Ama e fa’ quello che vuoi

Palazzo della Congregazione per la Dottrina della Fede, Città del Vaticano - foto del direttore

Insomma, tu le regole le rispetti, richiami con sottolineature appropriate l’esigenza di identità, di univocità normativa.

E se, alla fine, il tuo amico ti dichiara “io faccio quello che voglio”, tu ci resti anche male, la prendi come una dichiarazione un po’ supponente di autonomia comportamentale, una orgogliosa presa di distanza.

E tu che volevi scambiare un po’ di parole, portare un’altra notizia, ti senti spiazzato, messo di fronte a una chiusura disarmante.

Eppure è riscontro quotidiano che spesso non si sa cosa si vuole, che, sapendolo, non si fa quello che si vuole, che per volere e fare occorre cominciare da qualche parte a vederci un po’ più chiaro.

E quando pensi di vederci chiaro, non è detto che sia così automatico il fare conseguente al chiaro che pensi di avere dentro.

E così il sacro, il recinto, la norma si prende la sua rivincita anche fra di noi che vogliamo essere rassicurati, sapere per certo che una parola ha detto Dio e, anche se qualcuno ne ha udito due, una è quella giusta.

Identità, sicurezza, riga bianca chiara a fondo campo, ma, se ci viene in mente Matteo 25, allora non riusciamo a capirci più niente.

Intanto non si parla di colore dei paramenti o di numero di ceri da mettere sull’altare (ricordate don Tonino Bello ?), non si parla di religione, di sabato e non si parla del colore della pelle di chi era malato e di chi l’ha visitato, di chi aveva fame e di chi ha dato da mangiare ed è bello constatare che chi è buono non ha interesse a verificare la carta d’identità di chi visita, di chi veste, di chi incontra mentre il cattivo giura di non aver incontrato nessun dio per strada, altrimenti lo avrebbe colmato di attenzioni, si fa per dire.

Insomma, ti vien da dire che non è il volto di Cristo che devi cercare, ma il volto di chi ti sta davanti e basta, perché in forza di questa gratuità sarai benedetto.

Papa Francesco ci indica strade concrete per consentire alla nostra giornata di avere pienezza di vita piuttosto che ricchezza di volumi.

Nella esortazione apostolica “Evangelii gaudium” (232) troviamo: «L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci , che al massimo classificano e definiscono ma non coinvolgono.»

Nell’esortazione apostolica “Gaudete et exsultate” (ma non avete anche voi l’impressione che papa Francesco preferisca l’esortazione alla enciclica ?) al n. 47: « (…) non è la conoscenza a renderci migliori o santi, ma la vita che conduciamo”, al n.106, richiamando san Tommaso d’Aquino: « (…) le opere esterne che meglio manifestano il nostro amore per Dio (...) sono le opere di misericordia verso il prossimo più che gli atti di culto.”

Pochi giorni fa papa Francesco in una parrocchia alla periferia di Roma abbracciava un bambino, Emanuele di 8 anni che aveva da poco perso il papà. Francesco lo stringe forte, lo tiene stretto a sé, ascolta la sua domanda carica di angoscia: il papà che era ateo, che era un bravo papà è in cielo? Francesco gli dice: «Emanuele, questa è la risposta, Dio sicuramente era fiero di tuo papà perché è più facile battezzare i figli essendo credente che non essendolo. E sicuramente a Dio questo è piaciuto tanto.»

E allora possiamo dire che la santità è alla portata di tutti, credenti e non credenti ?

E, se è così, la partita si gioca solo sull’amore in ogni angolo del mondo e il sacro, il rito, la religione sono al suo servizio con le porte aperte, uno spazio dove tu possa riposare e riprendere il cammino.

Antonio Sodaro