Ossessioni amorose, chissà

The Baptism of Christ, William Blake, 1803 (Butlin 475), Ashmolean Museum, Oxford

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Fa molto à la page scagliarsi contro chi si opponga ai detentori del Potere, di qualunque Potere si tratti, definendoli “ossessionati”. È un vecchio, decrepito, ritornello. Fanno paura e dunque vanno esorcizzati.

Le ossessioni sono di varia natura. Ed accanto agli ossessionati ci sono gli ossessi. Ossessi per uno stato permanente di fobia maniacale di un qualche controllo sulla propria vita personale (faccio coming out: accade a me). Ossessi a motivo di egoismi ipertrofici che non riescono mai a diventare eroismi. Ossessi nello sforzo di dire sempre il contrario di ciò che è: sa fa caldo, fa freddo; se piove, splende il sole. Ossessi nel dover preservare un qualche partito al governo pensando di poterlo idealmente smembrare dall’altro con cui condivide invece le medesime responsabilità di potere esecutivo. Ce n’è per tutti, insomma.

Ad esempio, quando ci si scaglia contro il saluto “alla romana”, sarebbe opportuno – secondo altra modulazione dell’antico ritornello – invertire l’attitudine e dichiararsi pronti a salutare con il medesimo gesto l’universo mondo, così sbugiardando, con potente provocazione, la protervia del fascismo. Il ragionamento è contorto, a nostro parere del tutto errato, ma affascina, eccome se affascina, perché assembla il malessere quotidiano dentro un’accettabilità esistenziale profonda. Noi, voi, loro siamo uguali. Il senso di colpa va condiviso, la passione razionalizzata, schematizzata e convertita - se possibile - in efficacia politica, quindi neutralizzata emotivamente e resa innocua. E per farlo sarà comunque utile far suonar le grancasse di una rivoluzione “vera”, brama del desiderio dagli ossessi, e non “falsa”, dove si avviluppano e precipitano gli ossessionati senza nulla concludere. Le cose vanno rimesse a posto. Le ossessioni della rivoluzione – speriamo non siano tra esse annoverabili quelle insurrezionali contro i fascismi di ogni epoca e latitudine – vanno rintuzzate.

Contro il moralismo dei cacciator d’ossessionati – a forte rischio di sembrar a loro volta ossessi in tale caccia – non va tuttavia opposto altro moralismo. Il muro contro muro getta solo nella più disperata infelicità.

Dunque il problema qual è? Dove sta?

Il problema – faremo innervosire i fan della tendenza à la page ma vorremmo inaugurare nuove mode, alternative alle loro – sta tutto proprio, appunto, nell’infelicità. Nella propria infelicità.

Qualcuno ricorderà forse una confessione dell’Abbé Pierre che fece scalpore: http://www.repubblica.it/2005/j/sezioni/esteri/abbepierre/abbepierre/abbepierre.html?refresh_ce

Qui non pare fosse questione di abusi ma di riconoscimento di un limite “di sistema”, se è lecito dir così, prima ancora e ben più che personale.

Affermava l’Abbé Pierre: «Ho dunque conosciuto l’esperienza del desiderio sessuale e del suo rarissimo soddisfacimento, ma questo soddisfacimento è stata una vera sorgente di insoddisfazione, perché avvertivo che io non ero vero. Ho sentito che per essere pienamente soddisfatto il desiderio sessuale ha bisogno di esprimersi in una relazione amorosa, tenera, fiduciosa. Una tale relazione mi è stata impedita dalla mia scelta di vita. Non potevo rendere delle donne infelici, ed essere me stesso conteso tra due scelte di vita inconciliabili.»

Nessuno ha mai osato definire, ci pare, l’anziano prete francese ossessionato od ossesso, pur in presenza, per sua ammissione, di un soddisfacimento che gli portò insoddisfazione, un “io” che non era “vero”.

Ma quand’è che giunge allora la necessaria soddisfazione? Come guarire l’io? Dove ritrovare la sua verità senza finire in ossessioni di sorta?

Notizia dell’Ansa di venerdì mattina: “Migranti, in 51 sbarcano in Calabria, salvati da cittadini” (http://www.ansa.it/calabria/notizie/2019/01/10/migranti-su-barca-incagliata-salvati_e3edb9a1-3121-4622-b39a-4c74252dced5.html).

La soddisfazione arriva quando usciamo dal privato, quando invece di trasformare il pubblico in faccenda privata, rovesciamo del tutto la prospettiva.

Il desiderio sessuale è affare privato o pubblico? Privato senza nessun dubbio, si risponderà verosimilmente senza esitazione. Davvero è così?

Perché esiste il pudore? Perché un’intera cultura non sarebbe pronta, non è pronta, ad accogliere i nostri desideri di amore quali che siano ed in qualunque modo si manifestino e noi abbiamo il diritto di proteggere noi stessi, la nostra salute, i nostri sentimenti, il nostro prossimo. Ma il pudore è anche un limite. Mentre preserva, costringe, prescrive, dà un ordine: questo no, non si può dire, non si può vedere, non se ne può parlare, non fuori da qui, non con altri che tu ed io, non pubblicamente.

La nostra cultura celebra quotidianamente il trionfo della privacy. Contro i ladri è ritenuto moralmente, se non giuridicamente, ormai lecito anche sparare e uccidere. È tutta una questione di sicurezza.

Ed anche gli affetti, gli amori, devono essere sicuri. E sicure le loro espressioni. Sommessamente, pare a noi che sia questa la vera ossessione, di ossessi e ossessionati. Essere sicuri che non accadrà niente, stare tranquilli che non sarà rivelato nulla, che tutto sarà messo a tacere, che non si saprà. L’infelicità che ne deriva è massima. Perché il pudore preserva il desiderio, ma ha brama d’esser superato, ha nostalgia di una libertà mai vissuta e sperimentata. Quel desiderio pudico, assai spesso amoroso, ha durata culturale d’un fuoco di paglia, in ragione precisamente del fatto che non può ardere al di fuori di ben precisi contesti, spazi e tempi.

Eppure il passo del vangelo di Luca previsto dalla liturgia romana per l’odierna festa del Battesimo di Gesù parla di un fuoco inestinguibile.

Versetto 17 del capitolo 3: “la paglia, la brucerà con fuoco inestinguibile”, “τὸ δὲ ἄχυρον κατακαύσει πυρὶ ἀσβέστῳ”, “paleas autem comburet igni inexstinguibili.”

Se il pensiero dovesse immediatamente correre alle fiamme dell’Inferno, sarà il caso di bloccare la corsa. La paglia del mio desiderio d’amore – un’ossessione? – non finirà mai di bruciare, non sarà più “un fuoco di paglia”, durerà senza fine. Posso mettermi il cuore in pace vincendo la tristezza dell’insoddisfazione.

È utopia? Lo è.

Ma il limite, il pudore, può essere finalmente accettato perché non è scacco matto alla mia volontà di vivere in un mondo altro, dovendo accettare uno stato di perenne insoddisfazione, bensì umile consapevolezza del dato di realtà. E tale consapevolezza è confortata, agitata, innervata dalla convinzione, benché non dimostrabile con dati inoppugnabili, che il contenuto di quel limite, di quel recipiente che non può essere aperto fuori casa (o fuori stanza), sarà fuoco che continua a bruciare, non si esaurirà. Ed il calore sarà benefico. E curerà ogni ossessione ed ogni falsità del mio “io”.

E quel mondo altro aprirà varchi tra le sue mura ed introdurrà nel giardino della gioia.

Come accade con il Battesimo, per chi ci crede.

Buona domenica.

Stefano Sodaro