La grammatica dell’alterità

Il titolo dell’incontro “L’altro, l’altra di fronte a me: dono o ostacolo? La vita affettiva e la Bibbia” –svoltosi lo scorso 22 aprile nell’ambito della Giornata di spiritualità organizzata dalla Parrocchia di San Domenico di Putignano (Bari), presso la Domus Familiae “Nozze di Cana” - è stato un invito forte per ciascuno, perché le nostre esistenze sono intrecciate e scandite da relazioni: familiari, affettive, amicali.

Necessarie, mai facili, anzi, spesso “fastidiose” al punto che le viviamo meccanicamente e ci sorprendiamo e rattristiamo quando ci rendono infelici.

Lidia Maggi, - teologa, pastora battista - ci ha guidati ponendo la Bibbia al centro di un percorso attraverso il quale scoprire l’ALTERITÀ; è’ stato come “vedere” qualcuno che hai accanto da sempre ma che non hai mai realmente “incontrato”; per pigrizia, convinzione di sapere tutto di lui/lei, credere che quell’incontro non avrebbe aggiunto nulla alla propria vita e alla propria fede.

Tutti (o quasi) abbiamo il testo della Sacra Bibbia in casa, ma difficilmente l’apriamo per leggerla. Sappiamo che c’è, immutabile e perfetta, ma non la tocchiamo; sappiamo che racconta delle storie, ma crediamo siano troppo lontane da noi.

Certo siamo anche condizionati dalla narrazione che ce ne hanno sempre fatto, come di un testo difficile, quasi oscuro, un po’ noioso; quindi, una volta acquisiti i fondamenti del catechismo, per lo più “sistemiamo” la Bibbia nella libreria di casa e la lasciamo lì, in silenzio.

È diventato un libro invisibile come sono alcune nostre relazioni. Tuttavia ““quando si dà per scontato l’altro o l’altra, l’amore muore”. (cit. Lidia Maggi)

E invece c’è un’altra lettura che è necessario fare così come ci può essere un nuovo modo di scoprire l’altro accanto a noi.

La Bibbia non è un codice morale, non è un libro di modelli irraggiungibili, ma è qualcosa di molto più complesso: è un DIALOGO, completamente differente da un insegnamento autoritario impartito ad ascoltatori passivi.

È un colloquio continuo “con” e “fra” un’umanità tormentata, perdente, che fa errori; eppure Dio cammina proprio con quegli uomini e quelle donne non perfetti; è questa l’alterità con quale dobbiamo confrontarci, per quanto difficile possa essere.

Leggere, anzi rileggere la Bibbia, significa allora entrare in quel dialogo e scoprire che quelle storie, percepite come lontane nella nostra frenetica vita, in realtà parlano DI noi e A noi; significa anche superare PREGIUDIZI cristallizzati che hanno contribuito a costruire false convinzioni: “il testo sacro è difficile”, “non potrò capirlo” “non ho necessità di capirlo” … non succede altrettanto nelle relazioni quotidiane che viviamo?

Come ci ha detto Lidia Maggi: “Un modo per non affrontare il problema dell’altro è o non vederlo, renderlo invisibile, oppure riempiendoci di pregiudizi senza permettere all’altro di raccontarsi. “

Permettiamo allora che la storia della Bibbia riporti a noi quei personaggi che abbiamo sentito lontani e conosciamoli nella loro umanità imperfetta.

Come Abramo che lascia tutto per seguire Dio, ma è anche colui che si disfa di Sara, la moglie sterile, e la cede al re d’Egitto facendola passare per sua sorella. La stessa Sara, convinta di non poter mai dare un erede ad Abramo, gli dirà di unirsi alla schiava Hagar perché partorisse un figlio per loro; ora lo chiameremmo “utero in affitto”, fatto, tra l’altro, con la costrizione “economica” di una schiava e sullo sfruttamento di un corpo giovane

Come i fratelli Giacobbe ed Esaù , figli di Isacco, che non si parleranno per trent’anni. Fratelli che litigano per gelosia o voglia di potere; genitori che hanno preferenze per l’uno o l’altro figlio, come Isacco e Rebecca.

Conosciamoli questi uomini e queste donne e scopriremo che le famiglie raccontate nella Bibbia sono tutte conflittuali; capiremo che la fraternità non è garantita dal fattore biologico, ma è una scelta precisa e tenace, un cammino nel corso del quale bisogna riconoscersi fratelli.

La Bibbia, come ha sottolineato Lidia Maggi, “ha una sua pedagogia che passa attraverso l’ERRORE”, che noi, in genere, demonizziamo e nascondiamo perché scardina la costruzione che abbiamo fatto delle nostre vite, impegnati come siamo ad essere performativi, ad inseguire la “perfezione”.

Nel momento in cui capiamo che l’errore è parte inevitabile (e forse essenziale) delle nostre esistenze e che, anzi, la nostra povertà e i nostri sbagli possono diventare sapienza e, se ne sapremo raccontare la storia, come ha fatto Israele quando a Babilonia si è ritrovato schiavo, allora avremo fatto un passo verso l’accoglienza dell’alterità e acquisito una consapevolezza nuova rispetto all’imperfezione che è mia, è dell’altro, è la scoperta di un’umanità che si ritrova fragile, ma può camminare assieme per liberarsi.

“Israele si è reso conto di non avere nulla, ma di possedere un’esperienza da raccontare, una storia dove a partire dal proprio fallimento poteva fare i conti con il futuro, aprirsi ad esso.

La Bibbia nasce, in esilio, in questo momento di fallimento in cui si pensa di aver perso tutto e ci si scopre ricchi proprio nella mancanza. Questo capolavoro letterario è stato messo per iscritto proprio nel momento della perdita. Ed è segnato da questa domanda: perché abbiamo sbagliato, cosa non ha funzionato?” (cit. Lidia Maggi)

Abbiamo sempre creduto che la Bibbia ci tramandasse modelli da emulare, esponendoci così al rischio di sentirci costantemente inadeguati e di tracciare una linea di demarcazione netta tra le nostre vite e i modelli da imitare.

La Bibbia è invece, sin dalla Genesi, un incontro con l’alterità; è storia di vita, narrazione antropologica che non ci dice come non sbagliare e non spiega il perché degli errori; ci chiede solo di metterci in ascolto di questi racconti, per comprendere che Dio ha creato la vita separando, perché l’alterità è dare spazio all’altro.

Non è facile da assimilare: la separazione? Per noi significa divisione, divorzio; è invece passaggio vitale e necessario per “portare” alla vita; come durante il parto, quando il bambino deve staccarsi dall’utero materno per vivere.

Guardiamo, ad esempio, al racconto della creazione.

Dio impasta la terra rossa e crea Adamo; Dio dice che “non è bene che sia solo”, ma che ci sia qualcuno che gli stia “di fronte e contro” (alterità) e Dio fa sfilare tutti gli animali di fronte a questa creatura perché scelga chi deve essere l’ALTRO, ma non se ne trova nessuno capace di instaurare un rapporto dialettico con la vita.

E allora Dio dal fianco di Adamo crea una nuova creatura.

Adamo in quel momento dorme perché mai possa dire un giorno “io ti ho fatto e io ti disfo”; dorme perché ci sia un rapporto paritetico.

In realtà questa coppia, la prima dell’umanità, sarà un fallimento perché non sarà in grado di passare dallo stato fusionale (tu sei carne della mia carne) allo stato relazionale non riuscendo ad essere reciprocamente “di fronte e contro”. Rompe il patto di solidarietà e uccide l’alterità.

Succede nelle nostre vite nel momento in cui ci rifiutiamo di riconoscere l’altro e vogliamo avere il controllo sulle persone che ci sono accanto, perché l’alterità ci fa paura.

La distanza e la separazione sono invece necessarie perché permettono di appropriarsi di uno spazio vitale.

La Bibbia ci offre una sintassi della vita che è scandita dall’altro che spesso ci disturba, ci interroga, innesca conflitti.

La relazione di Lidia Maggi è stata intensa, ha suscitato domande e approfondimenti e soprattutto è stata lo strumento per guardare in faccia i nostri pregiudizi, imparare i rudimenti di una grammatica dell’alterità per nulla facile, ma necessaria.

Ricordo, quando “dovevo” leggere il romanzo dei “Promessi Sposi” per obblighi scolastici, mi chiedevo perché ci sottoponessero a una tale noia; solo anni dopo, quando ho “riletto” quel testo da una prospettiva differente, cogliendone la complessità, ho capito che la storia del “matrimonio che non s’ha da fare” è modernissima e parla di potere, ingiustizie, povertà, soprusi, corruzione, gli errori di un’umanità che continua a cercare.

Mi si perdoni il paragone, può sembrare quasi “blasfemo”, ma domenica scorsa ho avuto la stessa sensazione: la Bibbia è un testo che libera, è contemporaneo, non per le storie, che sono poste in retrospettiva, ma per quello che ci indica attraverso una declinazione delle parole che non impongono, ma raccontano perché ognuno di noi possa liberamente comprendere il percorso personale da seguire per accogliere l’alterità e fare delle proprie imperfezioni una storia sapienziale.

Grazie a Lidia Maggi e a Don Daniele Troiani per aver proposto alla comunità parrocchiale questa catechesi che ci ha aiutato a fare un passo avanti nella riconciliazione con la Bibbia.

Giovanna Gioja