Per Christian Albini

Sono particolarmente commosso apprendendo che Christian Albini, teologo laico di 43 anni, ha salutato, lunedì 9 gennaio 2017, la nostra compagnia terrena per entrare in quella amorosa di Dio.

Riporto qui di seguito un articolo a mia firma comparso sul n. 331 de “Il giornale di Rodafà” del 6 settembre 2015 e intitolato Perché andare ad Assisi, che ripercorreva una vicenda in cui, forse – detto sommessamente, quasi in silenzio, in un sussurro di solo affetto e prossimità -, Christian, socio ATI come me, si sarebbe ritrovato.

Stefano Sodaro

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Sì, circumnavigare il Centro Italia per partecipare alle stimolanti iniziative dell’Associazione Teologica Italiana (ATI) caratterizza le nostre settimane della seconda metà d’agosto sino ai primi giorni di settembre.

Fra pochi giorni, da noi, a Trieste, riapriranno le scuole e certo per alcuni – molti? – diventa poco intellegibile il rapporto tra scuola e teologia.

Ma lo stesso si potrebbe dire di una qualche interferenza – ritenuta del tutto assente – tra lavoro di ogni giorno e teologia, tra affetti e teologia, tra dolori e teologia, tra cucina, sogni, innamoramenti, musica, animali e teologia.

Che vuol dire “teologia”? Ce lo continuiamo a chiedere.

Accadde un pomeriggio di decenni e decenni fa che uno studente triestino in giurisprudenza, molto dubbioso sulla possibilità di riuscire a concludere, e serenamente, il proprio percorso universitario di studi, si alzò dalla scrivania, prese l’impermeabile – poiché la memoria dice che pioveva – e salì solitario verso la biblioteca del seminario vescovile della sua città.

Aveva un quaderno ed una penna sferografica.

Appreso che Adriana Zarri era stata socia dell’ATI, s’era intestardito a voler leggere lo statuto di questa Associazione, introvabile.

Nel silenzio della biblioteca, copiò a mano quel documento e iniziò a rifletterci sopra.

Gli si spalancò davanti un orizzonte di utopia: essere teologo laico, essere teologo non accademico, diventare teologo cioè alla luce di una competenza scientifica extra-teologica.

Ma innervare di umanità profana la teologia e inumidire, o profumare (dipende dalle preferenze sensoriali), di sacralità la laicità erano dimensioni di distanza siderale, troppo lontane, irrealizzabili. Da lasciar perdere.

E fu tentato di lasciar perdere.

Lo studio “matto e disperatissimo” era del resto lì davanti, esigente e protervo.

C’era una serie di laicissimi volumi zeppi di nozioni e interi codici da terminar di apprendere, poco congruenti – apparentemente – con una passione teologica.

Sino a che non fu proprio la lettura di Adriana Zarri ad offrire, a quel misterioso e poco raccomandabile studente, nuove prospettive di impegno e di approfondimento.

Studiare come contemplazione.

Studiare qualunque disciplina come mistagogia, cioè come iniziazione alla stessa alterità di Dio.

La scuola che inizia deve essere momento di pienezza esistenziale. Deve. Sempre.

L’interpretazione diffusa dell’allocazione scolastica dei nostri figli è invece quella di una specie di utile parcheggio per presenze altrimenti ingestibili – proprio come avviene nei tre mesi estivi di vacanza – ed in ogni caso fortemente problematiche.

L’altro che ci sta appresso, che è parte di noi, è sempre un problema: quando è piccolissimo, quando appena impara a staccarsi dai genitori, quando inizia, per appunto, a frequentare la scuola, quando cresce ed entra nell’adolescenza, quando all’adolescenza segue la giovinezza, quando la giovinezza si trasforma in età adulta, quando quell’adulto passa alla terza età. È sempre un problema.

C’è modo di rovesciare la prospettiva?

Bisogna andare ad Assisi.

Provo a spiegarmi.

Mio nipote Alessandro, di tre anni, ha indicato a tutti quanti, con un enorme sorriso di soddisfazione, la centralità di un ritrovato che solo lui conosce e che non si comprende se sia di natura commestibile, tattile, ornitologica o che altro.

Alessandro ci ha insegnato convintamente, dalla temibile cattedra dei suoi tre anni - che ora gli richiedono di andare alla scuola materna -, l’esistenza, imprescindibile per una vita felice, del “pandoro di gabbiano”.

Risate ma anche stupore sino quasi all’imbarazzo dei suoi adulti discepoli udenti.

E che cosa è mai un “pandoro di gabbiano”?

Perché l’espressione qualcosa dice, e sembra qualcosa di bello, gustoso, saporoso, puro, entusiasmante, ma che cos’è?

Ecco, con tutto il rispetto, quando l’ATI, nel corso dei lavori del suo XXIV Congresso Nazionale dal 31 agosto al 4 settembre ad Assisi, si interroga sul significato della soteriologia, non starà forse in definitiva cercando, assieme ad Alessandro, il “pandoro di gabbiano”?

Un pandoro natalizio in piena estate. Che soddisfa e sfama.

Un volo di gabbiano estivo che vince l’afa elevandosi alto sul mare.

La “salvezza” che mai altro può significare se non una visione quasi indescrivibile di qualcosa che si vorrebbe afferrare, definire, e non si riesce, e però risulta necessaria come l’aria per respirare?

Anche la scuola non si può definire compiutamente, non bisogna. Ma di essa c’è bisogno vitale.

Cercare di definire compiutamente la scuola sarebbe come cercare di definire la vita. Non discutiamo al riguardo: è compito della biologia cercare simili definizioni.

Ma c’è anche “il pandoro di gabbiano” di cui dover tenere conto. Con assoluta serietà.

Si va ad Assisi perché totalità e infinito non sono chimere, non sono illusioni, non sono miraggi.

Si va ad Assisi perché il Subasio trancia di netto speculazioni turistiche che, per quanto si affannino, non riescono a impadronirsi della città di Francesco.

Si va ad Assisi perché Assisi è tutta un impasto di amore.

Lo ammettiamo, torniamo sempre lì, o qui: ad invocare amore.

Eppure solo in nome dell’amore si va ad Assisi e poi, felici, si va a scuola, in un’altra città.

Con il cuore gonfio di tutto.

Perché il tutto non basta mai quando è bellezza e appassionato guardare.

Dentro, fuori, oltre, prima, dopo.

Guardare.

Come la domenica invita a fare.

Buona domenica dunque.

E buon inizio di scuola a tutti.

P.S. Se qualcuno fosse interessato a sapere di più dell’ATI, si consiglia di leggere l’agile articolo di Simona Segoloni Ruta, alle pagine da 331 a 335 del numero 2, aprile-giugno 2015, di “Rassegna di Teologia”, dal titolo “Tradurre il Concilio in italiano”, che dà conto della tavola rotonda sulla vita e sull’attività dell’Associazione Teologica Italiana, tenutasi proprio ad Assisi il 6 marzo di quest’anno. Oppure il suo importante volume, dal medesimo titolo, edito nel 2013 per i tipi di Glossa.

Stefano Sodaro