A Trieste Natale viene dopo l’Epifania

Trieste, Chiesa Serbo-Ortodossa di S. Spiridione, 6 gennaio 2019

- foto del direttore

Domani sarà uno strano lunedì per la cattolicissima Italia.

Sarà un giorno di assurda festa feriale ricorrendo il Natale dei Cristiani d’Oriente che seguono il calendario giuliano, siano bizantini o no, e dunque – cosa assai difficile da capire sembra – abissini, armeni, copti, siri, che appunto bizantini non sono.

Trieste è sulle bocche e sulle righe di ogni dire in questi giorni.

Il gesto del vicesindaco della nostra città non merita neppure d’essere riassunto.

Ma la tensione, da spasmo, da crampo mentale per il qui scrivente, da insonnia, deriva dall’aver intravisto una specie di torta culturale in cui affonda il coltello di quel gesto di pubblico vanto sulla pelle di un povero, offrendone fette ad una larga schiera di commensali.

Sarebbe esiziale infatti pensare che, siccome tra venerdì e oggi si è alzato uno sdegno pressoché universale verso quel gesto – sino addirittura a boicottare prenotazioni turistiche per il capoluogo giuliano –, la carica di quel pubblico vantarsi di un comportamento che costa fatica anche solo sintetizzare sia tutto sommato modesta, esageratamente amplificata, priva di portati di qualunque altro tipo che non una sorta di folclore strapaesano mal riuscito. Non è così.

Nel settembre del 1938 Benito Mussolini annunciava dal balcone del palazzo municipale di Piazza Unità, sempre qui a Trieste, la promulgazione delle leggi razziali.

Leggi, si badi bene, diritto positivo.

Leggi da osservare e far osservare, leggi che non ammettono disobbedienze e discussioni. Solo – “solo” lo diciamo oggi, però – che erano leggi criminali e criminogene.

Una legge criminale? Ma come può essere? Ma può essere?

Ecco, il clima che lentamente ci sta facendo scivolare verso il più bieco cinismo e la più crassa ignoranza, rivestita magari di panni dottamente intellettuali o di verve giornalisticamente accattivante, fa respirare aria viziata, mortifera anzi, dove i miasmi dell’assenza di interrogazione critica verso il Potere, sola garanzia di democrazia reale – quell’interrogazione -, stordiscono e ammorbano. Piazza Unità era colma nel settembre del 1938.

Va di moda uno stile cattolico non-cristiano che ricorda gli esatti accenti mussoliniani sulla valenza sociopolitica del fatto religioso.

Va di moda la individuazione e l’estirpazione del diverso, di qualunque diversità si tratti, perché la vera rivoluzione sarebbe il ritorno all’indistinzione, il rifiuto del valore di battaglie decennali a favore di diritti civili e sociali. La vera libertà sarebbe una specie di blasfemo neoliberalismo del “tu-come-me-altrimenti-niente”.

Vorremmo, invece, che la stessa Cristianità orientale che domani festeggia il Natale fosse inveramento di quella vigilanza sulle discriminazioni verso chiunque, richiesta dalla Carta costituzionale del nostro Paese.

L’orrendo allontanamento forzato dei Cristiani, ad esempio dal Medio Oriente, va assieme all’orrendo defraudamento di ogni vestito ad un povero che bivacca sulla pubblica via. Dev’essere monito fortissimo la consapevolezza che essere poveri è condizione ecumenica e non solo tra chi non ha soldi, ma tra chiunque si riconosca debole: debole perché ingiustamente condannato a migrare e abbandonare la propria casa, debole perché ha segreti che non possono venire alla luce, debole perché malato, debole perché bisognoso di amicizia, debole perché privo di lavoro, debole perché solo, debole perché avverte che l’utopia in cui crede può infrangersi a volte nell’illusione.

A Trieste sosta in permanenza l’ingombrante e scomodissima storia del Novecento in tutte le sue contraddizioni più terribili, in tutte le sue sfaccettature più sanguinarie.

A Trieste è di casa la follia che, però, qualcuno – Basaglia, ad esempio – non interpretò più come stigma patologico di una diversità da recludere, ma aspetto della vita, della vita di ognuno e di ognuna, nostro sé da saper scrutare e da cui non lasciarsi (troppo) impaurire.

A Trieste domani è Natale mentre oggi è ancora Epifania.

Sul limitare delle nostre vite sta il decidere se la contraddizione di un povero mentre io credo di non esserlo sia appello alla mia coscienza o sia affare di ordine pubblico e di pulizia urbana, oltre che di polizia e repressione.

L’orizzonte etico del vivere non è quello giuridico. Guai se sovrapposizione ci fosse, dalle leggi del 1938 non ci saremmo mai più liberati e, probabilmente, il Natale non sarebbe mai venuto dopo l’Epifania.

Stefano Sodaro