Sogni che fanno la differenza

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Si diffonde, macchiando chi sta d’attorno come un versamento d’olio che non si riesca a contenere, l’idea che gli anni Sessanta e Settanta siano stati per il mondo una grave iattura, la premessa e la realizzazione di uno scardinamento dell’ordine costituito che nel XXI secolo – Terzo Millennio dell’Era Cristiana – richiede di essere ristabilito.

I diritti civili non sono più considerati barriera inespugnabile di progresso democratico. Il colonialismo va ripensato nei suoi aspetti positivi, così si afferma, e chi aveva torto forse, in realtà, bisogna riconoscere che aveva ragione. Il totalitarismo non è così male, la democrazia ha contratto malattie mortali, il femminismo è un avamposto di carta straccia, che ha segregato invece di integrare, e l’antirazzismo dev’essere problematizzato. Ancora, chi viene da altre culture deve mantenere un’alterità non solo non omologabile ma nemmeno conoscibile e va insegnato alle giovin spose – od anche non più così giovin – che, benché religione insegni amore del prossimo, la casa è del marito e non del prossimo (come evidenziava il Decalogo della Sposa Cristiana che comparve a puntate su Famiglia Cristiana dal maggio del 1948).

Martin Luther King oggi passerebbe facilmente per temibile facinoroso. Un ideologo improponibile. Un politico sovversivo, insurrezionalista.

I diritti delle minoranze sembrano oggi caverna per scavi di archeologia politica, perché non vi sono maggioranze e minoranze, vi è una specie di brodo comune, di melassa avvolgente, dove tutti sono tutto.

È nelle librerie il libro di Pietro Piro Perdere il lavoro, smarrire il senso. Esperienze educative e altri saggi di sociologia critica, edito da Mimesis, in cui, alle p. 91 e 92, l’autore domanda: «Sono le élite che governano i nostri destini, oppure, esiste una classe emergente e attualmente politicamente poco visibile che Costa sostiene stia elaborando una nuova sintesi politica oltre la destra e la sinistra? Una nuova classe che: «vuole rinnovare la vita pubblica con il liberismo in economia e la conservazione delle tradizioni culturali, credendo nei valori di una nuova politica, e di una società equilibrata, sicura, regolata e meritocratica»? Siamo solo vittime di eterodirezione o siamo – cercando di attualizzare gli insegnamenti di J. Ortega y Gasset – tutti uomo-massa compartecipi degli stessi sogni? Tutti signorini soddisfatti accecati dagli stessi simulacri?»

Ed afferma, Piro, a p. 116, che esiste «una nuova forma di razzismo che Balducci chiama fascismo etnologico: Quali sono le sue caratteristiche? Scrive Balducci: «Ha radici nell’ancestrale paura del diverso e trova le sue ragioni immediate nella difesa della condizione di privilegio minacciata dall’arrivo di nuovi ospiti, gli immigrati dal Sud. I protagonisti degli atti di neorazzismo sono quasi sempre dei balordi che recepiscono e trasmettono a livello istintuale una provocazione che andrebbe mediata da una cultura illuminata. Sono i prodotti tipici della pedagogia televisiva, in cui dominano i forti e i bravi; in cui, per dirla tutta, il modello d’uomo è un mammifero vorace, dai muscoli efficienti pronto al successo quale che sia. Questa ideologia, svuotata di ogni lume di ragione, fa presa con la voglia di affermazione il cui sbocco preferito è, appunto, l’atto aggressivo contro il diverso. Infatti se si spoglia l’uomo di ogni struttura culturale resta in lui la paura dell’altro, la percezione che la propria identità è messa in rischio dalla presenza dell’alterità. Che siano, in molti casi i poveri, i disoccupati, i sottoproletari, gli emarginati di casa nostra a farsi protagonisti di questi gesti deplorevoli non deve far meraviglia: sono proprio gli incolti a subire i riflessi d’insicurezza causati dalla presenza dei diversi. Con una proiezione elementare essi riversano su chiunque rappresenti la diversità, magari con il colore della pelle, la brutale aggressività di scongiurare la paura, capovolgendola nel trionfo. La bravata li solleva subito al rango degli uomini di successo, i veri eroi della cultura dominante». Questo nuovo fascismo etnologico può diffondersi in una cultura che invece di abbracciare la diversità per arricchirsi e rigenerarsi si chiude su sé stessa, in una difesa asfittica di un passato mitico, una presunta età dell’oro, che non esiste più da molto tempo.»

Le citazione di Balducci sono dal volume Dobbiamo vivere insieme. Scritti sull’Islam e sull’immigrazione, Mauro Pagliai Editore, Livorno 2016.

Si tratta dello stesso scolopio padre Balducci che, proprio nell’aprile del 1968, datando da Firenze, così scrive nella presentazione dell’edizione italiana, per i tipi della SEI, de La forza di amare di cui è autore Martin Luther King (p. 9): «Uno dei fenomeni che meglio esprime la novità dei tempi è la presenza nel mondo di uomini singolarmente nuovi, il cui tratto caratteristico non è, come nelle forti personalità del passato, l’ostinata fedeltà ad una ideologia, ma piuttosto l’incrollabile fermezza nel seguire la voce della coscienza al cospetto delle istituzioni. Uomini del genere non coltivano nella società la speranza di toccare le sponde della felicità terrena per mezzo di qualche taumaturgica riforma o della vittoria di un partito. Essi sono, per lo più, uomini fragili, diffidenti delle teorie, sicuri che il rinnovamento del mondo non dipende da una nuova dottrina, ma dalla forza inventiva della coscienza morale.»

La paura di un’alterità che possa attraversare noi stessi ci getta nel panico. Non vorremmo dover scoprire che anche noi siamo Altro rispetto all’immagine che di noi ci siamo fatti ed abbiamo nutrito e vorremmo preservare.

Martin Luther King muore nel 1968, il 4 aprile. Anno eponimo di una cultura poi aborrita, ma la differenza di un sapere – alla latina, “aver sapore” – che rimetta in questione valori forse più idolatrati che vivificanti resta ancora ad interrogare prassi e convinzioni odierne.

Quale sogno coltiviamo per noi e per gli altri? Uno? Molti? Nessuno?

Essere differenti vuol dire essere capaci di sogni.

Che si inteneriscono per le sorti di chi non è un mio clone mentre tende le braccia perché qualcuno le tiri a sé.

Stefano Sodaro