Ma Gesù ha fondato questa Chiesa?

Fiera del Libro di Torino, anno 2006 - foto tratta da commons.wikimedia.org

Il n. 846 del Catechismo vigente afferma categoricamente che «la Chiesa cattolica fu fondata da Dio per mezzo di Gesù», avendo Dio donato tutta la sua pienezza a Cristo capo della Chiesa (Ef 5, 23), che a sua volta l’ha donata alla Chiesa. Cristo è stato inviato da Dio e gli apostoli da Cristo (Clemente, Lettera ai Corinti, XLII, 2; Ignazio, Efesini, 1.4), il quale ha così dato inizio all’istituzione Chiesa. Egli ha nominato Pietro suo successore diretto, capo degli apostoli e di tutta la Chiesa, ma dando al contempo a tutti gli apostoli il potere di governarla. Prima di morire, gli apostoli, unici depositari dei pieni poteri e della suprema autorità con giurisdizione su tutta la terra, hanno istituito i vescovi (Schindler P.), e dato ordine che alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini provati. Pertanto i vescovi sono i diretti successori degli apostoli (cardinal Dulles A.), e questa continua catena permette alla gerarchia della Chiesa di governare su tutto il popolo laico dei credenti, i quali devono obbedire a Dio osservando le sue leggi, custodite ed interpretate esclusivamente dal magistero della Chiesa cattolica (nn. 85 ss.,754, 888ss., 1269 del Catechismo).

È evidente che tutta questa ricostruzione si focalizza sulla Chiesa intesa come istituzione organizzata piramidalmente, che con autorità insegna al gregge laico, il quale sembra essere formato solo da spettatori passivi. In effetti, fino a Papa Benedetto XVI ci si è trovati davanti a una Chiesa gerarchica, in cui l’autorità non doveva essere messa in discussione e dove l’obbedienza era considerata una virtù di primaria importanza. Ma col concilio Vaticano II, anche se non tutti se ne sono accorti, è cambiato tutto perché il gregge, in precedenza posto ai margini, partecipa ora a un «sacerdozio comune a tutti i fedeli»; siamo cioè tutti un solo popolo di sacerdoti (come ha plasticamente affermato la Costituzione dogmatica Lumen Gentium § 10), e non di sudditi spettatori. Anche se i più, quando parlano di sacerdoti, continuano a pensare solo al clero (parola che neanche esiste nei vangeli), dopo il concilio è stato espressamente chiarito che tutti i laici (non solo i maschi, ma anche le femmine) sono sacerdoti, come lo sono i chierici.

Sacerdote è l’intermediario che, mettendo in relazione il sacro col profano, è capace di comunicare direttamente con Dio. Popolo sacerdotale significa allora un popolo dove tutti possono ormai comunicare direttamente con Dio senza più bisogno dell’intermediazione dei preti. La Chiesa non può più essere, come in passato, un apparato estraneo che ci si presentava dal di fuori, vissu­ta e percepita come una specie di ufficio divino, ma deve essere sen­tita viva nei cuori di tutti come qualcosa che ci toc­ca dal di dentro (così il papa emerito) perché anche noi dobbiamo darci da fare per contribuire a edificarla, non essendo già una struttura bella e finita, ma essendo in continua costruzione ed evoluzione. Il clero gerarchicamente strutturato deve limitarsi ad essere al servizio del popolo di Dio. Clero e laici sono chiamati a collaborare insieme, tenendo sempre presente che mai nei vangeli viene detto che i laici devono obbedire ai chierici. Del resto Gesù era laico e non sacerdote, ed era stato assai critico nei confronti della pomposità e dell’autoritarismo della gerarchia, invitando i suoi più stretti discepoli ad essere servitori, visto che lui stesso era venuto per servire e non per comandare ed essere servito (Mc 10, 45). Come ha ben detto Papa Francesco, fidarsi di Dio, ascoltarlo e mettersi in cammino, questo è fare Chiesa: «non possiamo essere buoni cristiani se non insieme a tutti coloro che cercano di seguire Gesù, come un unico popolo, un unico corpo, e questo è la Chiesa. Dio “vuole la salvezza per tutti” (1 Tm 2, 4)». Di conseguenza per questo papa essere Chiesa «significa essere Popolo di Dio in accordo con il grande progetto d'amore del Padre», dimostrando di essere «fermento di Dio in mezzo all’umanità».

Il problema è che fin dall’inizio la Chiesa ha invece cominciato a vivere, a organizzarsi e a gestirsi gerarchicamente sulla base delle regole dettate da Paolo, senza conoscere il Vangelo di Gesù.

La distinzione che mette al di sopra degli altri la gerarchia ecclesiastica, creando quindi sacerdoti docenti e laici discenti ed obbedienti, esisteva già nell’ebraismo, e Gesù aveva dimostrato (Gv 9, 39; 10, 21) l’incompatibilità del suo messaggio con l’istituzione giudaica, annunciando perciò il proposito di condurre coloro che lo seguivano fuori di essa, per formare una nuova comunità (ecclesia) umana libera, che godesse della pienezza che egli comunicava (Mateos J. e Barreto J). Ecclesia significa in effetti convocazione, e in ogni assemblea i convocati discutono ed esprimono liberamente le proprie opinioni. Invece, in poco tempo, l’istituzione religiosa cattolica ha finito col trasformare la convocazione come un perentorio invito all’ordine: accettare senza discutere ciò che veniva deciso in alto. Il cattolicesimo si è via via costruito sull’obbedienza gerarchica. In particolare dal 1500 al 1900, la Chiesa cattolica – anche per contrapporsi al protestantesimo,- si è sempre più identificata con il papato e la curia romana. Dire Chiesa era dire gerarchia. Il centro era Roma; tutto il resto doveva ruotare attorno al centro. Ovviamente, per coloro i quali pensano che sia stato Gesù in persona a costruire una simile Chiesa, Papa Francesco la sta distruggendo, e neanche si lasciano sfiorare dall’idea che questo papa stia semplicemente applicando quello che vien detto nei vangeli, mentre l’idea tradizionalista della Chiesa cattolica è quella pervenutaci dopo l’anno mille. Proprio guardando ai vangeli, dunque, si può dire che non era sicuramente questa che oggi abbiamo la Chiesa-comunità che Gesù aveva in mente, perché i vangeli indicano chiaramente Gesù come unico pastore, che ha condotto (le pecore) le persone fuori del recinto creato dall’istituzione religiosa (Gv 10, 3), liberandole come Mosè ha liberato il suo popolo dalla schiavitù egiziana attraverso l’Esodo. Questa immagine di pecore ‘condotte fuori’ emerge ripetutamente dopo lo scontro fra Gesù e l’autorità ecclesiastica: l’istituzione che detiene ogni potere ha sempre la pretesa di essere l’unica a sapere cosa Dio vuole, è convinta che la sua dottrina infallibilmente insegnata non possa essere sbagliata, per cui, ad esempio, il nato cieco doveva riconoscere che per lui sarebbe stato meglio restare privo di vista piuttosto che essere guarito di sabato da un peccatore (Gv 9, 24); ma mentre la conoscenza dei capi religiosi si fonda sulla dottrina da essi elaborata e in base a questa Gesù è peccatore avendo violato il comandamento del sabato, la conoscenza dell’ex cieco è basata sull’esperienza per cui, se prima non vedeva e ora vede, Gesù è il suo salvatore. Salvatore qui sulla terra, non per l’aldilà. Il magistero oppone la fredda dottrina all’esperienza di vita (Maggi A.). Dice l’evangelista: «Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4, 8). La conoscenza di Dio non nasce da un sapere, da una dottrina, ma da un’esperienza. Gesù, in effetti, non vuole dottrine, ma esperienze; non vuole che ci sia un magistero docente e un gregge di pecore discente; non vuole soggetti agenti (sacerdoti) e soggetti pazienti (laici); non vuole né capi, né maestri: “Tra voi non sia così! nessuno si faccia chiamare capo, nessuno si faccia chiamare maestro, nessuno si faccia chiamare padre” (Mt 23, 8-10). Se dunque ci sono capi e maestri vuol dire che si sono autonominati tali, e se Gesù non li vuole non c’è obbligo di obbedire a chi si è autoposizionato su un gradino più alto. Ricordo quanto detto ormai altre volte: se le congregazioni romane che presiedono alla dottrina della fede fossero state di quel valore che pretendono di avere e che molti, oggi, riconoscono loro, Cristo l’avrebbe detto: “un giorno a Roma si fonderanno questi dicasteri, ascoltateli!” E invece Gesù non solo non ha mai parlato di Roma, non solo non ha mai accennato a una piramide gerarchica di capi, ma ha detto di ascoltare lo Spirito santo (Vannucci G.). Lo Spirito santo ognuno lo ascolta in sé, e non può essere il clero ad ascoltarlo per gli altri. Gesù non ha neanche ordinato di ascoltare Pietro come suo successore in terra, né i vari vescovi che sarebbero succeduti agli apostoli, e non ha neanche lontanamente descritto la Chiesa come: una, santa, cattolica, apostolica e romana. Invece, fino all’ultimo concilio, il Credo veniva recitato proprio in questi termini, senza che nessuno di questi termini si trovasse nei vangeli, per cui oggi Papa Francesco cerca, a ragione, di rimettere al centro i vangeli che s’interessano della persona, e non la Chiesa interessata piuttosto ai rituali liturgici, ai principi non negoziabili e alla retta dottrina.

Anche stando all’Apocalisse, quando all’interno della Chiesa una persona singola o un gruppo pretendono di erigersi come unici modelli e come guide di povere pecore incapaci di gestirsi da sé, imponendo i propri criteri al resto della comunità, si vengono a creare quelle divisioni che feriscono mortalmente l’unità: e questo modo di essere Chiesa viene contestato alla chiesa di Tiàtira (Ap 2, 20-29). Forse che la curia vaticana non ricorda abbastanza da vicino la chiesa di Tiàtira? Non può essere allora questo il modello da seguire, che a un certo punto della storia è arrivato perfino a sostenere che la Chiesa è Cristo: piena identità fra i due. Se così fosse, chi afferma questo dovrebbe prima spiegarci una cosa: se la Chiesa è Cristo, visto che Cristo è Dio, come fa la Chiesa a non essere anche Dio? Perché se a=b, e b=c, anche a=c.

La Chiesa dovrebbe portare all’unità, non alla divisione, ma ciò è impossibile se un gruppo pretende di imporre le sue idee nella convinzione di essere il possessore esclusivo della verità, e l’autorità inconfutabile, quando (almeno in occidente) oggi non si accetta più l’autorità che pretende di essere autorità. Come già diceva padre Turoldo, la Chiesa istituzione si sente oggi giudicata e, dopo tanti secoli di esercizio di potere autoritario, questo non riesce a digerirlo; la Chiesa povera e dei poveri, la Chiesa sobria ed essenziale (come quella auspicata da Papa Francesco), di per sé diventa un giudizio per la Chiesa del potere, potente nelle sue alleanze e nelle sue preferenze. E i poveri, se si rallegrano per la Chiesa povera che resta autorevole, si allontanano da quella che vuol restare autoritaria.

Nei vangeli ci s’imbatte spesso in dure polemiche da parte di Gesù nei confronti dell’istituzione religiosa gerarchica che pretendeva d’imporsi con autorità (cfr. Mc 1, 27). Ma se gli evangelisti riportano queste polemiche non è per raccontare un conflitto con il mondo giudaico ormai definitivamente superato dopo duemila anni; siamo davanti a un monito sempre attuale per le comunità cristiane affinché al loro interno non si ripetano gli stessi meccanismi perversi della religione giudaica (Maggi A.): essere guidati da un’elite che si reputa infallibile e che pretende di governare tutti gli altri in base alle sue regole. Dove si accentra troppo potere, nascono facilmente gli abusi, e qui ricordo che alla domanda “cos’è il potere?”, Andreotti aveva così risposto: “È occupare una posizione di cui si può abusare; chi non può mai abusare non ha neanche alcun potere”. Come ha scritto Stefano Sodaro nel n. 495 di questo giornale (https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-495---10-marzo-2019/rodafa), la tentazione del potere è formidabile. Se poi è tentazione di potere sacro, diventa quasi irresistibile. È sotto gli occhi di tutti che la Chiesa, per come la conosciamo, cioè nella sua forma piramidale gerarchica vecchia di secoli, con tutti i suoi abusi di potere (pensiamo solo al ‘silenziamento’ dei teologi dissenzienti, ai suoi scandali finanziari, agli scandali dell’omosessualità e della pedofilia coperti a lungo da tanti ‘successori degli apostoli’ al fine di salvaguardare l’onore dell’istituzione, e solo ultimamente venuti alla luce costringendola a risarcimenti miliardari), stia morendo. Credo che la Chiesa giunta fino a noi dai secoli passati, che ha dato prevalenza alle osservanze, autorità e riti, presentandoci un Dio cupo e vendicativo, non abbia più un grande futuro, perché i Vangeli vengono oggi letti in modo diverso, essendo cambiata la cultura. Oggi come oggi, mi sembra che l’unica garanzia di essere in comunione con Gesù non si avrà mai da un rito, da uno stile di vita religioso, dalle devozioni, dalle preghiere, ma solo dal fatto di mettersi al servizio degli altri. È Gesù stesso che lo ha detto a Pietro: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” (Gv 13, 8). Chi non accetta il servizio di Gesù, non ha nulla a che fare col Dio di Gesù che si mette a servizio degli uomini, chiedendo poi che ciascuno si metta a servizio degli altri.

Perciò, anche se il cardinal Müller ha recentemente affermato che Gesù Cristo in persona ha fondato questa Chiesa come segno visibile e strumento di salvezza, credo si possa tranquillamente smentirlo nel senso che Gesù non ha mai istituito formalmente alcuna Chiesa, tant’è che essa non può vantare di basarsi su decreti espliciti coi quali egli avrebbe previsto una nuova istituzione religiosa, né tanto meno le sue attuali forme organizzative (Castillo J.M.). Neanche da nessuno dei vangeli è possibile derivare indicazioni chiare e precise relative a strutture istituzionali della Chiesa, perché mai viene riportata una parola di Gesù detta in pubblico per rendere la gente edotta della costituzione di una nuova Chiesa (Küng H.).

Gesù non diede neanche alcun incarico per reintegrare il numero degli apostoli, tanto che Mattia venne scelto su iniziativa esclusiva degli apostoli rimasti (At 1, 15-26), non su ordine di Gesù. Perciò i vescovi successori di Mattia non farebbero parte della catena Gesù-apostoli da lui nominati-vescovi da essi nominati.

Sul punto, mi viene in mente l’osservazione di Leonardo Boff: se fosse veramente arrivato il regno di Dio che lo stesso Gesù prevedeva come imminente, non ci sarebbe stato alcun bisogno della Chiesa. Perché avrebbe dovuto istituirla? Forse non a caso, allora, il concilio Vaticano II (Costituzione Lumen Gentium § 5, 1), proprio nell’affrontare il tema concreto della «fondazione della Chiesa», si era limitato a dire che Gesù diede inizio (punto di partenza - initium fecit) predicando la buona novella, cioè l’avvento del Regno di Dio. In effetti, nei quattro vangeli viene usata ben 122 volte la parola “regno di Dio,” ma solo due volte la parola “Chiesa” (Mt 16, 18; Mt 18, 17). Dunque, stando ai vangeli, a Gesù stava a cuore non una nuova Chiesa, ma il “regno di Dio”; e con questa espressione nei vangeli s’intende indicare ciò che succede quando Dio si fa presente nella vita di una persona, di un gruppo umano, o anche di un’istituzione (Castillo J.M.).

C'è da chiedersi: come mai, prima di Papa Francesco, si è sentito parlare tanto di Chiesa, ma così poco del regno di Dio, cioè del progetto di Dio nella storia umana? Forse perché la Chiesa, seguendo sempre Paolo, ha finito col porre il regno di Dio in cielo (Fil 3, 20: la nostra cittadinanza è nei cieli), mentre nella bocca di Gesù il regno di Dio non era per lassù, ma doveva stare quaggiù, già per i vivi. La Chiesa si è affrettata a porre il regno di Dio soprattutto dopo la morte, come per assopire la voglia di lottare affinché il regno di Dio si stabilisse nella storia. Ecco perché Marx aveva accusato la religione cristiana di essere l’oppio dei popoli. Al contrario, Gesù, nell’annunciare il regno di Dio qui in terra, era diventato automaticamente una minaccia concreta per ogni regno terreno dell’epoca: altro che oppio narcotizzante. Annunciare un altro regno dentro l’impero dei Cesari, con la sua gerarchia ben fissata, lo rendeva di per sé un pericoloso sovversivo, e infatti l’hanno ammazzato quasi subito.

In realtà la nostra Chiesa è sorta nella storia non su indicazione di Gesù, ma attraverso un processo evolutivo, cominciato con san Paolo, che prese l’iniziativa di fondare varie comunità (chiese), e poiché neanche Paolo faceva parte del gruppo dei dodici, nemmeno per lui può parlarsi di successione apostolica dei tanti vescovi da lui nominati e lasciati a capo delle varie comunità che aveva fondato.

Il Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 576 e 583), per sollecitare noi ad essere ossequienti alla gerarchia ecclesiastica, afferma che Gesù, come prima di lui i profeti, ha manifestato per il Tempio di Gerusalemme il più profondo rispetto. Con tutto il dovuto rispetto per chi ha scritto il Catechismo, non mi sembra proprio. Mai nei vangeli si dice che Gesù, durante la sua vita pubblica, si sia recato al Tempio per pregare o per partecipare ai vari atti liturgici, sacrifici, offerte, cerimonie religiose o culti. Lo stesso va detto per quando Gesù andava nelle sinagoghe: il racconto della guarigione dell’uomo dalla mano paralizzata nella sinagoga (Mc 3, 6) (cfr. l’articolo Il peccato non è violazione della legge divina al n. 471 di questa rivista, https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-471---23-settembre-2018/il-peccato-non-e-violazione-della-legge-divina)), ad esempio, dimostra solo una cosa: per Gesù era più importante la salute umana (la guarigione immediata) che il rispetto delle regole religiose (l’osservanza del sabato).

Dunque, sia al Tempio che nelle sinagoghe, Gesù è andato solo per portare il suo messaggio, con parole e con i fatti. Cosa vuol dire questo? Vuol dire, come ben spiega il teologo Castillo, che Gesù non incontrava il Padre nello spazio sacro del Tempio, e neanche nel tempo sacro del culto religioso. Gesù ha parlato del Padre e col Padre, ma sempre nello spazio profano della campagna o della montagna e nel tempo profano della convivenza con la gente, con ogni tipo di persone. Anzi ha denunciato la corruzione del Tempio e la sua distruzione definitiva. Se Gesù non incontrava il Padre nel Tempio, anche per noi sarà difficile incontrare il Dio di Gesù nel Tempio di oggi (nelle chiese), nei suoi rituali e nelle cerimonie sacre. Neanche le cerimonie religiose che si celebrano nel Tempio di oggi (le messe) sembrano dunque il mezzo che Dio richiede per relazionarsi con Lui. Tant’è che Gesù arriva a dire che è già arrivato il tempo in cui i veri adoratori non adoreranno Dio in nessun tempio specifico («né su questo monte, né a Gerusalemme»), ma per dare vero culto al Padre lo si adorerà in “spirito e verità” (Gv 4, 20-24). Comunque s’interpreti questa frase, viene ribadito che, in fondo, lo spazio sacro riservato dagli uomini di Chiesa per adorare Dio non è il luogo appropriato per incontrarlo. Pensiamo solo alla deformazione dell’eucarestia: Gesù ha istituito una cena condivisa, e ora noi abbiamo una messa: abbiamo completamente separato la vita e il rito.

Dopo secoli d’insegnamento costante da parte del magistero, molti sono ancora oggi convinti che Dio lo si possa incontrare solo in un luogo santo, nelle cerimonie sacre. Sono ancora in tanti a pensare, per questo, che i preti debbano limitarsi a parlare solo di Dio e debbano stare solo accanto all'altare perché essi sono destinati solo alla preghiera e al tabernacolo (in tal senso "Vita Nuova", rivista diocesana di Trieste del 7.7.2017), quando Gesù non ha fatto niente di tutto questo. Sono ancora in tanti a pensare che nella vita presente i credenti debbano stare lontani dagli empi e dai nemici di Dio (divorziati, omosessuali, non credenti o credenti di altre religioni), potendo avvicinare con cautela i peccatori solo a patto che non rechino danno alla nostra anima, che si mostrino pentiti dei loro peccati, e che con essi ci si possa accordare nel conseguimento di qualche obiettivo giusto e onesto (così, ad es., il domenicano Cavalcoli G.), quando Gesù frequentava e pranzava tranquillamente con i peccatori. Forse dovremmo allora soffermarci e meditare su cosa significhi l’espressione “spirito e verità” (Gv 4, 23). Non sarà che il vero culto a Dio non può essere né limitato, né circoscritto in un luogo determinato, per quanto santo sia questo luogo? E per portare il discorso a un livello più pratico, se il Dio che s’incontra di domenica in chiesa non è poi lo stesso Dio che s’incontra anche nel resto dei giorni della settimana per strada, sul lavoro, nel relazionarsi con gli altri (magari coi migranti che preferiremmo restassero a casa loro), significa che, dopo duemila anni, buona parte del mondo che si proclama cristiano non ha ancora incontrato il Dio di Gesù.

Gesù vide con assoluta lungimiranza che la pretesa sacralità del Tempio e le sue cerimonie sono la prima causa della pericolosa tranquillità di coscienza e perfino della presunzione che lascia tante persone soddisfatte dopo aver adempiuto al rito, diventato fine a sé stesso; il rito cioè si è ridotto a un rituale. Perché di questo è convinta la gente più fedele alla religione, al culto sacro. Invece la Chiesa non può essere una realtà prevalentemente rituale, perché così nasce il rischio che, come in allora per il Tempio di Gerusalemme (la casa di Dio in terra - Zc 8, 3), anche la Chiesa di oggi venga trasformata in un mercato dove il vero dio sono i soldi, il profitto, l’onore dei sacerdoti. Gesù non si è mosso dentro l’ambito del sacro per rinnovarlo, ma è venuto ad eliminare questa spelonca di ladroni dove in nome dell’interesse e del profitto si era prostituito il volto di Dio perché, come già diceva Cicerone, non c’è santità che il denaro non riesca a violare. E chi erano i ladroni? Ovviamente i sacerdoti del sacro Tempio (Maggi A.). Altrettanto evidente che Gesù non ha mostrato rispetto alcuno per la gerarchia ecclesiastica: i vangeli dimostrano che Gesù non ce l’aveva solo con i sacerdoti, ma anche con gli scribi, perché era la teologia dei teologi di allora a giustificare la rapina perpetrata dai briganti (Ger 8, 8: la penna menzognera degli scribi). Negli scribi operava il diavolo, perché c’era malignità nei loro cuori (Mt 9, 4), e la malignità richiama l’azione del maligno (Mt 5, 37). Inoltre, tutti coloro che vendono o comprano nell’area sacra del Tempio partecipano dello stesso culto empio, e Gesù non accetta questo culto a un dio che chiede insaziabilmente agli uomini, un dio che vuole i sacrifici. Con la cacciata dal Tempio (Gv 2, 13-16) Gesù ha eliminato il culto a Dio fatto nel luogo sacro, allontanando sia i venditori sia gli acquirenti: erroneamente, dunque, ci hanno parlato di cacciata dei soli mercanti dal Tempio. Il Tempio (la Chiesa di allora) presentava un’immagine falsa di Dio, quella di un dio che sfrutta gli uomini, soprattutto i più deboli; il culto nella casa di Dio era diventato un mezzo per sfruttare soprattutto la povera gente, tant’è che Gesù rimprovera solo i venditori di colombe (Gv 2, 16), cioè l’animale di minor prezzo usato appunto per la purificazione dei poveri (Lv 5, 7). E subito dopo la cacciata, avendo Gesù dimostrato che nel santuario (nella Chiesa) non c’era Dio, ma imperava mammona, cosa succede? Succede che gli si avvicinarono i ciechi e gli storpi (si riteneva allora che la malattia fosse causata dal peccato), considerati impuri per natura e indegni quindi di entrare nel santuario, ed egli li guarì (Mt 21,14): ecco che gli esclusi dalla religione, i peccatori da cui bisognava stare lontani si possono finalmente avvicinare. Ecco che gli esclusi dalla religione, i signori “nessuno” hanno capito chi è veramente Dio, cosa che i saggi ed istruiti sacerdoti, i teologi e i “professionisti” della religione non avevano capito (Mt 11, 25).

Tutto questo significa chiaramente che il «progetto di Gesù» non coincideva col «progetto della religione» (Castillo J.M.), e se la funzione della Chiesa “serve” a rendere testimonianza al Maestro e condurre come comunità a Cristo (Curtaz P.), il progetto di Gesù ancora oggi non corrisponde al progetto di religione insegnatoci dalla Chiesa, col quale invece si è conferita dignità, si sono offerti gradi e rango ai suoi rappresentanti inserendoli come notabili nei livelli più alti della società, il che poco e male si concilia con la vita delle persone che vivono più in basso nella scala sociale: guardate solo dove vien fatto accomodare il vescovo nelle cerimonie ufficiali e come ancora non molto tempo fa era stato criticato il vescovo don Tonino Bello per aver dato gran parte della sua casa diocesana a persone senza tetto e in difficoltà. Per questo non c’è da stupirsi se di frequente le persone più duramente intolleranti con gli altri sono proprio quelle che, a partire dalla loro religiosità, si sono forgiate a colpi di verità assolute, di principi non negoziabili e indiscutibili e per questo si sentono incapaci di tollerare ciò che si oppone al loro modo di vedere le cose, soprattutto se sono cose di Dio. Gesù cercò di farla finita con tutto questo. Da qui la sua originalità e la sua grandezza, come pure il motivo del suo fallimento e della sua palpitante attualità (Castillo J.M.).

Detto con le crude parole della parabola evangelica del figlio apparentemente cattivo perché disobbediente al padre, e dell'altro apparentemente buono perché obbediente, sembra che per il Dio di Gesù l’obbedienza ai superiori non sia una virtù, che sia preferibile vivere anche una vita disastrata, se alla fine si fa ciò che Dio chiede, piuttosto che vivere apparentemente come persone pie, tutto chiesa e preghiera, per poi non fare la volontà di Dio (Mt 21, 28-32); è cioè preferibile essere prostitute o ladri (come lo erano i pubblicani), e magari anche drogati se alla fine ci si converte, piuttosto che essere vescovi, sacerdoti o riveriti membri della Chiesa apparentemente obbedienti al Padre, però incapaci di convertirsi perché convinti di non aver alcun bisogno di conversione, sicuri di essere perfetti cristiani perché già si stanno osservando le regole divine e si resta lontano dai peccatori. Oggi chi di noi accetta di sentire l'opinione di un gay, di un drogato o di una prostituta che magari va contro l'opinione della Conferenza episcopale? (domanda intrigante posta da Sicre Diaz J., Los gais e lesbianas os llevan la delantera, in http://elevangeliodeldomingojlsicre.blogspot.com/2014/09/los-gais-y-lesbianas-os-llevan-la.html). Oggi il Dio di Gesù non lo troviamo affatto nella sottomissione incondizionata alla Legge religiosa, con le sue proibizioni, le sue minacce e condanne, perché Gesù relativizzò anche le leggi religiose e riconobbe loro valore solo se servivano per dare vita a tutti gli esseri umani, per rispettare i loro diritti e la loro dignità, rendendoli più sereni.

Obietterà qualcuno che quanto dico non tiene conto del fatto che quando, dopo tre giorni, i genitori trovarono Gesù proprio nel Tempio, egli aveva detto: “non sapete che io mi devo occupare di quanto riguarda il Padre mio?” (Lc 2, 46), per cui per Gesù il Tempio era sacro. È vero, ma questo non accadde durante la sua vita pubblica. Gesù adolescente andava ancora al Tempio proprio perché avrebbe preso a poco a poco coscienza della sua missione. All’inizio, educato com’era alla religione ebraica, aveva ovviamente cominciato dal luogo più sacro per la sua religione. Gesù, fin da bambino, era impregnato della propria religione, ed è difficile per tutti scrollarsela di dosso. Esattamente per questo ancora oggi molti genitori fanno battezzare subito i propri bimbi per paura del limbo: idea più o meno abbandonata perfino da gran parte del magistero, ma ormai entrata nel nostro DNA (cfr. l’articolo Il Limbo, al n. 454 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numeri-dal-26-al-68/1999993---maggio-2018/numero-454---27-maggio-2018/il-limbo). Esattamente lo stesso succedeva agli apostoli che raccoglievano le spighe nel campo e si sentivano in colpa a causa della religione (Lc 6, 1-2): mica i farisei erano nascosti fra le spighe per vederli e rimproverarli. Il comportamento di Gesù, che ha violato insistentemente il precetto del sabato, mostra con assoluta chiarezza che per il vangelo la salute, la vita e la dignità dell’uomo vengono prima e sono più importanti della santità e dell’osservanza delle regole, anche se di provenienza asseritamente divina. Queste violazioni dimostrano che, per Gesù, l’umano viene prima del divino. Non c’è dubbio, invece, che questa Chiesa ha dato per secoli più importanza alle regole divine e alla religione che al vangelo.

Certo è inevitabile che, come il gruppo cresce, cominci ad aver bisogno di organizzarsi. Quando una struttura cresce deve essere amministrata, crescono le problematiche pratiche: però Gesù sapeva bene che a quel punto lo spirito decresce mentre cresce la fredda burocrazia, l’impianto amministrativo. Più l'organizzazione si allarga e più manca di spirito; più s’impantana nella routine quotidiana, e più manca di spirito, perché l'organizzazione tende a prendere il sopravvento sullo spirito. Per questo, neanche quando si era reso conto che era prossimo alla fine, Gesù aveva deciso di nominare un suo successore e di istituire una Chiesa ufficiale, dove tutto è stato determinato, o per imposizione o per proibizione. Imposizione e proibizione richiamano infatti il concetto di potere. In questo senso oggi l’istituzione fa problema, al punto che la Chiesa è divenuta per molti, essa stessa, l’ostacolo principale alla fede. Non sono parole mie; le ha dette mestamente papa Benedetto XVI (Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 330). In quest’ottica, ma riferendosi al potere laico, il poeta russo Evtušenko aveva saggiamente scritto che non tutte le colpe, nella recente storia sovietica, potevano essere attribuite ai governanti che dominavano in Russia. La gente «ha consentito alla cricca di fare tutto quel che voleva. Permettere i crimini è un modo di partecipare a essi, e storicamente siamo abituati a permetterli. È tempo di smettere di dare la colpa di tutto alla burocrazia, all’istituzione. Se tolleriamo qualcosa, allora ce lo meritiamo» (We Humiliate Ourselves, “Time”, 27 giugno 1988, p. 30). Potremmo dire lo stesso per la Chiesa. Quando diciamo “Chiesa,” dovremmo innanzitutto pensare a noi stessi e valutare se stiamo dando un contributo al progresso della Chiesa, nella sua vocazione di essere la risposta libera e incarnata a Cristo, il Liberatore» (così Bernhard Häring). Se ci lamentiamo in silenzio, ma stiamo zitti davanti alla gerarchia, ci meritiamo la Chiesa autoritaria che abbiamo avuto.

Qual è la missione della Chiesa? Predicare la Buona Novella, per mostrare alla gente la via per vivere meglio su questa terra, favorire un’esperienza di Dio per risvegliare nel genere umano lo spirito di Dio e offrire quello Spirito come un dono creativo alle culture del nostro tempo. Insomma, tutte le Chiese (magistero e comunità laica insieme), e non solo quella cattolica, dovrebbero essere solo un tentativo di portare un messaggio, vivo e attuale. Null’altro dovrebbero pretendere di essere.

Notate allora come i tradizionalisti, che non fanno mai riferimento al Vangelo, possono dire come Marcello Veneziani (nel programma condotto da Augias su Tv 3, in febbraio), che Papa Francesco sta annullando la Chiesa Cattolica e formandone un'altra di sua invenzione. Forse questi tradizionalisti, che si richiamano ai bei tempi passati, sono capaci di vivere tranquillamente d’accordo con la Chiesa ed in disaccordo con il Vangelo, essendo per loro normale vivere allo stesso tempo dentro l’ortodossia dogmatica e fuori del modo di vivere attraverso cui ci è stato rivelato il Dio di Gesù. Se meditassimo più a fondo su questo punto, forse ci renderemmo conto che è a causa di questo dis-allineamento (non certo a causa di Papa Francesco che ha riposizionato al primo posto il Vangelo) che la Chiesa ha perso in questi ultimi decenni sia tanti preti che hanno gettato la tonaca, sia tanti laici che hanno smesso di frequentarla.

È evidente che oggi, nella Chiesa, abbiamo varie correnti. Ma queste strade diverse non devono spaventarci. Fin dall’inizio esisteva una gran varietà di gruppi che si sono estesi con rapidità rivendicando la memoria di Gesù. I loro contorni ideologici erano imprecisi, poco istituzionalizzati e a volte si trovavano in conflitto fra di loro; solo a poco a poco si formò una linea preponderante che riuscì ad imporsi fino a convertirsi in pura ortodossia (Aguirre D.R., El mito de los orígenes de la iglesia, relazione tenuta a Bilbao il 15.11.2004, in

http://servicios.elcorreo.com/auladecultura/rafael_aguirre1.html). Gli stessi 12 apostoli erano diversi fra di loro: c’era il conservatore, ma c’era anche il rivoluzionario, lo zelota: l’unità era data solo da Gesù. Anche l’Apocalisse riconosceva che diverse sono le chiese e diverse possono essere le strade, per cui si scopre che fin dall’origine dell’istituzione esistevano la complessità e la conflittualità, sì che la pretesa di una Chiesa unitaria e monolitica, che percorre compatta un’unica strada, è ingenua. Non di questo, allora, dovremmo preoccuparci, ma del fatto di non riuscire a rapportarci tutti con rispetto. Come aveva auspicato il cardinal Martini (ne Il vangelo secondo Giovanni, ed. Borla, Roma, 1980, 157s.) si deve dar atto che “nella Chiesa di oggi che va alla ricerca dei segni coesistono diversi temperamenti, diverse mentalità, diverse famiglie di spiriti che cercano i segni della presenza del Signore. Ma tutti, se sono veramente nella Chiesa, hanno l’ansia della presenza di Gesù tra noi. Esistono quindi nella Chiesa diversi doni spirituali, da cui hanno origine diverse disposizioni: alcuni sono più veloci, altri più lenti; tutti comunque si aiutano a vicenda, rispettandosi reciprocamente, per cercare insieme i segni della presenza di Dio e comunicarceli, nonostante le diversità delle reazioni di fronte al mistero…Quando manca la presenza dei segni visibili del signore bisogna scuotersi, muoversi, correre, cercare, comunicare agli altri, con la certezza che Dio è presente e ci parla. Se nella Chiesa primitiva Maddalena non avesse agito in tal modo, comunicando di corsa agli altri ciò che sapeva, il sepolcro sarebbe rimasto là e nessuno ci sarebbe andato.”

Credo che Papa Francesco, il quale cerca di scuotere, far correre, farci dialogare, abbia imboccato la giusta direzione per la Chiesa di domani, mentre cercar di respingere tutti sulla vecchia strada tradizionale, tornando a trascinare tutti nei templi affinché assistano ai servizi religiosi, magari rigorosamente in latino, affinché ricevano sacramenti, venerino i santi, siano fedeli alle consegne del clero, ecc., cioè tornare sulla strada che il cattolicesimo percorreva cinquanta e più anni fa, accontenterà certamente persone di vecchio stile e di mentalità conservatrice, ma col rischio di perdere sempre più contatto con la realtà del nuovo che avanza e non si può fermare. Se il Vangelo non fosse prevalso sulla tradizione, il nostro capo politico locale (che so, il sindaco o il prefetto o forse anche il vescovo che in passato accumulava anche una carica politica) avrebbe ancora lo jus primae noctis sulle nostre mogli, di mitologica memoria. Se Einstein fosse rimasto ancorato alla tradizione, non avrebbe rivoluzionato le conoscenze tradizionali su spazio, tempo ed energia. Occorreva intuizione, brillantezza, originalità. Di questo ha bisogno anche la Chiesa di oggi; ha bisogno, come ha detto il cardinal Kasper, di una nuova Maria Maddalena che la mattina di Pasqua risvegli gli Apostoli dal loro letargo e li rimetta in moto. Però il cardinale ha anche aggiunto che la risposta ai “segni dei tempi” non arriverà facilmente né da Roma (soprattutto se dopo Francesco la curia riuscirà a mettere sulla cattedra un papa conservatore), né dalle conferenze episcopali, ma piuttosto da donne profetiche come Maria Maddalena.

Dario Culot