signore uccide tutti i primogeniti egiziani (Es 11, 5 e 12, 29): che soddisfazione! Che bella vendetta! Oppure si legga Isaia: un giorno di vendetta per il nostro Dio (Is 61, 2): era questo che tutti gli ebrei si aspettavano, e che ancora molti credenti che si reputano veri credenti ancora oggi aspettano. Vendetta! Tremenda vendetta! Pagherete caro! Pagherete tutto! Curioso come i pii credenti vedano nitidamente il male quando Erode compie la strage degli innocenti, ma non vedano invece alcun male in questo loro Dio che uccide non solo i bambini innocenti di un villaggio, ma di tutto uno Stato.

Anche il Corano non è da meno: «se i colpevoli (che adorano falsi idoli) vedessero, quando si troveranno davanti al castigo, che tutta la forza appartiene a Dio e Dio nel castigare è violento» (sura II, 165 e 211).

Con Gesù, invece, niente di tutto questo: anche l’albero che sembra sterile può forse ancora fruttificare, come Elisabetta che sembrava sterile ed ha invece partorito Giovanni Battista. Al contrario di quel che preannunciava Giovanni Battista, Gesù insisterà nel proporre un Dio-amore per tutti, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, meritevoli e non meritevoli. Cercherà anche di far capire che gli elementi negativi (malattie, apparente fallimento della propria vita) non sono conseguenze del peccato, non sono punizioni di Dio. Se non vi convertite, se non orientate la vita verso gli altri, se non cambiate vita e mentalità, e continuate ad alimentare solo voi stessi, non crescerete, avrete alimentato solo la vostra vita biologica e alla fine vi condannerete da voi stessi. Ma non è Dio che vi condanna all’inferno (cfr. l’articolo L’inferno al n. 467 di questo giornale, di cui al link soprastante).

Dario Culot