Compieta del canonista bancario

Particolare, foto di anonimo

Ho guardato ed ascoltato questa sera il segretario del Partito Democratico, sen. Matteo Renzi, annunciare che, dopo l’insediamento del Parlamento e la formazione del nuovo Governo, si dimetterà dalla carica di partito. Dopo.

Da queste righe – merita ribadirlo – non è consentita alcuna analisi politologica.

Ma ho cercato dove io, nella mia storia prima di adolescente, poi di giovane di Azione Cattolica, poi di fucino, poi di aclista, poi di quello che volete voi, dove, in quale passaggio di quel discorso, di quel modo di atteggiarsi e presentarsi, io (è molto glamour dire sempre “io”) possa ritrovare un filo di continuità ideale, di tensione spirituale. Mi sono chiesto insomma quale spiritualità della politica traspaia dal discorso di questa sera del Capo della forza di opposizione.

E non ho trovato risposte.

Senza piaggeria: probabilmente perché non so cercarle nei posti giusti. Oppure perché – faccio mia questa seconda ipotesi – non si deve credere più che esista o sia possibile alcuna spiritualità della politica. È un meccanismo, come quello che muove i divani e le poltrone di massimo confort.

Mi si è ripresentata agli occhi della mente la sconcertante proposta evangelica di amare i nemici.

Fuori da ogni metafora, non è Renzi il mio nemico, ma – purtroppo o per fortuna – solo perché riservo un sentimento così intenso come quello di inimicizia ad altre frequentazioni, per me molto più laceranti e brucianti. Eppure non mi scelgo da me i miei nemici, me li ritrovo davanti avendo cercato di scansarli con tutte le forze.

E succede che chi si ama ami il nemico. Ami chi si odia.

Perché la politica non è tutto è un testo illuminante di Edward Schillebeeckx. La spiritualità della politica è distinguere interiormente tra amici e nemici, senza mescolare gli aggettivi e senza scambiarli. Chi è amico resta amico e chi è nemico resta nemico.

E se agli amici piace il discorso di Renzi? Che devo fare?

In quel momento devo disinnescare l’avversione non verso Renzi, che in fondo neppure so chi sia, ma verso l’amico che lo considera amico.

Devo amare il nemico che ha, ad un certo momento, il volto, così attraente per me, del mio amico.

Chi amo ama chi odio.

Può ben accadere.

L’odio è accettato come sentimento politico molto più dell’amore.

Allora forse trovo qui, in questa delicata, ma pure preziosa, dialettica tra odio e amore il senso di quella storia che non sono riuscito a cogliere guardando il discorso in televisione.

Chi amo ama chi odio eppure io continuo ad amare colui, colei, che lo ama.

L’architettonica manovra delle dimissioni ad effetto ritardato ha un che di liturgico, di rituale, forse anche di teatrale.

Mi potrebbe salire un’enorme rabbia. Però amo immensamente la liturgia, il rito, anche quando si caricano delle ragioni di chi sembra non appartenere agli universi simbolici delle intensità espressive che vengono da dentro.

È ora di compieta.

Termine del giorno.

Termine di odi e passioni avverse, altrimenti non si dorme.

Inizi invece di amori, i più dolci, i più folli, i più tormentati.

Stefano Sodaro