Complexity and dream

Martin Luther King e la moglie Coretta Scott King - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Sul vol. 72:1 del 2017 della Rivista Protestantesimo lessi mesi fa queste righe di un articolo, intitolato “Relazioni pericolose”, a firma di Sergio Manna, che mi fecero sobbalzare (pp. 16 e 17 del volume):

«(...) da tale pericolo [quello di cadere nella trappola di una relazione pericolosa] non si sono salvati neppure teologi e pastori di grande spessore e spiritualità (ad esempio Paul Tillich, Karl Barth, Martin Luther King).», specificando alla nota 8 che «Il direttore dell’FBI, John Edgar Hoover, cercò invano di distruggere Martin Luther King facendo circolare informazioni sulle sue avventure sessuali, avendone raccolto prove mediante i suoi agenti.»

Le poche ricerche che mi concessi al riguardo, bloccato dal timore di non volermi in alcun modo prestare neanche a solo minime parvenze di revisionismi o strumentalizzazioni, mi fecero imbattere in notizie che le vicende storiche tuttavia ormai hanno acclarato. Provo a dire in che termini.

Esistette, quanto meno e per venire ad un micro-riassunto delle molte narrazioni, un accanimento del capo dell’FBI verso la vita privata del reverendo battista, sino a vedersi, questi, recapitata una lettera di vero e proprio invito al suicido (https://www.ilpost.it/2014/11/13/lettera-suicidio-fbi-hoover-martin-luther-king/mlk-2/). Ma simile tenaglia accerchiante, che riteneva di basarsi su fatti oggettivi ed inconfutabili, non impedì al pastore né di ritirare il Premio Nobel per la Pace né di continuare nella sue pubbliche campagne né di essere ascoltato e seguito.

Lascio alla competenza di biografi e commentatori ben più esperti la veridicità sino al dettaglio di quanto in quella lettera sostenuto.

In rete si possono trovare anche analisi come la seguente: http://formiche.net/2015/09/il-papa-martin-luther-king/

Per quanto mi riguarda, oso affermare che la vita privata di Martin Luther King, quand’anche relativa alle sue scelte sessuali, non intacca minimamente la mia totale ammirazione per la sua battaglia politica e la convinzione profonda che si tratti di figura esemplare da additare come esempio.

Schizofrenia da impantanamento ideologico?

Intanto, da nessuna parte ho trovato alcun accenno a fatti di violenza o di costrizione, riconducibili a King, che soli rendono criminale, e intollerabile sia eticamente che giuridicamente, l’esercizio della propria sessualità (e non sembri troppo aspro e crudo il termine “esercizio”, è riconduzione alla normalità di qualcosa che invece ha occupato, e occupa, spazi di gigantografia presso tutte le nostre latitudini culturali, laiche o religiose che siano).

In secondo luogo, penso che così come a nessuno affetto da asserito disturbo comportamentale non dannoso per altri possa essere in alcun modo impedita la manifestazione, anche in forma suadente e coinvolgente, dei propri ideali di costruzione di una nuova società, fino al sogno, così pure ritengo che nessun presunto disallineamento di condotta sessuale rispetto ai canoni ratificati socialmente possa limitare la lotta necessaria per vedere riconosciuti a tutte e a tutti i medesimi diritti civili e politici – salvo sia presente, merita ribadirlo, violenza, di qualunque tipo e forma, e costrizione – e non trovare ridimensionata la testimonianza pubblica che quel riconoscimento esige.

Che poi risulti invece auspicabile sviluppare ulteriori riflessioni (come fa ad esempio Enzo Bianchi in http://www.lastampa.it/2011/01/19/cultura/opinioni/editoriali/la-tristezza-della-lussuria-hnZW8IgsVWcxzw85Z3ribM/pagina.html) su una interpretazione spirituale di ciò che - “appetitus ad mulierem” - Lutero definiva “bonum donum Dei” è questione parzialmente diversa, che attiene al significato della sessualità nella propria vita.

La condotta sessuale di Martin Luther King contraddiceva la sua testimonianza cristiana?

Corre dappertutto la convinzione che di fronte a Dio, nella preghiera, davanti a Lui insomma, di tutto si possa parlare, ma non di sesso. Quasi che quel “bonum donum” poi, alla fine, non sia suo, ma del demonio.

Era un esempio Luther King da non ammirare perché a double face?

Se la risposta è positiva, allora piomba immediata l’accusa di giustificare, con stolti tentativi, una inaccettabile scissione tra pubblico e privato: Premio Nobel che “has a dream” in piazza, traditore impenitente in secrete stanze.

Se la risposta è negativa, monta la non meno destabilizzante imputazione di scandalo, tanto più disastrosa per un ministro di culto.

Eppure fischia uno stridio.

Tra categorie di incasellamento etico e perizie di maieutiche psicologiche, forse dovremmo accettare la categoria della “complessità” come chiave di accesso a storie, storie personali, storie comuni, storie anche nostre, che non hanno né risvolti unicamente pubblici né solo meandri meticolosamente nascosti.

Siamo impasto di creta che non si lascia forgiare con tanta facilità, mantiene forme proprie.

Chi non è abitato da complessità? Chi ritiene di avere sciolto in sé e davanti a sé ogni contraddizione?

Martin Lutero, l’ex eremita agostiniano del Cinquecento, ci vedeva meglio di noi nel ritenere il battezzato “simul iustus et peccator”: la Grazia non fa venire meno una sostanziale inadeguatezza a ciò che si dovrebbe essere e però, in quanto appunto regalo gratuito, viene offerta sol che ci si creda, nonostante qualunque peccato, se non - addirittura - proprio grazie al peccato, “o felix culpa”.

L’adesione alla Riforma del quasi omonimo Martin Luther King, pastore della Chiesa Battista, non è caratteristica quasi posticcia di un campione di diritti extra-ecclesiali.

Altro è essere, altro è credere. Non perché vi sia dissociazione, ma perché la debolezza dell’essere viene redenta dalla audacia della fede, perché lo scarto esiste e nessuna morale lo può far venir meno. Se non esistesse, nemmeno l’atto di fede sarebbe configurabile.

Per questo, convintamente, continuo a venerare la memoria di Martin Luther King.

Stefano Sodaro