Quando Gesù diventa Messia

Catacombe di Commodilla, Particolare - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Con riferimento all’affermazione in cui, cercando di chiarire chi era in realtà Gesù (sembra proprio che questa scottante questione abbia suscitato il più grande interesse in assoluto), ho scritto che Gesù è diventato figlio di Dio solo con la resurrezione (n. 447 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numeri-dal-26-al-68/1999992---aprile-2018/numero-447---8-aprile-2018/gesu-non-e-il-verbo), mi si contesta che, secondo la migliore dottrina cattolica (da ultimo Bortuzzo A., Corso sulla Lettera ai Romani, Seminario di Trieste, 6.2.2018) Paolo non volle affatto dire che Gesù era diventato Figlio di Dio appena con la resurrezione, perché lo era da sempre (Rm 1, 2-4), altrimenti cadremmo nell’adozionismo che è stato condannato come eretico.

È vero che, in quel passo, Paolo parla prima del fatto che Dio aveva promesso nelle Scritture l’invio di suo Figlio, poi dice che è nato dal seme di Davide secondo la carne, infine dice che, nella resurrezione, fu costituito Figlio di Dio, cioè Cristo (i due termini, quindi, sono usati come sinonimi nella lettera), secondo la potenza dello Spirito e non più secondo natura.

Secondo chi mi contesta, tuttavia, una corretta interpretazione sarebbe la seguente: Gesù nasce secondo natura, da stirpe regale (discendente di Davide). Come essere umano esisteva ovviamente da almeno 9 mesi prima della nascita, ma diventa visibile a tutti dopo 9 mesi al momento della nascita. Costituito Messia non secondo natura, ma per la forza dello Spirito dopo la resurrezione, significa allora che con la resurrezione viene semplicemente manifestata pubblicamente la sua divinità, che però già esisteva prima. Prima della resurrezione la sua divinità era nascosta, com’è nascosto il bambino nel grembo della madre. Dunque, se la divinità era solo nascosta, Gesù è Dio fin dall’inizio.

C’è chi vede in Gesù una vita umana infusa di divino, e chi una vita divina preesistente da sempre.

Il problema sotteso è sempre lo stesso: come fa Gesù ad essere vero uomo fragile e simultaneamente vero Dio onnipotente? Per la mente resta difficile armonizzare il Dio onnipotente col Gesù debole ed emarginato, e per non mettere in dubbio la sua divinità si finisce inevitabilmente con lo sminuire la sua umanità, ricadendo così nel monofisismo di Eutiche.

Non sarò certamente io a porre fine alla questione con i miei articoli. La spiegazione del prof. Bortuzzo, in linea con l’ortodossia, orienta sicuramente verso l’affermazione della tesi della preesistenza; il riconoscimento di un’acquisizione tardiva del titolo di Messia, molto meno.

Vorrei però ricordare quanto detto la settimana scorsa su cosa deve fare chi vuole tenersi lontano dalle censure ecclesiastiche.

Per fortuna, io sono fuori dell’istituzione, per cui sono libero di usare il comune senso critico e continuare ad esprimere anche il mio aperto dissenso, senza dover temere che qualche autorità gerarchica mi possa inviare una nota di chiarificazione, magari con inclusa la minaccia di togliermi facoltà di scrivere e/o insegnare.

Sia ben chiaro: io non intendo insegnare niente a nessuno, ma non posso credere alla realtà di ciò che la Chiesa racconta se tale insegnamento è inattendibile sul piano scientifico, o se appare contraddittorio e irrazionale, o se ci si trincera dietro al ‘mistero’ non sapendo dare una risposta logica alle proprie affermazioni.

È piuttosto evidente che ci sono molte persone che accettano solo affermazioni che concordano con l’immagine che essi si sono ormai fatta. Se quest’immagine viene messa in crisi, la si nega. È giocoforza, allora, che per molti “credenti in esilio” la strada si stacchi necessariamente da quella percorsa dai tradizionalisti, che anzi viene vista dagli ‘esiliati’ come una vera pietra d’inciampo nel cammino di fede.

Ora, a prescindere da quale sia l’interpretazione corretta di questo passo della lettera ai Romani (anche se mi sembra che la spiegazione più lineare suggerisca che Dio ha elevato Gesù a Messia solo al momento della resurrezione) inviterei il mio contestatore a tornare direttamente al nocciolo della questione, e se è convinto di aver capito tutto, e quindi anche di poter spiegare a tutti come Gesù possa essere in contemporanea Dio perfetto e uomo perfetto, non dovrebbe neanche aver la minima difficoltà a rispondermi a queste semplici domande:

1) Nei vangeli abbondano i dati sulla preghiera di Gesù (Mc 1,35; 6,46; 14,32.35.39; Mt 14,23; 19,13; 26,36.42.44; Lc 3,21; 5,16; 6,12; 9,18.28.29; 11,1; 22,41.44.45). Come mai Gesù prega Dio? Non si prega Dio se si pensa di essere Dio (Augias C. e Pesce M.). Tant’è che, stando sempre alle Scritture, Dio-Padre non prega mai né il Figlio, né lo Spirito Santo. La preghiera è una delle prove più lampanti del fatto che Gesù era un uomo come noi, perché come ogni essere umano credente sentiva la necessità di essere accompagnato dal Trascendente, dal Padre del cielo al quale si rivolgeva con tanta frequenza (Castillo J.M.). Chi prega Dio per essere aiutato, chi riconosce Dio come qualcuno più grande di lui (Gv 14, 28) può essere Dio? (Lenaers R.).

Il card. Sarah (“Vita Nuova” n. 4888/208, p.10) ha detto che «la grandezza dell'uomo, così come la più alta espressione del suo amore verso il suo Creatore, consiste nel mettersi in ginocchio davanti a Dio. Gesù stesso ha pregato in ginocchio alla presenza del Padre...». Il cardinale forse non si è reso conto dell’implicazione della sua affermazione, perché se Gesù s’inginocchiava come ogni bravo uomo che crede, si deve anche dedurre che Gesù era una creatura al pari di ogni essere umano creato. In effetti non ha senso che Dio si metta in ginocchio davanti a Dio.

2) Come mai – se Gesù pensa di essere Dio – dice: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio stesso” (Mc 10, 18). Gesù, parlando qui direttamente, sta rigettando per sé il titolo di Dio; o per lo meno si deve escludere da questo passo che l’evangelista abbia pensato a Gesù come Dio (Brown R.). Razionalmente Michele Serveto (umanista, medico e teologo del 1500) aveva evidenziato che o queste parole non hanno senso, oppure Gesù sta dicendo che esiste una distanza, un solco fra lui e Dio. Questa osservazione, assolutamente logica, gli costò il rogo per eresia, perché per i ferventi fondamentalisti di ogni epoca, che sanno già tutto, ogni obiezione va liquidata sulla base della loro infallibile verità, risparmiandosi il fastidio di rispondere alle altrui obiezioni razionali.

Come ha ben detto il grande Teilhard de Chardin, anche le verità dette in anticipo sono considerate eresie, per cui Serveto, che ha detto una grande verità, è finito fra gli eretici. Ma ricordiamoci che agli occhi dei capi giudei anche Gesù era eretico perché aveva presentato Dio in un modo che si discostava enormemente da quello ufficiale, sì che ritennero fosse volere di Dio metterlo a tacere (Lenaers R.), per sempre. Anche lui aveva detto troppe verità in anticipo.

3) Si è detto che Dio è il Trascendente, e quindi è al di là della esistenza per come possiamo concepirla noi; se pure Gesù è Dio, anche lui dovrebbe essere al di là dell’esistenza; ma allora come ha potuto nascere e morire, cioè vivere un tempo limitato al pari di ogni essere umano? Come può un vero essere umano (così lo definisce Calcedonia) avere lo Spirito Santo esattamente come Dio-Padre ed essere ancora perfettamente umano? Come può un vero uomo (così lo definisce Calcedonia) essere l’incarnazione di un Logos preesistente, eterno e immutabile e rimanere ancora pienamente umano? (Spong J.S.). Ma, anche all’inverso, come qualcosa (Logos), che diventa qualcos’altro (uomo), potrebbe al tempo stesso rimanere esattamente quello che era prima? (Tillich P.). E poi, come l’eterno immutabile potrebbe diventare qualcosa di diverso?

4) Se Gesù era dall’inizio il Figlio di Dio, e non lo è diventato a poco a poco, come poteva “crescere” davanti a Dio in sapienza e grazia (Lc 2, 52)? Se Gesù cresceva dinanzi Dio in sapienza e grazia significa che Gesù non è neanche nato Messia (e ricordiamo che nella lettera ai Romani Figlio di Dio e Messia sono usati come sinonimi). D’altra parte il Messia (come per David) era emerso nel corso degli avvenimenti, e un Messia fatto e rifinito fin dalla nascita non aveva probabilmente gran senso per come la vedeva il contesto ebraico dell’epoca, il quali aveva David come precedente: torniamo cioè al discorso ellenistico che privilegia l’essere, mentre l’ebraico faceva leva sull’accadere; uno diventa, a un certo punto, il Messia, non nasce tale. Mi sembra abbia ben detto Paul Tillich che è la presenza di Dio in Gesù che ne fa il Cristo, e che Gesù è il Cristo in quanto sacrifica ciò che in lui è solamente Gesù. Se fosse già nato perfettamente Messia, perfettamente Figlio di Dio, perfettamente Dio, dovremmo credere a quelli che dicono che Gesù già parlava in culla e da lì faceva miracoli, come raccontano alcuni vangeli apocrifi. Ma di fronte a siffatte evidenze della sua divinità, come mai Maria pensava, al pari dei suoi familiari, che Gesù fosse impazzito e fosse urgente andare a prenderlo perché era diventato fonte d’imbarazzo per il clan, sì che bisognava in fretta riportarlo a casa prima che facesse danni più gravi (Mc 3, 21-33)? Difficilmente questo è il modo d’agire di una vergine madre visitata da un angelo, e a cui questo angelo ha fin preannunciato che avrebbe portato in grembo il figlio di Dio (Spong J.S.).

5) E poi, perché Gesù è andato nel deserto? (Mc 1, 12-15). Evidentemente per prepararsi alla sua missione, esattamente come ogni atleta si prepara scrupolosamente per le sue Olimpiadi, o come chi vuol salire su l’Himalaya si prepara per raggiungere quelle altezze vertiginose. Se fosse stato Dio, sarebbe stato già pronto fin dall’inizio, senza aver bisogno di alcuna preparazione.

Come ha ben spiegato il gesuita José Pagola, il deserto evoca per Gesù il luogo della crisi in cui il popolo è nato e dove bisogna tornare per poter ricominciare di nuovo la storia spezzata. Fin lì non giungono né gli ordini di Roma, né il chiasso del Tempio; non si odono i discorsi dei maestri della legge; invece si può ascoltare Dio nel silenzio e nella solitudine. Se Gesù fosse stato Dio, non doveva cercare il silenzio per ascoltare sé stesso.

6) Siamo noi uomini che spesso, abusando del nome di Dio, ci arroghiamo il potere di escludere altri uomini. Gesù, invece, ha detto che il Padre è l’agricoltore, lui è la vite, e gli altri sono i tralci (Gv 15, 1-8). Sicuramente la vite è più affine ai tralci che all’agricoltore. Per di più Gesù dice che solo l’agricoltore taglia e pota; neanche lui lo fa, tant’è che non esclude mai nessuno (Gv 6, 37). Quindi il Padre è superiore a Gesù, perché non è la vita che si auto-amputa dei tralci secchi; e siamo noi che spesso ci sentiamo superiori a Dio tagliando tralci (uomini) che secondo noi non portano frutto (divorziati, omosessuali, stranieri di altre religioni).

7) Gesù dice: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4, 34). Ma se lui era Dio, non compiva la sua propria volontà? non compiva l’opera che lui stesso voleva?

E poi, se le tre persone della Trinità hanno pari uguaglianza, nessuno poteva mandarlo; al più, in comunione con le altre due persone, tutti e tre dovevano aver deciso insieme che lui sarebbe sceso in terra. Se viene mandato è subordinato a chi lo manda. Oggi si riconosce che l’autorità del messaggero, la sua dottrina e bontà hanno la loro origine in Dio che lo ha inviato, non in lui stesso (Schillebeeckx E.), per cui Gesù non può essere Dio.

8) Come mai - se Gesù è Dio - dice che solo il Padre sa l’ora e il giorno in cui si verificheranno gli eventi apocalittici da lui affermati (il sole si oscurerà, le stelle cadranno, ecc.) (Mt 24, 36; Mc 13, 32)? Se Gesù era onnisciente essendo Dio lo doveva sapere anche lui, e avrebbe al più potuto dire ai suoi che questa data non gliela poteva dire. La frase indica chiaramente che non è possibile stabilire un’identità di natura fra il Padre e il Figlio.

E, allo stesso modo, come mai Gesù mostra sorpresa davanti alla fede del centurione (Lc 7, 9)? Se era onnisciente sapeva già tutto in anticipo, per cui non poteva stupirsi.

Non mi si può neanche dire che come uomo non sapeva, ma come Dio sapeva, perché essendo un’unica persona, - non siamo davanti a due persone distinte, una umana e una divina, - o sapeva o non sapeva.

9) Come fa Gesù a dire che chi crede in lui farà opere anche più grandi di quelle che ha fatto lui? (Gv 14, 12). Quale uomo potrebbe fare opere più grandi di quelle che riesce a fare Dio?

Né mi si può venir a dire che qui Gesù parlava di opere che faceva come uomo: il magistero ci ha a lungo raccontato dei miracoli di Gesù, e per fare miracoli – cioè per sospendere le leggi della natura che valgono per tutti gli uomini - Gesù doveva attingere alle sue capacità soprannaturali. Quando si sostiene che Gesù ha perfino resuscitato i morti (Mt 11, 5 e Gv 14, 12) non può aver agito con poteri meramente umani, tant’è che non risulta che ci sia neanche un morto resuscitato in tutta la storia della Chiesa. Tutti allora senza fede, compresi tutti i papi e gli innumerevoli santi?

10) Come mai il diavolo tenta Gesù (Lc 4, 1ss.; Mc 1, 13)? Sarebbe stato assurdo tentarlo sapendo che era Dio. E non basta dire che ha tentato l’uomo Gesù, perché anche in questo caso il diavolo, già conoscendo la verità che il dogma conciliare avrebbe espresso solo in seguito, sapeva da subito che in Gesù vi sono due volontà che non erano in contrasto fra loro perché la volontà umana seguiva, senza opposizione o riluttanza, la sua volontà divina e onnipotente. Per il diavolo era una partita persa in partenza. Quindi, di nuovo saremmo davanti a un racconto privo di senso.

Comunque, oggi sappiamo bene che in un’unica persona non ci possono essere due volontà, salvo che si tratti di uno schizofrenico con la mente dissociata. Eppure il magistero continua ad insegnarci che in Gesù c’è un’unica persona divina, ma due volontà distinte (umana e divina).

Superfluo, a questo punto, aggiungere che tutte queste domande vengono azzerate in un sol colpo se riteniamo che Gesù non sia Dio per identità, ma semplicemente uomo.

Dunque, come ogni buon gesuita, forse dovrei rispondere a chi mi contesta con una raffica di domande (e ne potrete trovare anche molte altre nel mio libro C'è Gesù e Gesù, ed. Vertigo, 2017), e dirgli che prima risponde lui alle mie domande, e solo se le risposte saranno convincenti potrò anche accettare l’interpretazione del prof. Bortuzzo sulla lettera ai Romani. Ma visto che ormai siamo in ballo, rispondo anche direttamente all’obiezione.

Primo punto. Il verbo che è stato usato in italiano nell’ultima edizione del 2008 della versione della CEI, e anche nella Bibbia di Gerusalemme, non è: ‘dichiarato Messia’, ma “costituito Messia”, verbo che richiama l’organizzare, il fondare, il nominare a un incarico nuovo, cioè si riferisce a un qualcosa che prima non esisteva. Non c’è alcun valore dichiarativo nel verbo costituire. La differenza si nota assai bene nel campo legale. Quando il giudice dichiara nullo un contratto, pronuncia una sentenza dichiarativa e significa che quel contratto già dall’inizio era nullo, e quindi come non fosse mai esistito: nulla è cambiato, fra prima e dopo; quando il giudice pronuncia un divorzio, pronuncia una sentenza costitutiva che modifica una situazione che prima non esisteva, scioglie cioè un matrimonio che fino a quel momento esisteva: tutto è cambiato rispetto a prima.

Se il magistero ha scelto di tradurre col verbo “costituire” e non ‘dichiarare’ vuol dire che c’è stato un cambiamento radicale, è stata introdotta una novità che prima non esisteva: prima non era Messia, poi lo diventa.

Quindi, a me sembra che proprio in base al tenore letterale della scelta di traduzione, senza fare alti voli pindarici, si debba concludere che Gesù è diventato figlio di Dio e Messia, non lo era da sempre.

Del resto anche negli Atti, che riportano alcune espressioni iniziali degli apostoli: Pietro afferma che Gesù è stato costituito Cristo (At 2, 36) nella resurrezione (stante il collegamento con At 2, 32).

Secondo punto. Non solo dalla lettera ai Romani, ma anche da altre lettere attribuite a Paolo, emerge che la signoria per Gesù non è una dignità inizialmente tenuta nascosta e alla fine pubblicamente recuperata, ma acquistata per la prima volta con la resurrezione. Infatti Paolo ricorda che Gesù è nato uomo, fragile come tutti gli uomini (Gal 4, 4), ma la morte non è stata una catastrofe, bensì una grazia, perché a quel punto è stato costituito Signore, una condizione di gloria che Cristo si è conquistato (Fil 2, 11) con la sua vita terrena (Ortensio da Spinetoli), giungendo a compimento della sua missione.

Sempre Paolo, in altra lettera, parla di Gesù come icona di Dio (Col 1, 15). Ho già detto nell’articolo presente al n. 447 di questa rivista, e qui ribadisco, che l’immagine di una cosa non è mai quella cosa in sé e non può sostituirsi ad essa.

Terzo punto. Lo stesso Paolo - o qualcuno della sua scuola che ha scritto la lettera agli Ebrei (Eb 1,2) - dice che Dio ha “costituito” il Figlio erede di tutte le cose. Ora, l’erede non può mai essere identificato con chi lascia i suoi beni in eredità, trattandosi di due soggetti completamente diversi.

Inoltre, prima di essere costituiti eredi non si è tali, e ciò dipende dall’esclusiva volontà di chi lascia in eredità, sì che la nomina ad erede ha valore costitutivo (appena da quel momento in poi), e non dichiarativo di uno stato che già prima esisteva. Qui sembra ancor più chiaro che, per Paolo, Gesù era il Messia di Dio, ma non Dio stesso (Lenaers R.).

Quarto punto. Filippo chiede a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14, 8). La richiesta non avrebbe senso se solo Filippo avesse pensato che anche il suo Maestro era Dio (Gv 14, 8), e che quindi aveva già Dio davanti a sé. Ciò che in realtà chiede Filippo è che Gesù «mostri» loro, anzi di più, che «faccia vedere» Dio, l'invisibile che mai si fa vedere. Orbene, davanti a questa richiesta, la risposta di Gesù è alquanto sorprendente: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?» (Gv 14, 9). Ora, Filippo chiede di conoscere Dio riuscendo finalmente a vederlo, e Gesù risponde appellandosi alla conoscenza che i discepoli hanno di lui stesso. Sarebbe stato ragionevole che Filippo replicasse: «Non voglio conoscere te, voglio conoscere Dio». Ma Gesù lo previene aggiungendo in modo semplice ma secco: «chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14, 9). Vale a dire, in Gesù si vede Dio, ma non si dice che Gesù è Dio. Filippo aveva fatto una domanda affinché potesse conoscere, ma Gesù risponde in relazione a quello che si vede. La conoscenza di Dio si ottiene dalla visione di un essere umano, perché questo e non altro è ciò che «vedevano» i discepoli in Gesù. La sorprendente innovazione, che Gesù introdusse nel fatto di conoscere Dio, sta nel fatto che il Trascendente e l’Invisibile si fece immanente e visibile in quell’uomo che era Gesù. Ecco il contributo che il cristianesimo dà al problema di Dio e alle nostre possibilità di conoscenza e di avvicinamento a Lui (Castillo J.M.). Ma, ripeto, neanche in questo caso Gesù ha detto ai suoi discepoli che lui era Dio.

Quinto punto. Sempre negli Atti degli Apostoli (At 3, 13) lo stesso Pietro qualifica Gesù come servo di Dio, il che conferma che essi non lo vedevano affatto come Dio, esattamente come il servo del centurione (Lc 7, 7) - in greco viene usato entrambe le volte lo stesso termine - non era pari al centurione. Ora, che Dio possa essere servo di sé stesso suona piuttosto strano, per cui mi sembra più logica la tesi secondo cui Gesù, mero uomo, è diventato Figlio di Dio nella morte e resurrezione, quando con atto di fiducia suprema in Dio ha continuato ad amare, ad esprimere il perdono, la misericordia anche nel momento supremo della violenza, nel momento supremo dell’uccisione, dell’odio, della violenza contro di lui.

Dario Culot