Quondam in vita accidit insanire

Franco Basaglia - foto tratta da commons.wikimedia.org

Altri 40 anni ricorrono proprio questa domenica e, ne abbiamo come l’avvertenza – non so se il presentimento -, faranno in qualche modo capolino anche nella prossima domenica, quella del nostro appuntamento su “Vangelo e liberazione”.

Il 13 maggio 1978 – sempre negli Anni Settanta, neanche a farlo apposta, e solo pochi giorni dopo l’assassinio di Aldo Moro – venne approvata in via definitiva dal Parlamento la cosiddetta “Legge Basaglia”, la 180.

Nel corso di una trasmissione radiofonica (si intitolava “Voi ed io, punto accapo. Musiche e parole provocate dai fatti” e veniva registrata presso gli studi Rai di Firenze) condotta da padre Ernesto Balducci – era il 1977 (ancora...) -, Franco Basaglia afferma che «La speranza è un falso messia, soltanto nella lotta noi possiamo pensare di cambiare qualcosa di reale, ma una lotta nella quale sia possibile intravedere quello che è il futuro».

Balducci aveva introdotto il suo ospite con queste parole: «Anche se a te non importa, io ti considero veramente un cristiano secondo lo stile evangelico che rimette i lebbrosi dentro la città e fa capire ai maestri della legge e ai farisei custodi dell’ordine e dell’etica il sospetto di essere invece coloro che opprimono ed emarginano».

Mentre il prete scolopio ammirava, dunque, il laico psichiatra che attuava una vera e propria rivoluzione – ne ha scritto Pier Aldo Rovatti su “Il Piccolo” di venerdì scorso, registrando come, a livello culturale prima ancora che socioeducativo, dopo Basaglia ci si sia resi conto che “impazzire si può” -, altri ne rimanevano scandalizzati.

Pur avendo al tempo 10 anni, mi emerge vivido dalla memoria lo sprezzo di apostrofare come “un Basaglia” - quasi “sostantivo aggettivato” - chiunque non ritenesse pacifici e indiscutibili presunti dati di realtà, soprattutto quando connessi alla complessità delle vicende umane. Del resto anche dire “un Pasolini” era volgarizzamento obbrobrioso di strami che attorniavano le possibili, allora appena accennate, pluriformità di orientamento sessuale.

Basaglia, parlando della speranza come di una falsa profezia, credo temesse la costruzione di un’acropoli tecnico-professionale, ma anche accademica, anche giornalistica – per dire -, da cui venisse instillato un potente anestetico verso qualunque riscoperta delle soggettività e dei percorsi per il loro pieno riconoscimento pure giuridico.

Perché dovrebbero avere a che fare Basaglia e la 180 con l’evento triestino di domenica prossima a Roiano?

Intanto perché la rivoluzione basagliana ha trovato proprio a Trieste lo spazio fisico di sua attuazione – merita fare anche solo una passeggiata nel Parco di San Giovanni che ospitava il manicomio e dove staziona, in giusto benché ormai silenzioso trionfo, “Marco Cavallo” -.

Ma poi, in particolare, perché il mondo cattolico non si è mai dimostrato – eccezioni balducciane a parte naturalmente – troppo entusiasta di simile sforzo di far venire alla luce le soggettività, i loro diritti, i loro bisogni.

Proprio in quel mondo cattolico di mia appartenenza capitava di sentire distintamente i risolini verso questo o quel “Basaglia”, oppure l’umoristica – e bonaria beninteso, ma assai acre – minaccia di “chiamare Basaglia”.

Ma il Vangelo deve liberare per appunto le soggettività represse. Insegna, il Vangelo, che di tutto giudicherà non la pratica religiosa, non il tempo dedicato alle orazioni, non la partecipazione alla liturgia, non l’osservanza della morale sessuale codificata, ma il dare da mangiare, da bere, il vestire, il prendere a casa, l’andare a trovare.

Qualcuno ricorderà i “cristiani anonimi” di Karl Rahner, di recente – anzi tutt’ora, attualmente in molte delle nostre parti – così vituperati dagli opinionisti cattolici, generalmente antibergogliani, che non tollerano che il Concilio sia stato un nuovo inizio di Chiesa.

Era Basaglia un cristiano anonimo? Balducci lo riconosce senza timori.

Siamo passati per stagioni ecclesiali dove l’anonimato – l’essere sale nel mondo e non saliera, come ebbe ad annotare argutamente un celebre gesuita – è stato additato quale tradimento, cedimento al laicismo.

Invece anche Gesù di Nazaret era un anonimo membro del popolo d’Israele, era “Un tal Jesús”, ricorrendo al titolo di un originale radiofonico degli Anni Ottanta (almeno questa volta!) diffuso in America Latina.

Vedo Franco Basaglia prendere la strada di Via Moreri domenica prossima e prendere posto, silenzioso - al pari di Marco Cavallo -, in sala.

Stefano Sodaro