La politica di eros, ovvero “facciamo l’amore”

Via La Marmora 34, foto del direttore

Fa sbellicare dalle risate la riflessione che meriterebbe baciarsi e abbracciarsi e sentirsi reciprocamente le mani per inaugurare l’alternativa.

Che c’entra? Quale alternativa? Ma di cosa stiamo parlando (o sparlando)?

Stupidaggini rodafiane.

Anche perché quella Casa, cosa, in Via La Marmora a Trieste, che sta prendendo forma, nel favoloso mondo di Rodafà, impone – per il sol fatto di esserci – una presa di posizione pubblica, e dunque intrinsecamente politica.

Tutto il pubblico è politico.

Il privato sarebbe invece al riparo da ogni contaminazione, giacché – lo diceva il mio nonno caro – “la politica è sporca”.

Invece, l’alternativa dalla Casa di Rodafà (ormai quasi di prossima inaugurazione) è l’invito a fare l’amore.

A sporcarsi ancora di più.

A disonorarsi ancora più profondamente, cioè a perdere contegno e compostezza, a lasciarsi andare.

In queste ore, no, meglio, in questi secondi, sta montando uno stile sussiegoso di assoluta superiorità nel descrivere gli eventi dell’attualità politica.

Un’eleganza affettata, da zona di sicurezza, che ambisce a chiamarsi fuori da tutto e da tutti e a stagliarsi come fulgida esegesi rispetto alla media dei commentatori politici - tra cui si può annoverare ciascuna e ciascuno di noi -. Spaventa invece, simile brillantissima opacità del dire e dell’argomentare, come tracoma paralizzante di fronte a qualsiasi possibilità di vedere un minimo, di provare a scorgere.

Queste elezioni ci attraversano la vita.

Ci segnano dentro, che ne gioiamo o ce ne dogliamo.

Ma si fa finta di no.

Io non me ne curo. Nessun “I care” per nessuno. No. Vivo bene senza amore.

Ci sono anfratti bellissimi al riparo dai cattivoni, di questa o di quella parte, dove amo stare.

Confortato dai quatto guanciali delle mie sicurezze, magari solo apparenti, magari diverse da quelle esibite. Tengo tutto ben nascosto e non ci riesco mica tanto bene. Ma che importa? L’amore ha sempre a che fare con la cattiveria, magari anche solo come sua negazione.

Mi circondo di cristalli lussuosi dove contemplo la mia immagine pura e preziosa e mi compiaccio di quanto bello sono, di come abbia compreso tutto io, non voi, non loro, non tu, e di come io nulla abbia a che fare né con la crisi della Sinistra né con la vittoria della Destra né con l’affermazione di un nuovo Movimento.

Perché Io sono Altro. E la colpa, o il merito, è degli Altri cui io non appartengo.

Loro sono tanti, io in perfetta e soddisfatta solitudine.

Narciso era un finissimo politico. Ha vinto lui. Io sono lui.

Quando Lacan affermava che il rapporto sessuale non esiste e che l’amore è ciò che supplisce all’assenza del rapporto sessuale si riferiva a questo nulla ben costruito, dove finisce, come in un immondezzaio, ogni idealità, ogni passione, ogni apertura al tu invece che all’io, ogni dedizione a quella primigenia, prototipica, imprescindibile forma di incontro politico – come mi ha insegnato una cara amica – che è appunto il tu, ben prima di un noi già identitario, ma questo afflato, siamo onesti, risulta impraticabile, politicamente inservibile, assolutamente inutile.

Facciamo l’amore? Ma proprio no. Guanti sterili e baci con la visiera. Mani da lavare invece che da baciare.

Fra poco saranno cinque anni dall’elezione di Francesco vescovo di Roma. Il suo discorso di inizio del ministero petrino, come si dice, osò affermazioni del tutto estranee, apparentemente, ad un contesto istituzionale (più di quello papale, figuriamoci un po’).

“Facciamo l’amore”, suggeriscono le pareti del 1914 della Casa di Rodafà.

Ma spiega Francesco papa:

«È custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti.»

O Papa eretico, che metti insieme famiglie ed amicizie, che affermi che di ogni persona si debba aver cura con amore! E la coppia? E il suo delicatissimo, ultra-politico, equilibrio? E io? Che fine faccio?

L’alternativa.

Ricominciare. Fare. Che cosa, lo si è detto e forse anche troppo ripetuto. Università di Nanterre, 1968, compare su altri muri una scritta: “Fate l’amore, non fate la guerra”.

Che sciocchezze.

Meglio piangere di perfetta realizzazione solitaria.

Stefano Sodaro