La predica di monsignor Cosimo

Freydal: des Kaisers Maximilian I. Turniere und Mummereien; mit einer geschichtl. Einleitung. Tafeln.

Wien, 1882. Exemplar der UB Tübingen

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Si avvicinò al pulpito, fece come per abbracciare il leggio e predico così, l’anziano sacerdote:

«Porsi in ginocchio davanti a chi ha subito una violenza. Sempre.

Riconoscere che è anche colpa nostra, perché non abbiamo vegliato, non abbiamo adoprato il discernimento, non siamo stati sempre del tutto esigenti nell’ammettere al ministero e la salus animarum è stata compromessa, ferita a morte.

Le compensazioni dell’immaturità affettiva sono tante, hanno paramenti di varie fogge e misure, sono anche piuttosto comuni, ma possono assumere caratteristiche di tragedia che non va in oblio.

C’è bisogno urgentissimo di una vera e propria teologia del peccato – un’amartiologia, come dicono quelli che se ne intendono -, che sappia definire il peccato quale mancanza di fede, venir meno della fiducia e non della certezza, dell’umiltà e non della garanzia di perfezione morale.

Tenerezza che scaturisce dalla povertà, dal secondo posto scelto invece del primo, dall’inadeguatezza consapevole, dall’ascolto discente delle ragioni degli altri.

Il figlio, la figlia sono carne della nostra carne, sono il nostro corpo fatto altro corpo. Sono l’eucaristia di casa.

Se non si avesse paura dell’infedeltà, se cioè si sapesse davvero che il peccato è perdonato e la colpa redenta, non si lascerebbe spazio alla violenza dell’irrigidimento etico, privo di misericordia per sé e per gli altri, che spesso genera perversione e fa – non paradossalmente – il male.

Immaginare padri, madri, preti che si mettono in ginocchio davanti ad ogni figlio, ogni figlia, chiedendosi, chiedendo alla comunità, agli amici, persino alla società civile: perché? Perché è accaduto? Perché l’abuso, ma anche solo l’uso, di un volto innocente, di una storia che appena rincorre la luce come un girasole spuntato al mattino? Da dove si è originata l’offesa alla carne dei poveri? Chi subisce violenza è stato espropriato della ricchezza del suo stesso sé, vive questa povertà, e non per una disgrazia senza autori. Ma perché?

Perché la disintegrazione è avvenuta? Perché il dia/bolico si è compiuto? Perché?

Le vittime hanno un magistero conferito dalle Beatitudini che Francesco papa invita costantemente ad ascoltare. Saranno loro i veri maestri, i veri dottori, la loro sofferenza insegnerà. Ma che cosa insegnerà?

È l’immagine di Dio a venire in questione, a divenire ormai il problema pastorale numero uno. Il Dio delle vittime, il Dio di chi è stato sopraffatto, oppresso, annientato. Il Dio che ha il volto di un bambino, di una donna, di una religiosa. Quel Dio così debole e mite che mi pare incredibile potermi, anzi dovermi, fidare di Lui. O di Lei. Quel Dio che mi ricorda che ogni volta che mi sono dimenticato di amare chi non aveva le sue presunte sembianze maiestatiche, mi sono dimenticato di amare la Grazia Sua, quella dell’Incarnazione, e mi sono perduto. E il Suo Figlio è lì, nella storia violata dei nostri figli e delle nostre figlie. Piange straziato e sorride di speranza.»

Tutta l’assemblea ammutolì e si commosse.

Nessuno poteva sapere, e forse neppure immaginare, che monsignor Cosimo, ordinato presbitero da vedovo, avesse, da sposato, innumerevoli volte tradito sua moglie.

Forse era un riscatto personale quell’omelia.

O forse era semplicemente amore.

Prima e ora.

Monsignor Cosimo è personaggio di pura invenzione.

Rodafà Sosteno