Il papa che non ti aspetti

Onorio III, Vita di San Francesco, Ciclo di Giotto - Basilica Superiore di Assisi - immagine tratta commons.wikimedia.org

Il pontificato di Francesco, a 5 anni dalla sua elezione, attesta – provo a dire così dopo aver considerato proprio questo uno dei punti di tensione dell’evento in sé straordinario (papa che succede ad altro papa vivente) – il sostanziale superamento del confronto tra anelito di speranza per popoli interi, cui dà risposta l’assunzione di macro-categorie di analisi socioculturale e di riflessione teologica, e la considerazione delle soggettività personali, anzi individuali, quando strettamente riferite al cosiddetto Primo Mondo.

Mentre Francesco papa ha fatto spalancare il cuore alla Chiesa verso il Mondo, sulla scia del Concilio, il Mondo ha preteso, quasi imposto, attenzione non più rinviabile alle questioni dei diritti civili, delle libertà personali, delle più acute sensibilità critiche.

Come se il pubblico vivesse al Sud del Mondo e della Chiesa ed il privato invece al Nord, dove tuttavia la presenza ecclesiale langue se non è già sparita.

Ciò che sembrava, appunto, una tensione irrisolta e potenzialmente capace di generare lacerazione, o quanto meno di appesantire l’efficacia degli affondi magisteriali di Francesco, oggi appare invece esito di una essenzializzazione della fede.

Sento molto vicino il pensiero di Alberto Melloni su “La Repubblica” di ieri (“La Chiesa capovolta da Francesco”): quello di Francesco è un papato “kerygmatico” in cui saltano molte delle chiavi di lettura solitamente adottate.

Perché Francesco pone, alla Chiesa ed al Mondo, un solo problema: la fede. E però tale annuncio non è clava da far ruotare su reprobi relativismi, o convinzione da far generare per adesione intellettuale, ma è una prassi. Una ortoprassi. Non una ortodossia. Un agire conformemente a.

A cosa?

All’amore del rabbi di Nazaret.

Gli intricatissimi piani di scomposizione e ricomposizione della vicenda papale bergogliana, nei molteplici e dettagliati commenti che si affastellano, a volte evitano di porsi un tema di disarmante semplicità, consistente per appunto nel decidersi davanti all’interrogativo di fede non come faccenda di finale approdo mentale, ma come inquietudine amorosa.

Un altro amore è possibile.

Altro da che?

La logica di non contraddizione ci abita e struttura. E ci fa cercare un’alterità che si definisca per differenza, per contro-relazione. Ma è possibile un’alterità assoluta. Il Totalmente Altro, secondo l’espressione inaugurata da Rudolf Otto quasi esattamente cento anni fa.

Francesco porta nelle mani un Dio amico. Che gioisce, piange, sta a tavola, cerca, si abbassa a lavare i piedi.

Un Dio che, per quanto sembri inconcepibile, è in grado di sbagliarsi ed ammettere i propri errori. Un Dio che ribalta l’immagine di Dio.

Il Papato di questi ultimi cinque anni presenta non solo una Chiesa capovolta, ma pure un Dio rovesciato.

Se è vero che il più grande problema pastorale oggi per la Chiesa è l’immagine di Dio, stringere l’umanità tutta intera di Francesco papa – nella sua dimensione anche meta-verbale e fatta piuttosto di simboli, di gesti, di tagli sulle tele ecclesiali come quelli di Lucio Fontana – fa intuire che no, Dio non è così come ci hanno inculcato, non può essere così.

Non c’è più liberazione da una parte e progressismo dall’altra, secondo il monito di Christian Duquoc che invitava a non sovrapporre le due istanze. Ora c’è necessità assoluta di provare ad amare, come che sia, quale amore che sia, anche clamorosamente sbagliando e forse fallendo. Amore che è in sé politico e personalissimo, senza scissioni e senza distinzioni.

Merita peccare d’amore piuttosto che essere giusti e corretti per algidità.

Importa stringere mani, asciugare lacrime, stringere a sé.

Che sia liberazione benefica dalle proprie paralisi interiori o che sia progresso verso una più matura consapevolezza di cosa resti poi alla fine di tutto, fa lo stesso. Non conta.

Vale sapere, avvertire, che non si è soli, e sole. Che una mano può essere cercata e busserà alla porta la sera, una carezza può essere desiderata e si poggerà sul viso quasi improvvisamente.

Francesco di Assisi come sintesi di umanità diversa.

Finalmente anche a Roma, presso il suo Vescovo.

Stefano Sodaro