Suprematismo, fascistizzazione, pedofilizzazione

Crowds in Trieste, Italy watch as CASTEL VERDE departs transporting migrants to Australia, 1953-1954

- foto tratta da commons.wikimedia.org -

Gli esperti riportano che fin dalla seconda metà del Settecento giunsero presenze italiane in Nuova Zelanda (cfr. https://www.itals.it/alla-fine-del-mondo%E2%80%A6-la-presenza-italiana-nuova-zelanda). Il motivo era la ricerca di lavoro, la necessità di trovarlo per vivere e pure sopravvivere.

Le notizie che provengono in queste ore dalla medesima terra, il massacro di 50 persone che pregavano il venerdì nel proprio luogo di culto, interrogano la nostra civiltà, la scuotono per chiederle conto di quali effettivi anticorpi abbia saputo generare - o sia adesso in grado di generare - contro il virus del razzismo fanatico.

Tacciono, in questa circostanza, molte voci che urlano, ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, ogni frazione di secondo, allo scontro di civiltà, alla guerra da parte degli altri, altri quasi sempre religiosamente identificati con molta ansia di dettagli, con meticolosità ossessionante.

In queste ore le parti si rovesciano e il silenzio si fa apocalittico, cioè rivelativo. Un silenzio tombale, altrettanto pauroso dello scatenarsi della violenza. La violenza del silenzio, dell’imbarazzo politico-culturale. E si possono anche leggere considerazioni come quelle riportate al seguente link:

https://www.ilgazzettino.it/pay/edicola/nuova_zelanda_strage_australia_critiche-4364235.html.

Sarà il caso di non farla tanto lunga e di avanzare piuttosto una domanda abbastanza netta: gli asseriti “valori” professati da chi le cronache riportano autore di quella carneficina corrispondono ai valori di qualcuno, qualcuna, di noi o sono banditi dal nostro sentire per sempre e in qualsiasi loro possibile declinazione, significato, evoluzione, traduzione, elaborazione? La domanda non è per nulla retorica.

Se, puta caso, dovesse insidiarsi da qualche parte una riserva del tipo “io condanno ogni violenza, però”, oppure addirittura “io condanno ogni omicidio, ma”, saremmo alla fine della nostra civiltà. Il cimitero sarebbe il nostro futuro non solo fisico-biologico, pure sociale e civile. Esistono vivi più morti dei morti. E morti più vivi dei vivi.

Il cosiddetto “suprematismo” che cos’è? Qual è il suo brodo culturale di coltura?

Qualcuno parla di “etno-soldati”, con una precisa storia identitaria, in cui essere anti-religione-altrui sembra il collante, il cemento coibente (https://www.huffingtonpost.it/2019/03/15/da-breivik-a-tarrant-breve-storia-del-suprematismo-bianco-che-arma-gli-etnosoldati_a_23693275/), che alligna nel disprezzo e nell’ignoranza verso due universi religiosi specifici, bisogna dirlo con chiarezza nettissima, l’Ebraismo e l’Islam.

Ora, torna la domanda: è vero o non è vero che da qualche parte incuba una subcultura antisemita e anti-islamica nei nostri contesti occidentali? Chiediamocelo. E si alimenta come? Troppo facile correre nella diagnosi di disagio psichico che magari in questi casi vale ed in altri no.

Il suprematismo alligna nel recupero – anche bonario, in apparenza del tutto innocente e quasi simpatico – di una valenza positiva del fascismo. Non ne è certo l’equivalente, ma lì trova nutrimento.

Ritorna dunque il dubbio da sciogliere una buona volta: cosa sono i valori? Esistono valori fascisti? Certamente sì. Il fascismo è stato celebrazione e trionfo di presunti valori. Quali?

Ritenere che in tale devozione assiologica fascista ci sia senza dubbio la questione dell’immagine di Dio è pensare che si debba di necessità formulare allora un’ulteriore domanda: quell’immagine di Dio è l’unica immagine di Dio possibile? Quella immagine che fa paura anche a noi, anzi terrore, dove tutto l’alfabeto dei sentimenti e delle passioni e delle idee va scritto sempre con le maiuscole, dove il maschilismo è cifra stessa del nome di Dio – sempre un Lui, giammai una Lei -, questo discorrere così di Dio è l’unico modo davvero possibile?

Il suprematista pensa che sia esattamente così. Il Dio dei Bianchi Cristiani è l’unico Vero Dio. Che chiede di uccidere ogni altro dio, per ciò stesso idolo nefasto. Uccidere a qualunque costo, con furia appunto religiosa, “terroristica” come si dovrebbe dire e si ha invece pudore di dire.

Eppure ce la sentiamo di affermare che il terrorismo religioso sia l’unica manifestazione, pazzesca, orrifica e criminale, dell’esistenza di Dio? Una sua dimostrazione orripilante?

Le persone massacrate stavano pregando. Erano credenti che pregavano. Pregavano un Dio sbagliato meritevole d’essere ammazzato?

Stavano compiendo un gesto senza senso come la preghiera - inutile a qualunque logica funzionalistica, tecnocratica, produttivistica - che merita d’essere ammirato, studiato, indagato, contemplato o che va, magari in nome della modernità, represso ed impedito perché culturalmente ritenuto assurdo?

La domanda, per quanto mi riguarda, è gravissima.

Se si crede che il suprematismo tradisca essenzialmente Dio, allora significa che esiste un altro Dio. Il Dio degli Altri. Delle Altre.

Giovedì scorso è nato a Bologna l’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne (si vedano https://www.dailymuslim.it/2019/03/bologna-donne-di-tutte-le-religioni-inaugurano-losservatorio-interreligioso-sulle-violenze-contro-le-donne/

https://www.adista.it/articolo/60828;

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/dalle-religioni-un-argine-alla-violenza-contro-le-donne).

Le organizzazioni religiose, le istituzioni religiose sono criminogene di per sé e in sé, oppure è la violenza di cui sono state veicoli il tradimento più cocente e mostruoso della loro vera vocazione ed identità? Chiedo scusa per la ripetizione, ma la domanda mi pare davvero centrale e gravissima perché decide del nostro posizionamento esistenziale, di ciascuno e ciascuna di noi.

Per venire in casa cattolica, esiste una riforma della Chiesa agita a favore della Chiesa ed una brandita contro ogni configurazione ed idea stessa di Chiesa.

Il tema è di attualità persino urticante, eppure tanto insopportabilmente necessaria.

Le violenze degli abusi sessuali in ambito religioso attestano un Dio osceno e violento che si serve di manovalanze strutturalmente criminali oppure sono il tradimento di ogni fede, di ogni Comunità religiosa, di ogni esperienza di fede condivisa, di ogni preghiera ed ogni invocazione, di ogni Suo significante biblico, sono cioè vera e propria bestemmia?

Si può “pedofilizzare” l’immagine di Dio, compiendo qualcosa che nulla ha a che vedere con Nietsche e con il suo omicidio divino. Che vuol dire? Si può ammettere, cioè, che l’ultima parola su Dio e sulla Chiesa sia lasciata ad un sistema di oggettive responsabilità commissive od omissive e così togliere qualunque afflato di speranza a chi è stato violentata e violentato. Ma esiste un Dio delle vittime degli abusi? Se sì, perché non viene professato e riconosciuto come il “vero” Dio? Domanda appunto da brivido.

La pagina del Vangelo di Matteo 25 crea costante sconcerto: voi non avete amato me, avete amato chi vi stava davanti nella sua necessità, eppure così mi avete amato. Quando mai ti abbiamo visto? Noi, atei, atee, stavamo dalla parte di chi aveva fame, freddo, era in carcere, senza vestito, senza casa, mica dalla tua parte, Dio, di cui nulla c’importa! Non ti conosciamo e non ci interessa conoscerci! La risposa è rispettosa e commovente: non c’è nessun problema, non vi ho chiesto nessun riconoscimento, io mi identifico con il vostro gesto e basta.

Il gesto stragista ammorba il profumo di Dio così come l’abuso, “pedofilizzandone” l’immagine, la deturpa in quella di un mostro.

Eppure quel profumo può essere ritrovato, quell’immagine può essere ripulita. Con un unico strumento, anche se sembrano molti e diversi: l’ascolto, il voler bene, l’abbracciare e il baciare.

Forse si ricorderà la scena del film “Schindlers’ List” in cui il protagonista si avvicina, mi pare nelle cantine della residenza del gerarca nazista, alla donna che è stata obbligata a compiti di domestica e che trema tutta pensando a cosa le possa capitare da un momento all’altro, in base ai soli “gusti” criminali, alle perversioni del suo “padrone”, variabili a piacimento di un arbitrio omicida. Schindler le si avvicina e quando sta per baciarla, vedendola a disagio, quasi fosse un altro tentativo di violenza, la rassicura: “no, tranquilla, non è quel genere di baci.” E lei scoppia a piangere nel suo abbraccio.

Di questo bacio c’è bisogno non solo personale, ma culturale. Di questo abbraccio c’è urgenza per salvarci.

Quel bacio fa probabilmente crollare una serie quasi infinita di statue di Dio e ne costruisce foto istantanee in cui non c’è nulla, Nulla: solo la cornice di una finestra aperta, da cui si vede il mare, la montagna, la città, il brulichio dei passi e dei cappotti, l’accendersi delle luci nelle case la sera.

Buona domenica.

Stefano Sodaro