Echologika

UN PAPA DEBOLE? IMMUNIZZAZIONI DI UN EVENTO

Sconcerto e sorpresa, eppure qualcosa ritorna. La prossima domenica, sempre argomentando su Heidegger, mi ero proposto di trattare il tema dell’Evento, dell’Ereignis, ossia di quell’a-venire che si presenta come un accidit sempre già avvenuto, ma che apre tuttavia un orizzonte a-venire caratterizzato dall’incertezza. Con le dimissioni di Benedetto XVI ci troviamo innanzi a un’anticipazione, a una de-cisione che crea “crisi”, un “taglio” di tempo irreversibile che, ciò nondimeno, “apre”. Per altri versi, è in gioco il cosiddetto “atto performativo” in cui un discorso, una proposizione come le dichiarazioni di stamane al Concistoro, creano una sequenza imprevedibile di effetti sociali, cioè diviene effettivamente un “oggetto sociale” che si iscrive nella storia.

E’ forse un paradigma, un paradigma di tipo “immunologico”, poiché proprio in queste ore stiamo assistendo ad un profluvio interminabile di razionalizzazioni, spiegazioni, previsioni: io definisco questa complessione di fattori evento-orizzontale, poiché si tratta di un evento imprevedibile e impossibile il quale crea tuttavia una sfera, un ambito di senso che tende ad occultare immunitariamente l’evento medesimo.

In breve, non riusciamo a sopportare l’evento, poiché esso è impossibile, senza senso e non padroneggiabile, donde una smisurata serie di argomentazioni e di costruzioni di senso (che arrivano alla cosiddetta “fanta-ecclesiologia”) delle quali vi do’ qualche suggestione.

SCENA:

1. La morte di Giovanni Paolo II. Fiumane di genti si aggregano, accumulano, intasando il Corso Vittorio Emanuele e tutte le strade adiacenti. “Dio è morto?” si chiederebbe Nietzsche. Chi fu colui che potè meritarsi siffatta idolatria e una beatificazione tanto accelerata? Si è detto sin troppo delle contraddizioni woitylane, fino al punto d’affermare ingenuamente che la fine del Comunismo sia stato uno dei suoi maggiori meriti, erede di quel moto popolare polacco che partendo da Lech Walesa avrebbe poi pervaso, intramato e decostruito l’ormai usurato assetto sovietico.

La sua figura sofferente associava e inglobava in un unico gesto il dolore fisico e la fede, la fatica lancinante d’esistere con il compito sovrumano di rispondere a Dio, d’esserne tanto all’altezza da imitarne il figlio, Gesù Cristo. Crocifissione ancora più lenta, inesorabile, in cui il corpo deteriorato diviene lo schermo d’un’umanità peccatrice, deietta, destinata alla pena e al travaglio in vista di una salvezza a-venire. Giovanni Paolo II che “non scende dalla croce” – così s’è detto oggi – nei confronti di un Raztinger che abdica, cede, si umanizza ma forse si allontana dalla santità, dalla somiglianza (ricercata?) con Dio.

Deificazione di ritorno, simile al rito vittimario del capro espiatorio di cui ci parla René Girard: l’uomo che in sé catalizza, riassume e assorbe tutti i dolori e le colpe, e perciò si sacrifica, e perciò s’avvicina a Dio, e perciò ne fa le veci, e perciò è lo “Stesso”.

2. Un film strano quello di Nanni Moretti, Habemus papam (2011), ma quasi presago di ciò che stiamo vivendo oggi. Regista comunista e ateo, forse così furbo da utilizzare i simulacri della trascendenza per fare effetto, per fare “arte”, Moretti mette in scena il percorso di un “uomo”, con la sua soggettività personale e le sue debolezze: così come qualsiasi altro uomo, infatti, anche il papa è as-soggettato, è tanto potente da celare un’impotenza interiore, è “depresso”, atterrito e sceglie di uscire dal gioco. Nella grande teatralizzazione della Chiesa, egli non ci sta, ne soffre e se ne affranca, come se si trattasse di un qualsiasi altro lavoro.

3. In fondo Ratzinger, e contrario, si approssima ancor più all’impotenza di Gesù Cristo, facendo dell’ecco homo la sua forza: egli è un uomo, in fondo, che però ha avuto il merito di decostruire un apparato – quello ecclesiastico – che di fatto opera costantemente una sorta di distanziazione nei confronti del credente. La Chiesa e il papato sorgono invero grazie alla coniugazione del potere sovrano – quello dell’imperatore con tutta la sua struttura gerarchica – con la trascendenza del sacro, legata necessariamente a una dimensione del non-senso, dell’Altro out-of-joint (se vogliamo, a una dimensione del non sapere e dell’impotenza).

4. Dal punto di vista del diritto canonico (ma qui ci supporta senz’altro meglio Stefano Sodaro), Ratzinger ha rinunciato all’officium, cioè è venuto meno a quello schema latino-cristiano per cui prima dell’essere c’è il dover essere, c’è il compito da eseguire nell’ambiguità dell’onus, del peso e dell’onore che ne consegue. Il papa preconciliare è divenuto d’incanto un elemento di rottura, colui che scardina per certi aspetti l’aura dell’infallibilità del papa per adombrare quell’idea di una primato conciliare che serpeggiò proprio nel Concilio Vaticano II da lui sempre lateralizzato. Il papa neorealista e antirelativista si trasforma all’improvviso in un “papa debole”, che lascia-essere, che cede e si depotenzia.

ANTISCENA:

  1. Una delle ragioni delle dimissioni di papa Ratzinger riguarda lo stato di salute del papa, la cachessia, la debilità, il corpo ormai ferito dalla malattia. Come in Woityla entra in gioco d’emblée, con una naturalezza quasi sorprendente, la tematica del “corpo”: Benedetto XVI manifesta invero come funziona la “biopolitica” e si presenta così come un papa postmoderno, lui incallito e acerrimo anti-relativista. La biopolitica, infatti, sopravviene al cedimento del modello del potere sovrano in cui il potere si manifesta grazie alla possibilità di togliere la vita. A partire dal XVIII secolo, invece, le società occidentali iniziano ad attivare politiche finalizzate all’accrescimento della vita e, di conseguenza, alla conservazione, rafforzamento e mantenimento del corpo. Sia Ratzinger che Woityla, in questo senso, sono dei campioni della postmodernità, palesano paradigmaticamente la centralità del corpo, inscenano la lotta contro la malattia e testimoniano quello che è il paradigma immunitario in base al quale è grazie al male che qualcosa di positivo accade. Ratzinger, nel suo debolismo, avvicina e umanizza quella struttura astratta e inquietante che è l’apparato ecclesiastico; Woityla sfiora la santità, diviene un Superuomo che carica sulle sue spalle il peso del dolore del mondo, proprio come Cristo.

  2. La biopolitica, tuttavia, fa afferire alla questione anche un altro elemento. Si sono usate molte parole per la scelta di Ratzinger: dimissioni, cessazioni del mandato, abdicazione. Tutto sembra alludere a una sfera prettamente politica e ci dimostra così in maniera abbastanza icastica come il rapporto tra la Chiesa, la comunità, la fede e la πόλις sia molto più stretto di quanto si pensi. Siamo innanzi alla gestione di correnti interne, di opposizioni, di affari esteri, di import-export, di elezioni…e dobbiamo anche attendere che la scelta del papa sia conforme alle norme prescritte dal diritto canonico – così dice ad esempio, erroneamente, qualche vaticanista (cfr. can. 332, par. 2) – allargando l’intreccio e immettendovi improvvisamente anche l’elemento giuridico.

  3. Alla fine non emerge un orizzonte di tipo tardocapitalistico, legato al consumo, al liberismo, a un’evoluzionistica bellum omnium contra omnes? Vuoi per la malattia, vuoi per le diatribe interne, vuoi per l’età, il papa non si sente più competitivo, si rende conto di non riuscire più a contrastare i concorrenti (il relativismo, la secolarizzazione, i fondamentalismi islamici) e da’ le dimissioni come se si trovasse in un consiglio di amministrazione di una Spa o come se fosse l’allenatore di una squadra di calcio. Egli non è più lucido, non è più efficiente e perciò si autoesclude “per il bene della Chiesa”, cioè in vista di una migliore produttività e redditività. Nella velocizzazione dei processi globalizzati ci vuole un uomo “in forma”, tonico e reattivo, capace di rispondere prontamente alle impellenze che provengono da un mondo sempre più complesso.

  4. Tra i commenti che si srotolano incessantemente, ci sono quelli che alludono a un “colpo di scena” che illumina retroattivamente in maniera diversa tutto il papato di Benedetto XVI. Ci troviamo cioè all’interno di una società della teatralizzazione e spettacolarizzazione, dove ogni gesto deve aver efficacia, dev’essere pubblico e fantasmagorico. Il papa conservatore, reazionario, preconciliare compie un colpo di scena inaspettato, quasi seguisse la sceneggiatura di una fiction, un gesto rivoluzionario. Ma sarà davvero una rivoluzione? Aprirà una nuova era? O rimarremo incapsulati nell’ambito della sfera dell’immaginario?

Emiliano Bazzanella