Amor semper reformandus

A Roma, a Roma, disegno di Rodafà Sosteno

Chiediamo ai figli, alle figlie, di far nascere sogni.

Che abbiano sogni, almeno uno.

Ma loro cercano abbracci, abbracci fortissimi. Solo abbracci. Che non finiscano mai.

Almeno uno.

Abbracciare.

Chi abbraccia è fuori. Lo sappiamo sì?

Forse qualcuno conosce la storia di quel matto che accompagnava le sue amiche alle visite in ospedale e non voleva passare né per padre né per fratello.

È una storia da matti, appunto.

Lo conoscevano tutti, ma aveva comportamenti francamente intollerabili oltre che stravaganti.

Però, e qui sta il bello, lo cercavano mariti indaffarati, madri ammalate, parenti infastiditi.

«Viene lui», il cavalier servente.

Il cicisbeo reloaded.

E lui andava, felice, beato.

«Idiota», dicevano molti, forse tutti.

Perché lui, il matto, voleva bene a tutti e a tutte.

Che nessuno soffrisse più, questo voleva con tutto se stesso, povero principe Myskin dei nostri stivali.

«La signora entra in reparto, lei no.

Lei chi sarebbe, scusi? Il marito?»

«No.»

«Il fratello?»

«No.»

«Il compagno?»

«No.»

«L’amante?»

«No.»

«Il padre?»

«No.»

«Lo zio?»

«No.»

«Il figlio manco glielo chiedo. Ma insomma, lei chi cazzo è?»

E il matto rispondeva, ancora risponde penso (perché secondo me gira ancora): «Sono Agapito.»

E succedeva spesso un casino.

Pensavano li prendesse per i fondelli.

Ma lui se ne restava in angolo, silenzioso, invisibile, persino timoroso.

E poi, quando la dama usciva, lui la abbracciava.

Come una moglie.

Ma non era il marito.

Come una sorella.

Ma non era il fratello.

Come una compagna.

Ma non era il compagno.

Come una amante.

Ma non erano amanti.

Come una figlia.

Ma non era il padre.

Come una nipote.

Ma non era lo zio.

Come una madre, pure sì.

Ma non era il figlio.

E la storia va avanti così, con mille rivoli, mille significati, mille pagine, tutte da scrivere.

Perché conta abbracciare, sragionare, andare di sbieco, ma amare.

Ah questo sì.

Amare.

Tutti siamo figli. Tutti figlie.

Però, se anche i nostri sogni se ne sono ormai andati - chissà -, per abbracciare e lasciarsi abbracciare c'è sempre tempo invece.

Siamo in tempo.

Il tempo che viene.

Adesso.

Di nuovo.

Sempre.

Stefano Sodaro