Quel sinodal nostro prete

Il 16 ottobre 2004 era di sabato.

Alla messa vespertina, celebrato un battesimo, il parroco della Parrocchia di S. Teresa del Bambin Gesù, a Trieste, prese tra le mani il maschietto di due mesi, completamente nudo, e dall’altare benedisse l’assemblea con il corpo e la vita di quel neobattezzato.

Emozioni, nodi in gola, occhi spalancati, silenzi, applausi, sorrisi attoniti sino alla stupefazione.

Un bimbo nudo, non che benedice ma che costituisce la stessa benedizione di Dio, un ostensorio di carne pulsante.

Nello scorso mese, mi pare su Radiotre, ho ascoltato un’interessante riflessione che distingueva tra luoghi che evocano una memoria e memorie che però non stanno più in quei luoghi. Dissociazioni esiziali tra luoghi e memorie, che poi fabbricano il mito attuale della delocalizzazione: nessun luogo, nessuna memoria. E alla lunga, nessuna vita.

Trieste è invece un luogo in cui la memoria ha fatto e fa soste anche troppo lunghe. Qui tutto è memoria e tutto è luogo.

Ogni sasso di strada, ogni albero, ogni muro ne ha viste, letteralmente, di tutti i colori.

E il mare è lì, qui, a lambire la memoria, come a proteggerla, come a rinnovarla, come a farla rivivere.

A Trieste luogo e memoria fanno tutt’uno. Chi ha provato a districare il viluppo ne è rimasto aggrovigliato.

La notizia di oggi, martedì 15 settembre 2015, è che il Papa ha nominato il “Rev.mo Mons. Roberto Rosa, Parroco della Parrocchia di San Giacomo Apostolo, Trieste (Italia)” (cfr. http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/09/15/0676/01469.html) partecipante alla XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che si celebrerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre 2015 prossimi.

Prima di essere Parroco di San Giacomo, Mons. Rosa – al tempo Don Roberto – è stato Parroco di S. Teresa.

La Curia di Trieste ha pure emesso un Comunicato, che si può leggere al seguente link http://www.vitanuovatrieste.it/il-papa-chiama-don-roberto-rosa-al-sinodo-sulla-famiglia/.

Noi – usiamolo per una volta questo “plurale humilitatis” – vogliamo un bene tale alla Chiesa di Trieste che è come se parlassimo di quanto di più caro possiamo avere.

Forse è difficile da capire per chi non avverte simili trasporti – mica è obbligatorio, ci mancherebbe -, ma quella Madre che ci ha nutrito al seno della fede comunitaria ha i tratti di tanti, di tante, ha i contorni e lo spessore di storie, di percorsi, di momenti, di passioni, di contraddizioni, di sofferenze, di entusiasmi, di sorprese, di strazi, di dolori lunghi che segnano e avvolgono interamente la nostra vita. Che sono parte di noi.

Il bimbo nudo, Matteo mio figlio, issato in benedizione la sera del 16 ottobre 2004 a Trieste era il segno di una Chiesa nuda, povera, infante, incapace cioè di dire parole inutili, ed eloquente nella testimonianza invece dell’unica Parola.

Ha ragione la Curia: la decisione odierna del Papa coinvolge l’intera Chiesa di Trieste con l’intero suo Presbiterio – prima la Chiesa, e poi il Presbiterio, che ad essa appartiene e di cui non è elemento estraneo o superiore -.

La Chiesa di Trieste è fatta di persone normalissime, che si vogliono bene, che si cercano, che si interrogano.

Soprattutto – dovrebbe essere chiaro, lo è a chi studia – di persone che hanno una storia. Una storia ecclesiale.

Una storia importante, decisiva anzi. Una storia che non inizia pochi anni fa ma che neppure si può semplicemente collocare archeologicamente, musealmente, agli inizi dell’era cristiana sino a quella medievale o dei primi Novecento.

È una storia contemporanea di Chiesa che Trieste porta con sé e in sé.

Una storia che – proviamo a darne alcune connotazioni – incrocia la Seconda Guerra Mondiale e l’episcopato di Mons. Antonio Santin. Poi conosce la straordinaria stagione partecipativa del vescovo Lorenzo Bellomi. Poi l’afflato pastorale innamorato della gente del vescovo Eugenio Ravignani. E poi l’attuale tempo presente, con il vescovo Giampaolo Crepaldi, venuto dalla Curia Romana. Che incrocia, a sua volta, il pontificato di Francesco, venuto “dall’altro mondo”.

Chi ricorda il Convegno del 1978 “Trieste, Cristiani a confronto”?

Fu l’inizio di tante cose, di tante scelte, di tanti amori ecclesiali veri.

Chi ricorda il documento del 1985 della Chiesa triestina “Una Chiesa a servizio della città”? Si può vedere al link

https://books.google.it/books?id=1gM5AQAAMAAJ&pg=PA161&lpg=PA161&dq=una+Chiesa+a+servizio+della+citt%C3%A0+bellomi&source=bl&ots=i4wTM_ksxa&sig=ZZSg20h2vwqC-Atwc7ZyDOqQitA&hl=it&sa=X&ved=0CCEQ6AEwAGoVChMIiLrjw_f5xwIVBnEUCh1A1wcR#v=onepage&q=una%20Chiesa%20a%20servizio%20della%20citt%C3%A0%20bellomi&f=false

Lo riconosciamo: ci salgono le lacrime agli occhi al ricordo della nostra storia.

Perché – sarà il caso di precisarlo un momento – qui la memoria diventa tutt’uno con i luoghi e inizia a parlare davvero, se la memoria, invece di diventare memorialistica, si fa memoriale. Memoriale liturgico, in senso propriamente teologico.

A noi pare di scorgere secondo questo quadro compositivo la partecipazione di Mons. Rosa al Sinodo della Chiesa Universale.

Celebrazione di un memoriale che dilata i confini del nostro mondo cittadino e diocesano, geograficamente piuttosto angusti – pensiamo sia indubitabile -, alle dimensioni del Mondo, sapendo che con il Mondo, nel Cristo, Dio ha fatto pace e non lo ha condannato.

Innamorandosi, Dio, delle nostre vie, delle nostre case, dei nostri appartamenti, delle nostre solitudini, delle nostre vecchiaie e, persino, dei nostri fallimenti e delle nostre disperazioni.

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.

La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti.

Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.»

Proemio della “Gaudium et spes”. Che, ripetuto a Trieste, stasera, convoca il microcosmo delle storie locali nel rimando delle narrazioni personali, comunitarie, familiari, laiche e presbiterali, e pure diaconali.

È la storia intera della Chiesa di Trieste ad accompagnare il parroco triestino – nonché Vicario Episcopale per il Coordinamento Pastorale – scelto dal Papa quale partecipante al Sinodo.

Una storia bella, nostra, intima ed universale.

Una storia – soprattutto – che ha davanti a sé un futuro di speranza.

Solo a crederci.

Auguri, don Roberto. Ti siamo a ti stiamo vicini.

Stefano Sodaro