Ancora sui diavoli

Tienhaarassa (1896) - Hugo Simberg - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Sono in molti che non sono proprio riusciti a digerire l’idea che il diavolo non sia quel cattivo angelo ribelle fatto precipitare da Dio dal cielo all’inferno, sì che qualcuno mi ha scritto ancora, portando passi a conforto della tesi tradizionale, dimenticandosi però di confutare anche le argomentazioni riportate nei miei precedenti articoli. Insomma, sembra che per questi signori qualsiasi resistenza alle loro idee sia semplicemente illegittima ed eretica. La loro idea posso così riassumerla: avendo l’angelo ribelle perduto l’originaria posizione di grande autorità e sapendo di essere ormai irrimediabilmente sconfitto, odia e si oppone a Dio. Egli cerca di ostacolare in tutti i modi, sfigurare e distruggere le opere di Dio, ed odia vedere Dio onorato e servito. Siccome l’essere umano è il coronamento della creazione di Dio, proprio per questo motivo Satana ha indotto il primo uomo e la prima donna a peccare, ribellandosi anch’essi a Dio, e fino ad oggi continua a tenere l’uomo schiavo del male (art. 407 Catechismo) con l’obbiettivo di distruggerlo, rovinarlo, e impedirgli di amare e conoscere Dio. Ed ecco da dove si deve ricavare la storia della ribellione:

a) In Gv 13, 2 si dice che il diavolo aveva ormai convinto Giuda al tradimento. Quindi il diavolo è chiaramente un individuo invisibile, ma esistente e distinto da Giuda.

Rispondo: anche qui non occorre pensare a un essere spirituale invisibile che s’impossessa di Giuda entrando e prendendo possesso del suo cuore, e se non fosse stato per questo essere infido, maligno e invisibile Giuda non avrebbe tradito la causa. In realtà Giuda decide di tradire Gesù per interesse proprio, perché anche lui si aspettava questo Gesù-Messia che sbaragliava gli avversari e instaurava un nuovo regno potente, al quale lui avrebbe preso parte guadagnandoci qualcosa; e invece niente. In quest’ottica, si può anche capire (non giustificare) il tradimento di Giuda, quando si rese conto che Gesù non avrebbe raggiunto nessun risultato che il mondo collegava (e ancora collega) al successo: Giuda pensava cioè di aver perso tempo seguendo un uomo fallimentare. Quando, nell’ultima cena, Giuda prende il pezzo di pane da Gesù, e l’evangelista dice che il diavolo è entrato nel suo cuore, perché decide ormai definitivamente di tradire il Maestro (Gv 13, 27), sta dicendo che Satana può prendere il sopravvento in Giuda perché nel cuore del discepolo non è entrato il messaggio di Gesù: Giuda prende il pane da Gesù, ma non accetta il significato di quel gesto. Però non è che un essere spirituale cattivo sia entrato in quel momento nel cuore di Giuda, quasi a sua insaputa. È Giuda stesso che fa propri i valori del satana, cioè i valori del potere, dell’interesse, ed è incapace di accettare i valori che gli sono stati offerti da Gesù. Se Giuda avesse accettato il messaggio, l’evangelista avrebbe detto che Gesù gli era entrato nel cuore: ovviamente nessuno di noi avrebbe pensato che una persona in carne ed ossa fosse entrata materialmente nel cuore di Giuda, ma solo che il messaggio di quella persona avesse fatto breccia in quel cuore. Gesù è figlio di Dio perché assomiglia al Padre, perché quello che ha, e quello che è, lo dona e chi dona la vita agli altri non perde la propria. Giuda è l’opposto, è il figlio del diavolo perché quello che è degli altri pensa di accumularlo per sé; sottraendo vita agli altri non fa danno solo agli altri, ma anche a sé, per cui la morte, quando sopraggiunge, lo trova svuotato di vita e quindi già nella pienezza della morte.

b) Che l’inferno fosse la pena per i diavoli trova - secondo alcuni - conferma nel canone, visto che in 2Pt 2,4 si legge: “...Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li inabissò, confinandoli negli abissi tenebrosi dell’inferno per esservi custoditi per il giudizio”. L’idea della ribellione degli angeli troverebbe dunque riscontro nelle lettere di Pietro e anche di Giuda (2 Pt 2, 4 e Gd 1, 6).

Rispondo: oggi si concorda sul fatto che le due lettere di Pietro sono quasi certamente opera di suoi seguaci in Roma e sostanzialmente si è d’accordo nel negare la paternità diretta del pescatore di Galilea. Anche se la seconda lettera di Pietro e la lettera di Giuda furono a lungo contestate, esse fanno effettivamente parte del canone. Va, però, notato come la seconda lettera di Pietro, tradotta fino a pochi anni fa nel modo sopra visto, ha perso per strada la parola inferno con le traduzioni più aggiornate: “Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi, tenendoli prigionieri per il giorno del giudizio.” A parte il fatto che Dio non li aveva rinchiusi bene, se questi ex angeli (ora diavoli) potevano evadere a loro piacimento per venire a tentare gli uomini sulla terra, va sottolineato proprio come le traduzioni moderne abbiano cancellato la parola ‘inferno’. Ma se cade l’inferno, cade l’idea che Dio abbia creato l’inferno per mandarvi gli angeli ribelli, ben prima che arrivassero gli uomini.

c) Altri mi fanno notare come stia andando contro tutta la Tradizione plurisecolare la quale indica chiaramente Lucifero come l’angelo ribelle. Era questo il nome di Satana prima della sua rovinosa caduta e l’angelo – anche se decaduto - è effettivamente un essere superiore all’uomo (nn.3 28, 330 Catechismo), per cui l’uomo si trova in difficoltà di fronte a questa maggior forza, per di più di un essere invisibile.

Osservo in primo luogo che Lucifero (che vuol dire portatore di luce) non esiste nelle Scritture come angelo decaduto. La cd. tradizione allora (vedi quanto già detto in proposito al n. 463 di questo giornale) non si fonda sulle Scritture, ma sulla predicazione da un certo punto in poi ripetuta sempre uguale, e che è stata estesa subdolamente al passato. Quindi per tradizione si finisce con l’intendere quanto veniva annunciato autoritativamente dal magistero ecclesiastico, sì che veniva considerato tradizione semplicemente quello che la Chiesa insegnava e predicava. Non a caso si può ricordare che papa Pio IX sosteneva di essere lui la tradizione (Hasler A.B.).

Dunque ci sono stati racconti inventati di sana pianta, ben dopo Gesù, da volenterosi teologi i quali hanno aggiunto nel tempo vari particolari oggi condivisi da molti credenti. Così si racconta, ad esempio, che il capo degli angeli poteva accettare l’idea che Gesù-uomo gli fosse superiore, ma quando Dio rivelò la divina maternità di Maria Santissima, chiedendo di venerarla, Lucifero rispose: “no, non serviam!” cioè non servirò una creatura inferiore a me. Ma così si torna all’assurdità del racconto già evidenziata nell’articolo su Satana: l’inferno risalirebbe appena ai tempi di Gesù; e per di più nessuno, prima di Gesù e Maria, sarebbe potuto finito in un luogo che non esisteva.

Nell’Islam, invece, l’angelo è inferiore all’uomo. Iblis (il Satana), fatto di fuoco, non vuole prosternarsi davanti ad Adamo fatto di terra; non vuole riconoscere Adamo superiore a sé, anche se Dio ha insegnato solo ad Adamo il nome di tutte le cose, che lui invece non conosce, per cui è relegato in una posizione inferiore; Iblis viene allora cacciato perché orgogliosamente disobbediente e diventa avversario di Adamo, non di Dio che non può avere avversari (Corano, La sura della vacca, II, 28- 32). Nell’apocrifo del I secolo Vita latina di Adamo ed Eva (Graf A., Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo), all’angelo che prende il nome di Satana succede esattamente la stessa cosa, per cui si può presumere che l’Islam abbia attinto l’idea proprio da questo filone interpretativo cristiano. Nell’Islam il diavolo sarà autorizzato da Dio a tentare l’uomo, ma con la garanzia – che non viene data nel cristianesimo - che non riuscirà mai a prevalere sul credente, sull’uomo di fede.

Nell’ebraismo, poi, la differenza è ancora maggiore: l’angelo è privo di libero arbitrio, è un semplice messaggero, un nuncius (Gn 22,11), tanto che spesso non viene nemmeno visto come un soggetto diverso da Dio, ma viene invece identificato con l’essenza stessa di Chi lo manda: è la sua longa manus. Solo nei libri deuterocanonici (i 7 libri deuterocanonici del Vecchio Testamento sono 1 e 2 Maccabei, Giuditta, Sapienza, Tobia, Baruc, Siracide) gli angeli cominciano ad aver un nome, una gerarchia, e diventano anche protettori: ma si sa che i deuterocanonici non sono accettati dalla dottrina ebraica ufficiale. Nell’ebraismo non c’è, dunque, la metafora dell’angelo decaduto, proprio perché l’angelo non ha la possibilità di scegliere come l’uomo, e quindi è un individuo che non può ribellarsi a Dio. Nell’ebraismo alcuni angeli sono indicati perfino come animali sacri, cioè sono creature con caratteristiche proprie degli animali, che agiscono d’istinto, a riprova che non hanno libertà di scelta. A differenza degli uomini gli angeli non sono liberi, ma sono predeterminati.

Dunque, tre grandi religioni, tre idee molto diverse fra di loro. Chissà perché quella ufficiale cattolica dovrebbe essere necessariamente l’unica vera.

d) Alcuni ritengono che il “no, non serviam!” si riferisce al rifiuto di obbedire a Dio, e non alla Madonna. E ritengono anche di trovare supporto in alcuni passi biblici (Ez 28, 12-19; Is 14,12).

Sinceramente non vedo come la caduta dell’angelo ribelle possa trovare fondamento nel passo Ez 28, 12-19. Questo non è un passo riguardante il diavolo, ma si riferisce alla caduta della città di Tiro e del suo principe. Del resto, proprio questo passo, finisce con «non esisterai più in eterno» (sic!). Ora, se qui si parlasse veramente del diavolo, il passo sarebbe ovviamente inconciliabile con il potere dato al diavolo di continuare a nuocere all’uomo, perfino all’inferno e per l’eternità.

In Is 14,12 c’è quell’altro passo, indicato anche da papa Innocenzo III nel suo De contemptu mundi come segno sicuro della caduta: “Come mai cadesti dal cielo Lucifero, stella del mattino? Come mai fosti abbattuto a terra, o dominatore di popoli?” Anche qui è piuttosto evidente che se ci si riferiva all’angelo in cielo, ex fedele servitore di Dio, Lucifero non poteva dominare proprio nessun popolo. In realtà la stella del mattino è semplicemente il re di Babilonia che era stato - sì,- un faro nell’antichità (“Lucifero”, cioè “portatore di luce”), aveva – sì, - conquistato tanti popoli, ma alla fine anche Babilonia e il suo re erano cadute rovinosamente: siamo di fronte a una satira della caduta del re di Babilonia (Maggi A.) ad opera di Ciro, il quale ha poi avuto il grande merito di permettere agli ebrei di ritornare nella loro terra, e per questo venne insignito perfino dagli stessi ebrei del titolo di “unto” del Signore, cioè Messia (Is 45,1), o “Ciro il Cristo” se usiamo il termine greco. Nel passo si contesta al re babilonese la superba pretesa di voler salire in cielo e innalzare il suo trono sulle stelle di Dio, facendosi uguale all’Altissimo (Is 14, 13-14). E l’equiparazione del re ad una stella del cielo avviene perché nell’antichità i re erano paragonati alle stelle, e ancora oggi noi continuiamo a usare in parte questa terminologia, quando parliamo di star nel mondo dello spettacolo e dello sport. Poi, mentre nella Bibbia ebraica si parla di astro figlio dell’aurora, nella traduzione greca dei LXX si parla di stella del mattino, che nella Vulgata latina diventa Lucifero. Ma è da notare che, all’inizio, la stella del mattino era per gli stessi credenti immagine del Signore, non del diavolo, come risulta da 2Pt 1, 19 e Ap 22, 16.

E per convincerci ulteriormente che i primi cristiani non credevano affatto – a differenza di noi - alla storiella dell’angelo Lucifero trasformato in diavolo, stella precipitata all’inferno, basta leggere le lettere di Atanasio a Lucifero (in A selected Library of Nicene and Post-Nicene Fathers of the Christian Church): evidente che il famoso teologo Atanasio non stesse scrivendo al diavolo, ma a un vescovo in carne ed ossa.

Poi basta anche sfogliare un’enciclopedia per scoprire che nei primi secoli d.C. “Lucifero” era ancora un bel nome cristiano, tant’è vero che un vescovo di Cagliari del III secolo d.C., fatto pure santo, si chiamava pure lui “Lucifero”. Dobbiamo dedurne che la storia di Lucifero, il bell’angelo decaduto, è stata perciò inventata diversi secoli dopo Gesù Cristo, dovendosi dare per scontato che nessun credente avrebbe dato a suo figlio il nome del diavolo in persona. A questa immagine deteriore ha forse contribuito il libro dei segreti di Enoch, un’apocalisse apocrifa, ove si parla espressamente della cacciata degli angeli ribelli al Cap.XXIX, 3-5, e al Cap. X, 1-6 si parla dell’inferno, dove angeli cattivi tormentano senza pietà i dannati. Però sappiamo che i vangeli apocrifi non possono essere utilizzati per costruire una valida teologia, visto che per la Chiesa solo gli scritti canonici sono sacri e ispirati (n. 105 del Catechismo). Eppure qui, smentendo sé stesso, il magistero ha usato gli scritti apocrifi per formulare una sua dottrina. E la lunga tradizione? Beh! Una lunga tradizione significa solo che racconta qualcosa di vecchio, non qualcosa di vero (Guerriero A.): infatti oggi si racconta una storia di Lucifero che nei primi secoli non era ritenuta vera.

d) “Ma come la mettiamo con Belzebù?” mi chiede un altro, visto che questo è un personaggio specifico e concreto di cui si parla nel Vangelo.

In effetti, nei vangeli, di fronte alle evidenti guarigioni operate da Gesù che non possono essere negate, i dirigenti religiosi avvertono la gente di stare in guardia perché quelle guarigioni non vengono da Dio, ma da Belzebùl. Il Sant’uffizio dell’epoca sta dicendo che Gesù agisce nel mondo come principe dei diavoli e non come portavoce di Dio; perciò quello che alla gente sembra bene è un male che li distruggerà.

È in questa contesto che Gesù afferma che la loro affermazione costituisce il peccato contro lo Spirito Santo: pur constatando che Gesù fa del bene all’uomo, dicono che è male. In Matteo e Marco (Mt 12, 31; Mc 3, 29) questo peccato irremissibile non viene visto come un peccato comune a tutti gli uomini, perché così facendo l’interpretazione resterebbe completamente slegata dal resto del testo; in quel momento Gesù sta contestando questo come un peccato proprio ed esclusivo dei membri del Sant’Uffizio che lo presenta come figlio del male, pur essendo evidente che egli compie il bene.

“Ma in allora non esisteva il Sant’Uffizio!”. Certo, e non esiste neanche oggi! Oggi si chiama “Congregazione per la dottrina della fede”. I nomi cambiano, ma la struttura ed i suoi scopi sono sostanzialmente sempre gli stessi.

Ma chi era questo Belzebùl? Era la forma dispregiativa di Baal (Signore) Zebub (mosche), una divinità cananea (Proch U.) protettrice delle malattie portate dalle mosche (Maggi A.). Anche Belfagor (nome per noi di un altro terribile diavolo) trova del resto la radice sempre in Baal, questo dio dei popoli confinanti con gli ebrei, sempre in lotta con gli israeliti e il loro Yhwh, e trasformato poi in diavolo – col cristianesimo,- al pari di tutte le divinità degli altri popoli pagani (cfr. quanto detto nell’articolo Demoni e diavoli, al n. 476 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-476---28-ottobre-2018/demoni-e-diavoli). Questo Baal è ovviamente ben antecedente a Gesù Cristo.

C’era dunque una divinità nel mondo fenicio chiamata Belzebub, “il signore delle mosche”: era il dio che proteggeva dalle malattie, proteggendo la gente da quelle mosche verdastre e ripugnanti che ancora oggi incontriamo in campagna sugli escrementi: già allora questi insetti erano stati individuati come fonte di malattia. Era una divinità molto importante, al punto che molti ebrei andavano in pellegrinaggio al suo santuario a chiedere la guarigione, quando non la ottenevano all’interno della propria religione. Anche noi moderni, quando non troviamo riscontro nella medicina ufficiale, tendiamo a rivolgerci alla medicina alternativa. I farisei, per frenare questo flusso che si allontanava dal loro Dio ufficiale (c’è scritto nella Bibbia che perfino un re ebreo andò a chiedere la grazia della guarigione a questo Belzebub: 2Re, 1, 2), utilizzarono una tecnica che si usa ancora al giorno d’oggi: cominciarono a denigrare questo dio deformandone il nome, e anziché “Belzebub” lo trasformarono in “Belzebul” (“zebul” con la elle finale significa “letame”, e quindi “signore della merda”) (Maggi A.). Quando (Mc 3, 22) gli scribi del Sant’Uffizio di allora, discesi da Gerusalemme, accusano Gesù di guarire per mezzo di Belzebul e non per mezzo di Dio (giacché è scontato che l’unico vero Dio non può operare di sabato visto che la Bibbia dice espressamente che di sabato anche Dio ha riposato), stanno dicendo alla folla che Gesù sembra guarirli dalle malattie, ma in realtà li sta infettando perché opera attraverso il dio del letame; pertanto, invece del bene, Gesù avrebbe portato il male ai creduloni sempliciotti che si affidavano a lui. Insomma stanno scomunicando Gesù attraverso la sottile arte della diffamazione.

Ma anche in questo caso, Belzebub, Belzebul o Belzebù non ha nulla a che vedere col nostro diavolo. Come si è detto nell’articolo Demoni e diavoli, tutti gli dèi delle altre nazioni sono stati declassati a demoni dalla religione ufficiale. Pertanto, è stata la religione che ci ha instillato questa idea: tutte le religioni pagane sono veri e propri culti al diavolo. Ora che sappiamo chi è effettivamente Belzebù possiamo dire che identificare questo dio col diavolo è stata una conclusione un po’ affrettata del cristianesimo. Se Belzebù era dall’inizio un idolo inesistente, non può essere diventato improvvisamente un diavolo esistente.

E con questo credo di aver parlato anche troppe volte e troppo a lungo del diavolo, per cui mi auguro di non dover più tornare sull’argomento.

Dario Culot