Casa Alta, ovvero dello scalare da sola una vetta

Via La Marmora 34, Trieste, finestre illuminate della Casa di Rodafà - foto del direttore

Il 24 dicembre di quest’anno – pochi giorni fa -, vigilia di Natale, è stata costituita a Trieste (e registrata presso l’Agenzia delle Entrate) l’associazione “Casa Alta”, di cui è presidente il qui scrivente direttore di questo settimanale.

Vicepresidente è stata designata dai fondatori l’attrice di fama internazionale Sara Alzetta (https://it.wikipedia.org/wiki/Sara_Alzetta), segretario la giornalista Emanuela Provera (http://www.chiarelettere.it/author/provera-emanuela/), soci fondatori e membri del primo Consiglio direttivo dell’Associazione il filosofo Emiliano Bazzanella (https://it.wikipedia.org/wiki/Emiliano_Bazzanella) e l’amministratore dello stabile di Via La Marmora 34 – sempre a Trieste, lì dove ha sede anche la “Casa di Rodafà” – Massimiliano Ceschia.

Si tratta di un’altra svolta della nostra storia, una svolta importante, una svolta che avviene dopo l’apertura della nostra “Casa di Rodafà” lo scorso aprile.

La registrazione di “Casa Alta” ha comportato stesura e deposito di atto costitutivo e statuto, che possono essere reperiti e letti al seguente link:

https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/atto-costitutivo-e-statuto-dell-associazione-casa-alta

L’organizzazione associativa, dal punto di vista strettamente giuridico, presenta alcune volute peculiarità, come la non confessionalità della stessa associazione, lo spettro molto ampio di ambiti di interessi culturali che ne costituiscono l’identità, la centralità degli organi associativi specificamente individuati (tra cui, a mero titolo di esempio, la “sovranità” – termine assai moderno - dell’assemblea dei soci e la figura non solo esecutiva del segretario che viene eletto dal Consiglio direttivo ma nominato proprio dall’Assemblea).

Forniremo a breve i dettagli su come fare per associarsi, divenendo così socia o socio: sarà nostra cura indicare importo e modalità di corresponsione della quota associativa annuale che sarà determinata dal Consiglio Direttivo nella sua prima riunione successiva alla fondazione dell’associazione.

La natura rigorosamente apartitica ed apolitica dell’associazione, per quanto paradossale possa sembrare, traduce le istanze più urgenti non tanto di un fare politica assegnando torti agli altri e ragioni a noi quanto di un essere tutti politici ognuno ed ognuna di noi, con la semplice assegnazione di priorità, di scale di valori, con le semplici – o complesse, non cambia – passioni che ci animano.

Un abbraccio è politico, scrivere è politica, anche guardare è politica, anche parlare, anche sognare, anche ascoltare musica e leggere, anche dipingere.

La politica così diviene tutt’uno con la cultura, come è nelle intenzioni di “Casa Alta”.

Una parola credo vada spesa con riguardo ai rapporti tra questa nuova associazione e il nostro giornale, che ha per diverso tempo ipotizzato una diversa concretizzazione associativa di chi si ritrovava, e sperabilmente ancora si ritrova, nella sua linea editoriale immaginando un percorso comunitario che denominammo (consapevoli della sua provvisorietà e precarietà) come “Via Rodafà”, ma che restava troppo interno a strutturazioni più di tipo ecclesiale che di tipo sociale.

I rapporti tra “Casa Alta” e “Il giornale di Rodafà” tuttavia sono strettissimi, perché lo sono tra “Casa Alta” e la “Casa di Rodafà”.

Un soggetto in certo qual modo “istituzionale” – benché meramente associativo -, ma del tutto laico ed aperto a diverse partecipazioni, può essere strumento e luogo di interlocuzioni inedite, che osino sfidare luoghi comuni e preconcetti consolidati e che vadano molto al di là delle appartenenze di fede. Senza nondimeno escludere che, dalla promozione di cultura teologica, che è attività propria anche di “Casa Alta” – insieme a molte altre - a norma dell’art. 3 del suo Statuto, possano fiorire varie iniziative che incrocino di nuovo le, ormai un po’ sopite invero, attese di “Via Rodafà”.

“Ciò che saremo non è stato ancora rivelato”, osa affermare il capitolo 3 (v. 2) della Prima Lettera di Giovanni che prevede la liturgia romana per la domenica odierna.

Questo “non-ancora-essere” è molto consentaneo allo spirito di “Casa Alta”, ma è simbolizzato potentemente ed in modo vivo, personale, sentito fin nella pelle, dall’impresa di una donna – di cui tacerò il nome – che è stata ospite della Casa di Rodafà e che, proprio oggi, domenica 30 dicembre 2018, da sola scalerà una vetta, affrontando un totale isolamento avvolta dal silenzio dalla neve e basta e quasi volendo così suggellare, con un suo personalissimo timbro, con una sua sottoscrizione originalmente autografa, la nascita della nuova associazione.

Liturgia è quella laica, personale, unica e liturgia è anche quella delle assemblee oranti.

L’intitolazione liturgica della prima domenica dopo Natale alla Sacra Famiglia si è purtroppo prestata a stucchevolezze devozionali senza fondamento ma di sicuro effetto acquietante, quasi una specie di narcotico spirituale. È stato celato il dramma di una ragazza madre, l’obbrobrio di una strage, lo sbalestramento emotivo di un uomo che avrebbe voluto avere lui un figlio dalla donna che amava. Tutto è stato ridotto ad un quadro di edificante alienazione dalle più tremende contraddizioni della nostra storia.

Scalare una vetta riporta invece alla concretezza dell’esserci e del non esserci nello stesso tempo. Riporta alla verità di un toccare, di un sentire dentro e fuori, di uno sperimentare e ascoltarsi che finalmente riporta in superficie ciò che è stato cacciato a fondo dalle nostre spesso malate spiritualità.

Ricorda Raniero La Valle che cosa «rispose Ernst Bloch a Jurgen Moltmann che dopo una sua conferenza gli chiedeva perplesso: “Signor Bloch, lei è ateo, nevvero?” E Bloch rispose: sono ateo per amor di Dio.» (http://ranierolavalle.blogspot.com/2017/09/un-dio-che-sorprende.html)

C’è bisogno di rimettere in discussione tutto perché quel Tutto si appalesi nella sua verità. È un tutto che sta in una casa, ma che sta anche in alto.

Nella sua poesia La casa Virgilio Giotti così canta, in dialetto triestino (http://torresani-edu.blogspot.com/2012/11/a-casa-di-giotti.html):

Mia casa, messa in alto

come un nido de usei,

co’ le man mie e i mii oci

fata, nei ani bei

che i mii fioi cresseva

gavevo atorno, e bela

la mama: mia te son,

mia, come lori e ela.

Davero mi me sento

solo con ti, mia casa.

Co te torno, ogni volta

i mii oci i te basa.

Te torno come el sposo

che torna de la sposa,

che nel su’ sol, via i cruzzi,

beato el se riposa.

Rivo suso, mia casa,

e ‘pena che son drento

strachezza e mal de gambe

i sparissi. Me sento

de colpo calai i ani

e san. Franco sui pìe

me movo; e giro, e vardo

le care robe mie;

le carezzo, le indrizzo,

che ogni toco sia bel;

vardo fora el mio monte,

vardo par aria el ziel.

Ch’el par tanto vizin

fora sul pergoleto,

tacado, “casa alta”,

ai orli del tu’ teto.

Nel 2019 ricorreranno i dieci anni di pubblicazione di questo nostro settimanale; nel 2019 saranno dieci anni dall’uscita di Liturgia del quotidiano (https://www.academia.edu/37678530/Liturgia_del_quotidiano._Celebrazioni_laiche_di_vita), da cui prese poi sottotitolo “Il giornale di Rodafà”, quel volumetto ne fu in qualche modo il padre.

Nel 2019 uscirà il numero 500 di questo medesimo nostro giornale.

Nel 2019 saranno vent’anni dalla discussione della prima tesi dedicata in Italia all’ordinazione degli uomini sposati nel diritto delle Chiese Orientali Cattoliche a norma del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali del 1990.

Nel 2019 saranno trecento anni dalla proclamazione di Trieste quale porto franco dell’Impero austro-ungarico, allorché Carlo VI solennemente promulgava:

I. Accordiamo ampia abitanza e libero esercizio di commercio, di manufatture, di opifici, a tutti gli stranieri trafficanti, proprietari di navi, manifattori, ed altri artieri che per cagione di commercio desiderano e vogliono migrare e prendere fissa stanza nei paesi dell’Austria interiore, non soltanto in Portorè e nel Vinodol, ma in qualsiasi altra città, borgata, terra dell’Austria interiore, dove e come meglio loro piace, assicurando loro la protezione occorrente ai commerci e alle industrie.

II. Abbiamo provveduto perché le strade regie siano migliorate, regolate e disposte in modo che siano atte a promuovere il commercio ed al trasporto delle mercanzie secondo gli usi e consuetudini mercantili, e verrà provveduto perché siano fatte praticabili e siano compiute quanto prima, e che vengano mantenute tali anche in futuro.

Ed è perciò che colle presenti concediamo facoltà a tutti i negozianti e mercatori di approdare nei nostri porti e fiumi dell’Austria interiore e Stati ereditari senza qualsiasi salvacondotto, senza qualsiasi licenza speciale e generale, tanto con navigli propri, che con navigli noleggiati, caricati o vuoti, con qualunque siasi effetto, robe e cose mercantili, di farvi stazione e di ripartirne per dove vorranno.

III. A tale oggetto clementissimamente dichiariamo colle presenti temporaneamente porti franchi le due nostre città sull’Adriatico, Trieste e Fiume, nelle quali tutti i trafficanti esteri che approderanno nei porti franchi potranno acquistare in grandissima parte di prima mano, e per conseguenza con grande loro guadagno, quegli effetti delle nostre provincie ereditarie, che prima dovevano provvedere di seconda, terza, quarta e quasi quinta mano, ed avranno facile occasione di trovare ulteriori acquisti.

Nel 1719 così nasceva la Trieste che ancor oggi conosciamo.

E nel 1869 veniva aperto il Canale di Suez, che avrebbe consentito alle Compagnie navali triestine di raggiungere le coste africane e asiatiche.

Abbiamo insomma da festeggiare e abbiamo una storia da scrivere assieme - quella passata ormai si può leggere e dobbiamo farne memoria -, una storia futura da comporre, abitare, vivere con chi lo desideri, senza troppi timori bloccanti, provando a correre il rischio di amare, per davvero, ancora, nonostante errori, cadute, malanni.

Buona domenica e Buon Anno, Buon 2019, a tutte e a tutti.

Arrivederci a Trieste.

Stefano Sodaro