Il nome delle rose

Chiesa sommersa di San Nicola, 1850, Lago Mavrovo, Repubblica di Macedonia

- foto tratta da commons.wikimedia.org

Tantissime rose rosse, a decine, imbarazzanti, inopportune. Da cardiopalma, da infarto.

La follia del dirsi innamorati senza codici di riferimento, senza percorsi cifrati e dettagliati, senza maglie di protezione e sotterfugi. In pieno sole, in piena luce, pronti alle sberle sonore dei bempensanti.

Trasformare l’amicizia in amore – giammai il contrario – è cosa che proprio non si fa, non s’ha da fare.

Il documento papale che più ha segnato la discussione degli ultimi 3 anni – pubblicato il 19 marzo 2016 – è senza dubbio l’esortazione apostolica “Amoris laetitia”, foriera di dubia cardinalizi di varia provenienza.

Qual è il terribile dilemma che angoscia i suoi critici? La risposta è abbastanza semplice e proprio per questo dirompente, ai limiti del rompicapo canonistico: è possibile un amore matrimoniale – afferma l’esortazione - pur rimanendo in essere, secondo dottrina, un precedente matrimonio sacramentale.

Dire che è possibile un amore matrimoniale, che ha significato ecclesiale benché non sacramentale, significa dire niente poco di meno che è anche possibile una espressività nuziale di questo amore in tutti i suoi aspetti, nessuno escluso.

Lo scatenarsi delle reazioni è quasi scontato. Ed è avvenuto. Ed è forse più diffuso di quanto si pensi.

Ma al di là degli ambiti ecclesiali ed ecclesiastici, l’affanno dell’aut aut è caratteristica tipica della cultura pure laica del nostro tempo e del nostro contesto.

Due matrimoni contemporanei non sono neanche minimamente immaginabili, pena doverli additare e condannare come poligamici, o poliandrici. C’è anzi il rischio, per niente simpatico, di integrare il reato di bigamia con le relative conseguenze di cui all’art. 556 del codice penale.

Ma il pensiero del Papa non può certo immaginarsi come una specie di istigazione alla poligamia, figuriamoci un po’. Il Papa non entra nella sfera di competenza statale per cui il divorzio fa effettivamente cessare gli effetti civili del sacramento, né afferma che il marito divorziato debba ancora considerarsi comunque sposato alla ex moglie o la ex moglie al marito da cui ha divorziato. Non si tratta di questo, si sfiorerebbe il ridicolo. La prospettiva del Papa è escatologica. Vale a dire né appiattita sul realismo dei fatti, né incurante della sofferenza delle persone, né insensibile a possibili strutturazioni dei rapporti interpersonali che non si riescano al momento a decifrare.

Il Papa conosce bene il passo di Luca 20: “Filii saeculi huius nubunt et traduntur ad nuptias; illi autem, qui digni habentur saeculo illo et resurrectione ex mortuis, neque nubunt neque ducunt uxores. Neque enim ultra mori possunt (…).” Ossia: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire (…).”

C’è un rapporto stretto tra codici legali e limitazioni dettate dalla morte. Tra cuore che si vuole espandere e dato di esperienza che glielo vieta.

“Amoris laetitia” innova nella serie dei documenti magisteriali perché s’approssima allo stile di Gesù di Nazaret che sulle proibizioni affettive e sessuali non ha pronunciato parola, mentre ha indicato l’amore come sola possibilità di salvezza, in senso umano, esistenziale, e solo per attrazione anche teologale. Non ci sono amori sacri e amori profani, amori puri e impuri. Tutto ciò che offende e offusca l’amore semplicemente non è amore. E tutto ciò che l’amore richiede è invece anch’esso amore.

Tutte le rose rosse hanno un nome.

Ma neanche il Papa lo conosce.

Fra Osso da Neto