Ancora sulla caduta degli angeli

Satana che osserva le carezze di Adamo ed Eva (illustrazione a Paradiso perduto), 1808, William Blake (1757-1827),

penna, acquerello su carta, Museum of Fine Arts, Boston, USA

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Quello sui diavoli sembra essere un discorso senza fine. Mi è stato obiettato, in riferimento a quanto scritto in precedenti articoli, che se nella Bibbia e nei 4 Vangeli non c’è traccia di questa storia della ribellione degli angeli e della loro caduta, se ne parla nell’Apocalisse: il grande drago, detto anche serpente antico, o Diavolo o Satana (Ap 12, 9) nella sua lotta contro il progetto di Dio trascina con sé nella sua caduta un terzo delle stelle del cielo (Ap 12,4). Questo è il passo che dimostra come un terzo degli angeli avrebbe seguito Satana, per cui l’esistenza dei diavoli, questi esseri spirituali maligni che tentano di danneggiare l’uomo, trova conferma nelle Sacre Scritture.

Mi sembra di poter dire che, se i vangeli non sono sempre di facile lettura, ancor più difficile è il testo dell’Apocalisse, che può avere svariate interpretazioni, e data la difficoltà di afferrare con certezza ciò che il testo significa, ognuna di esse comporta sempre il rischio di una scelta soggettiva fra tanti possibili significati (così uno studioso specifico dell’Apocalisse: Pérez Márquez R.). Naturalmente si può anche forzare la lettera del testo (ad es., nel nostro caso, si parla espressamente di stelle e non di angeli, e di una caduta sulla terra e non all’inferno, il che vorrà pur dire qualcosa) e si possono estrapolare singole immagini a sostegno della propria tesi. È pacifico, allora, che si può dare a questo brano un’interpretazione completamente diversa e ben più pregnante: qui non si sta parlando affatto della caduta del diavolo dal cielo all’inferno, ma della lotta, costante in ogni generazione, fra il bene e il male, con la certezza della vittoria del Messia (Pérez Márquez R., L’Apocalisse della Chiesa).

Nell’immaginario collettivo, il termine ‘Apocalisse’ è stato distorto, perché in realtà significa ‘Rivelazione’, ‘togliere il velo’, mentre noi diamo invece al termine un significato distruttivo, abbinandolo cioè alle sciagure e alle catastrofi. Secondo Riccardo Pérez, che si è dedicato per anni allo studio dell’Apocalisse, non siamo davanti a un libro di profezie misteriose e minacciose, a un libro di inquietanti visioni, ma un testo ovviamente teocentrico che ci fa comprendere meglio il disegno che Dio ha avuto fin dall’inizio su di noi. Più volte viene ripetuto nell’ultimo libro del canone lo schema in cui, al primo trionfo del male operato dalla bestia, solo apparente e provvisorio, segue la vittoria reale e definitiva del bene operato da Dio (ad es. Ap 11, 7-11 con i due testimoni uccisi, ma poi fatti risorgere). La settima tromba annuncia semplicemente, per dirla con Marco (Mc 1, 15) che il tempo è compiuto: è scaduto il tempo a disposizione delle forze del male che la facevano da padrone nel mondo. La signoria del mondo è passata nelle mani di Dio (Ap 11, 15-19). Poi, come Dio ha vinto il male viene raccontato nel prosieguo, precisamente al capitolo 12 dl libro (Maggioni B., L’apocalisse).

Anche il papa emerito riconosce che l’Apocalisse rispecchia lo svolgersi dei travagli, senza dirci contemporaneamente quando e come esattamente giungerà la risposta e quando e come il Signore si mostrerà a noi. Non è un libro che si presta a calcoli temporali (Benedetto XVI, Luce del mondo): dunque, non viene indicato un momento in cui le stelle sono cadute dal cielo, né viene indicato un momento in cui finalmente il progetto di Dio si realizzerà sconfiggendo il diavolo. L’Apocalisse cerca di spiegare come si fa a vivere la proposta già contenuta nei vangeli dandoci la certezza che il diavolo, o il drago, o anche la bestia (dal numero 666[1]) che dir si voglia, è destinato al fallimento e riesce solo a rallentare il progetto divino. Tutta l’Apocalisse contiene semplicemente una costante denuncia di ogni meccanismo politico-economico che si oppone al programma liberatorio di Cristo.

Ne consegue che la Chiesa, stando sempre all’Apocalisse, dovrebbe ritirare la sua adesione a tutto ciò che si oppone a questo disegno.

Vediamo di attualizzare: se qualcuno oggi cominciasse ad annunciare un sistema diverso da quello della globalizzazione capitalista, sperimenterebbe qualcosa di ciò che ha vissuto Gesù (Frei Betto).

Infatti, come ben spiega la parabola del vignaiolo e dell’ugual mercede agli operai (Mt 20, 1-16), ancora oggi l’economia umana privilegia chi è già privilegiato e affossa quelli che già annaspano; per questo Papa Francesco ha detto che urge trovare e attivare altre forme di gestione dell’economia mondiale, dovendo l'economia mettere l'uomo al centro perché questo sostiene il vangelo e questo sosteneva Gesù. È un bel problema pratico. Certo non aiuta il fatto che ci siano tante persone pie le quali non accettano che gli ultimi guadagnino quello che loro guadagnano e che vivano come loro vivono: non si scandalizzano se gli ultimi muoiono di fame, ma si scandalizzano se, lavorando meno di loro, guadagnano come loro, e ancor di più se non lavorando affatto sono mantenuti dalla collettività. Però non pensano che magari non lavorano perché neanche riescono a trovare un lavoro. Leggiamo Mt 20,6-7: “Perché ve ne state tutto il giorno senza far niente?” Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”.

Tornando ai numeri, abbiamo ormai visto più volte che neanche i numeri vanno presi alla lettera nelle Scritture: negli scritti rabbinici “un terzo” denota, genericamente, una limitazione (Maggioni B.), per cui non ha senso dire che 1/3 degli angeli sono diventate diavoli, mentre 2/3 sono rimasti fedeli a Dio; anche in precedenza (Ap 8,7-12; 9,18) al suono delle prime quattro trombe la distruzione riguarda una terza parte delle stelle, della terra, dei fiumi, delle piante, degli animali; al suono della sesta tromba perirà un terzo dell’umanità. I flagelli sono tremendi, ma comunque limitati, e servono per far capire che la gente ancora non comprende e non si ravvede neanche davanti a fatti eclatanti (Ap 9, 20-21).

Come poi ben spiega il teologo Pérez, il brano del capitolo 12 che c’interessa più da vicino ci dice che i segni si vedono innanzitutto in cielo. Il cielo non è uno spazio, ma è l’ambito divino; la terra, ovviamente, è l’ambito umano.

Il potere umano ambisce sempre a ricevere onori divini, ad essere collocato in cielo; ma il luogo dove il potere riceve onori divini è pur sempre l’ambito terrestre, e viene chiamato il trono di Satana (Ap 2, 13), mentre solo il trono di Dio è ubicato in cielo. L’autore dell’Apocalisse ci dice che bisogna collocarsi nell’ambito divino per capire i segni; occorre cioè cambiare la prospettiva perché l’ottica umana è diversa da quella divina (secondo l’ottica umana il debole perde e il forte necessariamente vince). Il segno, poi, è una realtà che ci viene presentata attraverso immagini, ma che deve essere prima decifrata. Il ripetuto uso del termine “gettare”, rovesciare, richiama l’attenzione sul fatto che la realtà cambia. Infine i numeri vengono usati in abbondanza per far comprendere meglio il significato del testo allegorico. Il tutto viene caratterizzato da un continuo movimento dall’alto al basso, e ciò che avviene in alto ha il suo corrispondente in basso, ma mentre in alto tutto è già concluso, in basso non lo è ancora; guardando però in alto l’uomo può vedere in anticipo come si concluderanno le cose qui in basso (Maggioni B). E allora avremo:

1^ segno: una donna. Il lettore cristiano è abituato a pensare alla Madonna (ad es. vedi Vagaggini C.) perché così ha da sempre sentito raccontare, ma non si tratta di un senso direttamente presente nel testo (Maggioni B.; Pérez R.). La donna vestita di sole ben può essere le comunità dei credenti. La donna ha 12 stelle; 12 è la cifra del popolo divino, il numero che indica le dodici tribù del popolo israelita, ma anche i dodici apostoli, e sta per comunità: il popolo della prima e della seconda alleanza sono visti in continuità. Ricordiamo che il sole, la luna, le stelle erano idoli nell’Antico Testamento, ed erano concetti che si associavano al potere (cfr. quanto detto nell’articolo Demoni e diavoli al n.476 di questo giornale). La donna veste di sole. Nell’AT si parla di vesti (Is 52, 1; 61, 10), ma mai di veste di sole. Il sole implica calore, potenza, vita; rappresenta tutto l’amore che Dio versa sulla comunità. La luna (collegata al calendario, perché la vita si svolgeva in funzione del ciclo lunare) è l’astro che regola i tempi della vita umana. Ma qui sta sotto i piedi, sì che la donna, cioè la comunità, controlla ormai anche l’elemento luna, per cui nessun altro può più condizionare la sua vita sulla terra. La donna (comunità) ha assunto il pieno controllo ed è padrona della propria vita senza più essere influenzata dagli astri viventi (Maggioni B).

La donna è incinta e sta gemendo per il parto: sta cioè generando altra vita. La donna con le 12 stelle (cioè la comunità, ormai libera) genera altra vita ed ha raggiunto il suo traguardo, perché già vive in pienezza, senza che nessuno possa più condizionare la sua vita. Tuttavia, la donna che sta per partorire è vulnerabile; partorisce con fatica, ma la gioia della nuova vita le fa dimenticare presto le tribolazioni del travaglio. E proprio nel momento di massima vulnerabilità (nel momento del parto), si può fare sempre del bene (generare vita). L’autore ci sta offrendo un inno alla vita, un inno alla fiducia perché, quando si sa di essere amati da Dio che ci riveste di sole, nulla più ci spaventa.

2^ segno: la contrapposizione alla pienezza di vita. Il drago (e dopo di lui la bestia che viene dal mare e quella che viene dalla terra, alle quali trasferisce il suo potere) rappresenta il sistema dominante (Maggioni B.), il sistema di potere sulla terra, il quale cambia nel corso della storia, ma mantiene la tendenza a strutturarsi nella disuguaglianza (Zanotelli A.) e tenta sempre di trovare una collocazione nel cielo: cosa c’è di meglio che essere divini per giustificare ed esercitare il proprio potere? Tutti i potenti hanno sempre affermato che il loro potere viene da Dio; ogni potere rivendica la sua origine divina. Tutti i potenti, proclamandosi gli unti dal Signore, anelano ad essere riconosciuti come tali. Se leggiamo i nostri cinque codici di neanche cento anni fa, troviamo ancora scritto che il nostro re d’Italia era tale innanzitutto per volontà di Dio! (ed. Hoepli, Milano, 1931: Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d’Italia). Ma il drago non è onnipotente, per cui la sua potenza maligna è limitata (Maggioni B).

Il numero dell’agire divino della perfezione è il 7, e il drago (cioè il potere) cerca di impossessarsi di questa cifra: ha 7 teste. La preoccupazione del drago è cercar di apparire divino, ed effettivamente il potere pensa bene. Ha anche 7 diademi, a dimostrazione che sta negli alti palazzi, e non certamente con la gente semplice. Il drago è rosso, ed il rosso è il colore della forza omicida (Ap 12, 3): basta ricordare anche il cavallo rosso che compare all’apertura del secondo sigillo (Ap 6, 4), e usa facilmente la violenza per mantenere i suoi privilegi (basta pensare alla strage di Erode che si sente minacciato alla notizia di un nuovo nato). Ha anche 10 corna (Ap 12, 3): il 10 indica sempre una forza limitata: è forte, ma solo in apparenza, come la bestia alla quale cederà il trono (Ap 13, 2).

La bestia che sale dal mare, arriva cioè dal mare, è l’impero di Roma, e quando l’impero vuol prendere il posto di Dio l'autorità s’identifica con Satana.

La seconda bestia viene dalla terra, è una figura ancillare rispetto alla prima bestia che domina (Ap 13, 1), e si dà da fare perché tutti rendano culto alla bestia. Va ricordato che in Asia non si vedeva direttamente l'imperatore, ma si vedeva il suo culto (Marchetti R.).

Entrambe le bestie sono creature del drago. E il drago si organizza bene (con le 7 teste), e per questo cerca di spegnere la mente delle persone. Il drago, al pari del diavolo, non t’invita al male, ma ti porta su strade sbagliate: ti seduce (Ap 13,14) (Pérez R.).

Una volta si bruciavano i libri, e magari anche chi proponeva idee fuori del coro; oggi non occorre neanche fare un bel rogo dei libri: basta far passare la voglia di leggere. Se l’opera del drago continua è perché trova ancora molti complici che lo seguono. Anche quando vomita acqua nel deserto (Ap 12, 15) – nel deserto l’acqua è una vera e propria manna - non lo fa per far annegare la donna, ma per trasformare col suo fiume il deserto in qualcosa di diverso e piacevole: vuol convincere la donna ad aderire al suo progetto, a fermarsi nell’oasi da lui realizzata e ad abbandonare conseguentemente il progetto di Dio. Facendogli vedere un bene così prezioso nel deserto (l’acqua), il drago è riuscito a convincere più di qualcuno a vivere nella sua oasi, ma non convince la donna, la comunità libera resta libera.

Ed ecco il punto in contestazione. Il drago è riuscito a trascinare con sé solo 1/3 delle stelle (Ap 12,4): ma dove? Sulla terra, non all’inferno. Questo vuol dire che, nella foga della lotta, il drago, pur ferito, con un colpo di coda riesce a distruggere 1/3 delle stelle in cielo, il che vuol solo indicare la sua grande forza (Marchetti R.). Questo vuol dire anche che il potere ha cercato di riorganizzare a modo suo l’intero cosmo, per reimpostarlo secondo i criteri umani della disuguaglianza: il drago vuole costringere tutti a vivere a modo suo. Ma ci riesce solo in parte, perché 1/3 è un numero limitato. Tutte le cifre del drago mostrano come il suo potere sia limitato, parziale. Si è visto sopra nella nota che il suo numero 666 (Ap 13, 18), che tanto ha colpito la fantasia della gente, indica l’imperfezione assoluta (Maggioni B). Il 6 indica incompletezza; il 3 indica assoluta completezza. Quindi, nel nostro caso, 6 volte 3 indica l’incompletezza perfetta, assoluta.

Il drago è intollerante, e riconosce nella donna (nella comunità libera) che non intende seguirlo il suo avversario. Il drago, che è pura apparenza, spaventa ma non ha in realtà alcun vero potere. Pertanto noi non dobbiamo combattere contro nessun nemico, ma semplicemente produrre vita (come la donna che partorisce). Si è detto altre volte che non si devono combattere le tenebre; nel buio più assoluto basta accendere una candela, e le tenebre si ritirano. In effetti, il potere si liquefa se la gente non gli obbedisce più. L’istituzione ha la forza che gli viene riconosciuta dalla gente: se la gente smette di credergli, se non lo considera più unto dal Signore, se non porta offerte, il potere (politico, ma anche quello religioso) si secca perché gli viene a mancare la linfa vitale. Nei vangeli questa stessa conclusione si ha col racconto del fico maledetto e del monte del Tempio trascinato in mare (cfr. quanto detto a proposito del Tempio nell’articolo Guai a voi! Della scorsa settimana, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-487---13-gennaio-2019/guai-a-voi).

Però il potere riesce ancora a distoglierci dal nostro impegno. Come? Seducendoci, convincendoci che non è il caso di impegnarsi, che non serve pensare con la propria testa, che è meglio lasciar perdere, che c’è già chi pensa per noi. La proposta portataci dai vangeli resta così annacquata, e tutti si adeguano allo stile di vita che ci va abbastanza bene. Il drago c’invita a non sforzarci troppo: il bene che ognuno di noi può fare è troppo piccolo rispetto alla sua forza. Il drago invoglia l’individualismo per impedire di fare la comunità: se poi le persone vedono che in tal modo la società si disgrega si convincono ancora di più di essere impotenti, restano paralizzate e non fanno più niente (Maggi L.), neanche quel poco di bene che potrebbe aiutare a far fiorire la vita. Il drago, però, non è capace di partorire e generare vita, per cui è sconfitto in partenza.

E qui sta il punto! ognuno può fare del bene, cioè comunicare vita, e nessuno può impedirlo. Se non lo si fa è perché si resta bloccati davanti alle fauci del drago. Perché fare l’onesto se tutti rubano? Questa è la forza del drago che ci distoglie dalla capacità che tutti hanno di generare vita. Se solo ci convinciamo che la nostra vita non è in balia di una forza oscura, perché ognuno può decidere se fare il bene o meno, il drago è già sconfitto. Il male è presente e minaccioso, ma non si deve averne paura (Maggioni B.). A questo punto la donna sta per partorire la vita e il drago cerca di mangiare il frutto del parto. Cosa significa? Significa che il credente, nella comunità, deve partorire la vita anche in situazioni ostili, e può farlo solo se vive nell’amore. Se la donna, ragionando freddamente, non si fosse fatta ingravidare in momenti così difficili…questo spera il drago. Ma se invece la donna accoglie l’amore, deve poi anche partorire, ma ha la certezza che nulla andrà perduto quando il suo gesto è stato fecondato dall’amore. Infatti, dice l’Apocalisse, il bambino viene rapito (Ap 12, 5), anche se il drago aspettava di divorarlo. Il rapimento di un neonato può sembrare una tragedia, ma qui costituisce di nuovo una nota positiva, perché vuol dire che quello che di buono (anche se piccolo piccolo, anche se poco) che ognuno di noi fa, non va mai perso. Per quanto piccolo, Dio lo usa per far proseguire il suo progetto. E solo questo che alla fine ci verrà chiesto: abbiamo prodotto vita, oppure abbiamo diffuso solo morte e desolazione nel nostro mondo? Non ci verrà chiesto se credevamo in Dio o nel diavolo, ma cosa abbiamo concretamente fatto.

E il nostro Dio che è sempre in cammino, che agisce sempre, ci apre in continuazione nuove strade sulle quali possiamo realizzare il bene, anche se piccolo. Il bene ha in sé una potenza tale da essere intoccabile. Nessuno, dunque, può impedirci di fare il bene, e già sappiamo che Dio poi lo assume a suo carico. Questa sì che è una Buona Novella! Anche se uno nella sua vita non ha fatto quasi niente, o ha fatto anche del male, se solo ha fatto un pochino di bene, quel bene non va perso. E al momento della morte resterà solo il bene che si è fatto con amore.

La donna – prosegue il racconto apocalittico (Ap 12, 6) - fugge nel deserto e lì vive per tre anni e mezzo. L’autore vuol dire che, di fronte all’attacco minaccioso, la donna deve trovare sempre nuove strade dove questo suo comunicare vita potrà continuare; infatti il deserto è per definizione il luogo della novità. Dio stesso le garantisce il nutrimento per 3 anni e mezzo. Tre e mezzo è la metà di 7, cioè la situazione critica non sarà per sempre visto che 7 significa completezza e la metà di sette è parzialità: la vittoria del bene è sicura, ma il cammino per giungervi passa attraverso il deserto (Maggioni B.), e quindi attraverso la fatica personale.

Com’è successo in cielo, anche in terra alla fine arrivano i nostri: nella concezione ebraica Michele è Dio stesso (il nome significa: chi è come Dio? Ovviamente nessuno). Di fronte alla tendenza del potere di fare la guerra nel cosmo, il nemico sarà costretto a tornare sulla terra, perché in cielo dove ha cercato di insediarsi non c’è posto per i prepotenti ed i violenti. Dio non tollera che, nel suo nome, si aggrediscano e si sottomettano gli altri. I potenti, i dominatori tornano sulla terra con la coda fra le gambe, perché non hanno posto in cielo, come invece ambiscono (Pérez R.). Il “fu gettato” viene ripetuto 3 volte per ribadire che per il potere che s’innalza sopra gli uomini non c’è possibilità di entrare nell’ambito divino: e questo è definitivo (Maggioni B.). Va ripetuto, anche a costo di sembrar noioso, che i numeri hanno sempre valore simbolico, valore figurato: il n.3 significa ciò che è completo, perciò quando una parola è ripetuta tre volte, un avvenimento è ripetuto tre volte, significa che è definitivo.

Il vero potere deriva dall’alto, ma il drago non l’ha. Anche se si veste di tanti titoli onorifici, anche se presenta un’apparente realtà che si vanta delle sue credenziali: gran drago, serpente, diavolo. Nel prosieguo questo gran drago cede il suo potere alla bestia: nel capitolo 13 viene descritta la forma storica in cui il dragone s’incarna: la bestia rappresenta l’idolatria politica e l’ideologia che la sostiene; nel capitolo 14 si descrive la sorte di coloro che sono rimasti fedeli a Cristo e di coloro che hanno adorato la potenza del dragone: non ciò che accade dentro la storia, ma come finisce la storia (Maggioni B.).

Alla fine, leggere l’Apocalisse, come del resto richiedono i 4 Vangeli, obbliga a una scelta. O si sta dalla parte di Dio, o si sta dalla parte del potere (del diavolo o drago), che è ancora minacciosamente presente sulla terra; se stiamo dalla parte del potere rinneghiamo la vita e non cresciamo; non ci aspetta alcun futuro, ma solo la morte: infatti la bestia, l’incarnazione storica del dragone, il volto storico di satana sarà adorata da coloro che non hanno il loro nome scritto nel libro della vita (Ap 13, 8) (cfr. quanto detto nell’articolo Il peccato non è violazione della legge divina, al n.471 di questo giornale). Chi ama la vita e la genera vive per sempre. L’Apocalisse vuol ravvivare l’impegno a mettersi dalla parte di Dio e a non sottomettersi a nessun potere umano (lo si chiami drago, satana, diavolo).

Nei Vangeli, lo si è ormai più volte detto, il diavolo (il drago) sono innanzitutto i farisei, gli scribi, i sacerdoti, i quali non tollerano il modello di umanità che Gesù propone ed il volto di Dio che Gesù propone. Nell’Apocalisse il drago, che è contrario a questo progetto, combatte il disegno, non le singole persone, verso le quali non ha un interesse particolare. Dunque, nulla a che vedere con l’idea che ci siamo fatti del diavolo, che va a tentare direttamente ogni singola persona, e la avvolge nelle sue trame maligne.

Dunque, neanche l’Apocalisse, mi sembra, è in grado di offrire una prova incontrovertibile della dottrina sul diavolo che tradizionalmente ci è stata insegnata.

Dario Culot

[1] La fantasia umana si è sbizzarrita con visioni sempre più catastrofiche dell’Apocalisse; per prendere solo le ultime interpretazioni (Camilleri R., Le lacrime di Maria, ed. Mondadori, Milano, 2013, 42s.), il numero 666 è stato inteso come codice di commercio universale (quello a barre, che appunto contiene tre 6), oppure come un tatuaggio invisibile sulla fronte o sulla mano per una lettura ottica leggibile da poteri oscuri, come la sigla internet www (utilizzando l’alfabeto ebraico, dove ogni lettera corrisponde a un numero), ecc.

Merita, però, qui richiamare sul punto la spiegazione del pastore Ruggero Marchetti: in primo luogo egli ricorda il famoso padre della chiesa antica Ireneo di Lione, che commentando questo passo del “6 ripetuto tre volte” (Ap 13, 18) lo legge così: il numero 6 è il male, l'apostasia, l’iniquità, come risulta dalla Bibbia. Così è quando Noè ha seicento anni e Dio punisce col diluvio l'umanità peccatrice; e ancora, nel libro di Daniele, la statua che il re Nabucodonosor vuole fare adorare (statua che evidentemente per la Bibbia è un simbolo del male), è alta 60 cubiti ed è larga 6 cubiti.

Ovviamente, oltre a Ireneo, molti, in realtà, si sono cimentati col problema del significato simbolico della cifra 6 ripetuta tre volte, e molte sono state le risposte. La più tradizionale e anche la più diffusa è quella che vede nel numero 6 il “7-1”, e cioè la cifra umana (ricordiamo che il nostro testo dice che il 666 “è un numero d'uomo”), di una realtà che non è Dio, ma invece pretende di essere Dio, la cui perfezione è caratterizzata dal numero 7. Quindi 666 esprime il poderoso tentativo di una potenza umana sobillata da Satana (che in questo caso è l'Impero di Roma, non il diavolo salito dall’inferno), di spacciarsi per Dio, tentativo che, per “chi ha mente” è destinato al fallimento: non potrà mai diventare, come Dio, 777.

Insomma, se questa ipotesi è accettabile (e non solo al pastore Marchetti, ma anche a me sembra che lo sia), quando l’Apocalisse dice che il numero della bestia è 666, non intende affatto evidenziarne la misteriosa e terribile potenza, ma anzi al contrario vuole rassicurare i credenti ricordando loro che la sua è una potenza limitata (questo fra l'altro lo rileva anche quando ci dice che poi alla fine si tratta di “un numero d'uomo”). È allora veramente sorprendente pensare a come questo numero sia potuto diventare così inquietante mentre invece dovrebbe tranquillizzare, perché ci dice che al massimo la bestia è “la scimmia di Dio”, e nulla di più.