Amico ossimoro

Si è spento Edoardo Kanzian, a pochi giorni dalla scomparsa di Margherita Hack.

Forse non è un caso.

I due si erano incontrati più volte negli ultimi anni, insieme al genetista Edoardo Boncinelli: non si parlò in quelle occasioni di questioni prettamente scientifiche, ma di Giacomo Leopardi, poeta cantore del pessimismo cosmico, capace tuttavia di coniugare la cosiddetta cultura umanistica con quella scientifica.

Kanzian era un pensatore onnivoro, curioso come può esserlo un bambino.

E come i bambini non era un “sistematico”, ma si muoveva per passione, interesse, suggestione estetica.

Anzi, se proprio vogliamo connotare – e se è lecito e possibile siffatto esercizio - la sua vita, potremmo farlo proprio attraverso la musica, quel flusso di suoni che induce la nostalgia e la “sensazione” del tempo, ma che offre anche ristoro e rassicurazione, come i ritornelli canticchiati dalla mamma al proprio figliolo.

L’ultima volta che ho potuto parlare con lui l’altra settimana, mi pregò di alzare la radiolina che aveva innanzi a sé: “è bella la musica”, mi disse quali ultime parole.

Il Jazz, suo grande amore giovanile coltivato da autodidatta, assimila la costanza di una base ritmica tranquillizzante con l’imprevedibilità delle variazioni e dei virtuosismi tecnici. Il fraseggio, l’improvvisazione assieme alla ricerca di una stabilità e di un qualche fondamento.

E in fondo Kanzian era un uomo degli “ossimori”: ha sempre cercato di mettere in relazione l’impossibile, ciò che le categorizzazioni degli adulti considerano eterogeneo e inconciliabile.

L’amore e la morte, la poesia e l’economia, la musica e la scienza, la vita e la morte, la fede e l’ateismo…In questo senso i suoi “incontri” assumevano i toni del “gioco”, dal momento che erano momenti di creatività, vere e proprie performance jazzistiche del pensiero che aprivano orizzonti nuovi, desueti, tutti ancora da percorrere.

Da un lato, quindi, poteva trasparire una fede profondamente vissuta, con annesso però il disagio nei confronti di una Chiesa tutt’altro che rivoluzionaria e aderente all’essenza del messaggio di Cristo; dall’altro la convinzione quasi democritea e materialistica che non esiste la morte, ma che tutto è “vita”, si trasforma e diviene: Dio è vita, insomma.

Per Kanzian non c’era uno iato tra Pierluigi Di Piazza, don Vatta da una parte, e Margherita Hack e Edoardo Boncinelli, dall’altra. Non esiste una separazione dei saperi, non ha senso parlare delle “due” culture: tutto è scienza, arte e poesia nello stesso tempo.

Nietzsche, quale esito, ai limiti del possibile, dell’esercizio filosofico, poneva la figura del “fanciullino”: dopo aver percorso tutte le frontiere della conoscenza, l’uomo deve aspirare a raggiungere quella dimensione infantile in cui il creato appare nella sua seducente e quasi mistica semplicità.

Quando ieri sera l’ho abbracciato per l’ultima volta, m’è parso di sfiorare la pelle d’un bambino, tanto indifeso quanto prossimo alla verità della vita.

Emiliano Bazzanella