15 ottobre 2017. Cento anni del Pontificio Istituto Orientale.

Nel giorno dei cent’anni del Pontificio Istituto Orientale pare inevitabile mettere a confronto l’attualità delle Chiese Cattoliche d’Oriente con il magistero e la prassi pastorale di Francesco papa.

E l’esito di tale confronto non dà sensazioni troppo felici.

Le Chiese d’Oriente non cattoliche sono entrate in uno stato di permanente apertura – quanto meno interlocutoria – davanti alle novità del vescovo di Roma latinoamericano.

Molte Chiese d’Oriente cattoliche, invece, non sembrano essersi mosse da una specie di arcaismo post-unionista che le relega nella sola laudatio temporis acti e le fa guardare con sospetto sia eventuali nuove acquisizioni del dialogo ecumenico, sia qualsiasi attenzione, che non sia di netta chiusura, alle questioni poste dalla filosofia e dall’etica contemporanee.

Ma neppure il diritto canonico orientale – che non è né ortodosso, né latino – viaggia a vele spiegate.

Il Pontificio Istituto Orientale potrebbe tornare ad insegnare una sana mera strumentalità, o funzionalità, del diritto alle urgenze della pastorale.

E poniamo qui, a titolo di esempio, una questione sempre negletta o liquidata con quattro battute, se non canoni.

La questione del “passaggio di rito”.

Si tratta di un privilegio concesso esclusivamente dalla Santa Sede o per via diretta o per via presuntiva.

Ma perché la sua applicazione non può essere estesa? Perché non se ne possono studiare con serenità implicazioni e conseguenze?

Oggi il Papa ha annunciato la convocazione di un Sinodo Speciale per l’Amazzonia.

È del tutto verosimile che il tema dei cosiddetti viri probati avrà una sua importanza in tale Sinodo. Sarà al riguardo interpellata la lunga esperienza al riguardo delle Chiese Cattoliche Orientali?

Si parla abitualmente nei corsi e nei convegni del Pontificio Istituto Orientale di preti sposati, anzi, meglio, di uomini sposati ordinati presbiteri?

La storia dell’Oriente Cattolico, se criticamente investigata, potrebbe riservare impensate possibilità di approccio alle più scottanti interrogazioni rivolte oggi dal Mondo alla Chiesa. Perché si potrebbe abbeverare alla cosiddetta “tradizione vivente”.

Mentre resta di capitale importanza non innamorarsi delle piccole, e mortifere, tradizioni tranquillizzanti che esaltano il passato e restano mute davanti al presente.

L’Oriente ha da dire molto di più.

Auguri, dunque, al Pontificio Istituto Orientale di insegnare a saper trovare e trasmettere quel “di più”.

Stefano Sodaro