Gnosticismo

Esoterici - disegno di Rodafà Sosteno

In qualche articolo avevo fatto cenno allo gnosticismo, teoria che vede un’incompatibilità assoluta fra materia e spirito, e visto che mi è stato chiesto di chiarire un po’ meglio in cosa consisteva questa dottrina (che fu anche la prima eresia combattuta dalla Chiesa – n. 465 Catechismo) oggi parleremo di questo argomento (per chi volesse approfondire, consiglio di leggere K. Rudolph, La gnosi, ed. Paideia, Brescia, 2000), perché lo gnosticismo si diffuse con forza e rapidità fra i primi cristiani, e ancorché alla fine venne dichiarato eretico, riuscì a sopravvivere, tant’è che ancora oggi continua a esistere anche nel cattolicesimo. Che questa corrente di pensiero teologico non sia ancora del tutto scomparsa è stato, infatti, di recente confermato dallo stesso Papa Francesco (Esortazione apostolica Gaudete et exultate del 9.4.2018, §§ 36ss.), quando ha ricordato che lo gnosticismo ancora oggi presente suppone «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa una serie di ragionamenti e conoscenze (…mentre) lungo la storia della Chiesa è risultato molto chiaro che ciò che misura la perfezione delle persone è il loro grado di carità, non la quantità di dati e conoscenze che possono accumulare. Gli gnostici fanno confusione su questo punto e giudicano gli altri sulla base della verifica della loro capacità di comprendere la profondità di determinate dottrine (… per cui) siamo davanti a una vanitosa superficialità».

È un dato di fatto che l’influenza dell’ellenismo, e più specificamente dello gnosticismo, rese presto difficile – già ai primi cristiani,- poter comprendere chi era veramente quell’uomo chiamato Gesù e com’è il Dio che in lui si fa conoscere.

In altre parole, dal momento in cui, con la resurrezione, Gesù cominciò ad essere pensato in modo da essere situato nell’ambito soprannaturale del divino, inevitabilmente l’immagine dell’uomo Gesù di Nazareth si appannò e si confuse.

Se infatti comincia a prevalere l’idea che il Figlio di Dio era tale da tutta l’eternità, la conseguenza più ovvia che si ricava è che la seconda persona della santissima Trinità scese su questo mondo, si fece uomo e una volta adempiuta la sua missione esemplare, a partire dalla sua resurrezione, tornò alla sua condizione divina di sempre. Ma se si pensa a Gesù come si pensa a Dio, difficilmente Gesù può essere visto come un uomo, il che è lo stesso che dire che, in Gesù, Dio ha occultato l’uomo.

Di fronte a queste difficoltà pratiche di capire chi era Gesù (inquadrare cioè la sua natura), poco dopo la sua morte, cominciò appunto a diffondersi l’idea che egli avesse avuto solo natura divina, e non fosse stato affatto un vero uomo: fu questo l’inizio di quel variegato movimento che oggi unifichiamo sotto il nome di gnosticismo. Gesù non era uomo, ma aveva solo una parvenza corporea (Fil 2, 8: Gesù apparve in forma umana); quindi dal greco: dokéo, che significa “sembro,” si parla di docetismo gnostico. Già nelle lettere di Giovanni (1Gv 4, 2; 2Gv 7) si vede come l’autore combatta l’idea dei doceti secondo i quali il corpo di Gesù fu solo apparente, il che però dimostra chiaramente come lo gnosticismo avesse preso piede nel cristianesimo già ai tempi dell’apostolo.

Riassumendo al massimo - con tutti i limiti e le inesattezze che ciò comporta, perché le teorie gnostiche erano molteplici e chi le seguiva non definiva sé stesso gnostico - lo gnosticismo si basava su questi semplici principi:

1. È la conoscenza che salva; gnosi vuol dire appunto conoscenza, e la salvezza è affidata a questa conoscenza. La salvezza viene dunque dalla conoscenza, una conoscenza privilegiata ed esclusiva di coloro che si situano nella categoria speciale degli «spiritualisti», in contrapposizione agli ignoranti che fan parte dei «materialisti».

2. Questa conoscenza è stata rivelata da un inviato divino rivelatore-redentore (Gesù), ma solo a pochi, non a tutti. Da qui l’importanza fondamentale, probabilmente anche smisurata, che lo gnosticismo ha dato alla conoscenza.

3. Il contenuto della conoscenza è capire la distanza dal mondo di Dio (puro spirito che mira a liberare l'uomo dalla materia) rispetto al mondo in cui viviamo (materia, che viene da un dio inferiore e malvagio, il Demiurgo, ed è fonte del male sulla terra). Dunque uno degli aspetti caratteristici dei sistemi gnostici è il dualismo fondamentale, che sfocia inevitabilmente nel disprezzo più radicale del mondo materiale e, pertanto, dell'umano. Si tratta, in effetti, di un dualismo di natura teologica che oppone Dio al mondo, un Dio separato e così radicalmente trascendente, trans-mondano, che il mondo in quanto tale è l’anti-Dio. Ecco spiegato perché la materia è male, opera di un dio inferiore, il Demiurgo. Da qui risulta che questa differenza proposta dagli gnostici, e perfino questa opposizione fra il dio creatore della materia e il dio salvatore dell’uomo, implica che la storia del mondo materiale non è di alcun interesse, e che solo l’ascesa dell’anima verso le sfere celesti merita la nostra attenzione (Castillo J.M.).

Anche per gli illuministi del ‘700 la «conoscenza» era essenziale, ma la s’interpretava in maniera diversa dallo gnosticismo.

Per gli illuministi la chiave della storia e della cultura era la conoscenza «razionale», mentre per gli gnostici la chiave era la conoscenza «esoterica» (cioè riservata a una ristretta cerchia di iniziati).

Per gli illuministi, la conoscenza razionale s’interpone fra l’uomo e Dio; se tutti avessero cominciato a ragionare la religione si sarebbe dissolta nella cultura come l’ombra nella luce, perché la religione faceva passare per verità cose del tutto irragionevoli. Era il magistero a decidere cosa dire e come dirlo e il popolo assorbiva come una spugna tutte le fandonie che gli venivano propinate proprio perché non ragionava. Per gli gnostici, invece, la conoscenza esoterica era l’unico mezzo che rivela agli uomini il Dio sconosciuto, facendoli così uscire dal mondo dell'ignoranza. In altre parole, per l’illuminismo la conoscenza razionale avrebbe portato a rifiutare l’idea di Dio mostrata dalla Chiesa, mentre per la gnosi la conoscenza esoterica era una trasmissione divina che permetteva di avvicinarsi alla Fonte, al vero Dio. Inoltre, dal punto di vista sociologico, mentre l’Illuminismo fin dal primo momento aveva la pretesa di essere un’esaltazione della ragione valida per tutti gli esseri umani, la gnosi assunse sempre le caratteristiche di un gruppo minoritario d’elite. E ricordo che lo gnosticismo trionfò anche se Gesù aveva espressamente dichiarato di voler trasmettere la conoscenza proprio a quelli che sono considerati ignoranti nel mondo di coloro che contano, vale a dire a quelli che in questo mondo sono considerati persone che non contano nulla, e non sanno nulla di nulla (Mt 11, 25ss.; Lc 10, 21s.).

Ma per quante differenze si possano stabilire tra la gnosi e l’Illuminismo, entrambi mantengono una cosa in comune: il primato dato alla dimensione dottrinale. Un primato che fece presa anche nel cristianesimo a partire proprio dai confronti speculativi con i teologi gnostici. Dallo gnosticismo è giunta fino a noi l’importanza sproporzionata che «la dottrina» ha avuto e continua ad avere nella storia della Chiesa (Castillo J.M.), visto che per i cristiani il Vangelo dovrebbe essere un annuncio di vita, non di dottrine.

L’idea di base dello gnosticismo è piuttosto semplice: la divinità viene spiegata con l’immagine del sole, lontano e immobile; o con l’immagine della luce. Dio abbraccia, come fa la luce, tutto quello che c’è e chi vive in questa luce vive in Dio (Spong J.S.). La divinità (come la luce) procede per emanazione: più ci si allontana dalla luce, meno intensa è la luce, più c’è buio e nel buio si aggruma la materia, che è opaca e non fa passare la luce. I raggi luminosi e trasparenti rappresentano la purezza dello spirito, ma più ci si allontana più questa luce si corrompe, fino a che si trova la vile materia, impenetrabile alla luce. Solo la luce spirituale è bene, mentre la materia è sempre male. Tutto ciò che è materia è pertanto negativo, e alla fine scomparirà definitivamente, perché la materia è homoousios (consostanziale) col diavolo; lo spirito, invece, lo è con Dio.

Il vero credente sa tutto questo, mentre la maggior parte delle persone non lo sa. Il vero credente sa di avere nella sua corporeità una scintilla della divinità e questo frammento di spirito che c’è in ciascuno di noi deve indurci a staccarci dalla materia[1]. Per la gnosi, la colata di luce si dirige verso il basso, indebolendosi sempre di più con la lontananza (anche i filosofi neo-platonici pensavano che lo spirito si degradasse verso la materia), e incontrando la materia diventa sempre più tenebrosa, per cui l’unica tendenza del credente deve essere quella di cercare di tornare a risalire, abbandonando il mondo materiale, verso la sorgente di luce originaria. Dunque, la salvezza consisterebbe nel trasferimento dell’uomo dal mondo materiale a quello spirituale. Come l’uomo sott’acqua cerca disperatamente di risalire in superficie per poter finalmente respirare, così deve fare il credente, risalendo dalla materia verso la fonte della luce. Molti, in effetti, sentivano di non appartenere al mondo in cui dovevano vivere, si sentivano cioè fuori luogo in questo mondo materiale (Placher W.), e venivano facilmente convinti che esiste una vera e radicale opposizione nelle relazioni dell’uomo con Dio. In tal modo si spiegava perché le forze del mondo, la materia concreta, riuscivano ad imprigionare l’anima o lo spirito degli uomini. E questo, secondo gli gnostici, avveniva perché la materia non procede da Dio come generazione, bensì come un aborto.

Queste idee erano talmente diffuse che perfino in alcuni scritti del nostro canone si avverte chiaramente la sua presenza. Ad esempio Paolo s’interessa ben poco al Gesù carnale, vale a dire al Gesù della storia, mentre concentra la sua attenzione quasi esclusivamente sul Cristo resuscitato, vale a dire sul Cristo che sta fuori della storia e della materia. Il che implica uno schema mentale che corrisponde perfettamente alla mentalità gnostica, la quale si occupa solo del Gesù rivelatore di Dio manifestatosi dopo la resurrezione. Gli specialisti della teologia di san Paolo (ad es. Joachim Gnilka, teologo cattolico tedesco) riconoscono che già nei suoi scritti si avvertono frequenti influenze del pensiero gnostico. Questo teologo spiega proprio con l’infiltrazione dell’idea gnostica la profonda contrapposizione – in Paolo - fra gli spirituali e i loro opponenti, i carnali; vale a dire, la luce e le tenebre (Rm 13, 11.13; 1Ts 5, 4-6); l’opposizione fra lo «spirito» e la «carne» (Gal 3, 3; 5, 16), fra la coscienza retta e il «corpo di morte» (Rm 7, 24s.; cfr. 8, 8s.), di modo che si vuol dare la morte alle «opere del corpo» (Rm 8, 13). Per Paolo, «il corpo è morto a causa del peccato» (Rm 8, 10; 6, 6). In quanto uomo, l’uomo si trova nell’ambito dove non c’è salvezza (Rm 8, 23). Pertanto, quando Paolo afferma che «d’ora in poi noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista della carne. E se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora però non lo conosciamo più così» (2Cor 5, 16), non sta dicendo che la conoscenza del Gesù terreno non è sufficiente; sta dicendo che il Gesù terreno proprio non gl’interessa (Castillo J.M.).

Per lo gnosticismo Gesù è un essere celeste, non un essere umano. Gesù è visto così trascendente da risultare incompatibile con la materia, con la carnalità, con quello che si può percepire attraverso i sensi. Vedendo invece in questo un pericolo per la fede, il Vangelo di Giovanni utilizza spesso il linguaggio dei sensi: “vedere”, “sentire”, “mangiare”. Giovanni, cioè, vede nello gnosticismo il pericolo che la divinità occulti l’umanità in maniera tale da deformare Gesù. Tutti quelli che pensano che per avvicinarsi a Dio bisogna allontanarsi dall’umano, deformano Gesù (e Dio) fino al punto che per loro è impossibile credere ed entrare in relazione con il Padre del quale ci parla Gesù. L’unica strada per avvicinarsi realmente a Dio è quella che Dio ha fatto per avvicinarsi all’uomo: umanizzarsi. Ma questo strada ci fa paura, perché i nostri istinti di “divinizzazione” sono più forti della semplicità propria dell’umano (Castillo J.M.).

Il disinteresse paolino per qualsiasi azione concreta fatta da Gesù su questa terra ha poi conseguenze ulteriori. Il problema non sta nel fatto che Paolo, il quale non conobbe il Gesù storico, ebbe solo una visione del Signore resuscitato (At 9, 3-5) e subì le influenze gnostiche del suo tempo, ma piuttosto nel fatto che egli ha posto il suo interesse e la sua fede nel Cristo glorioso, ormai fuori della storia, mentre i vangeli incentrano la loro attenzione sul Gesù della storia. Di qui l’immediata nascita di due diverse cristologie (cfr. I binari della Chiesa, nel n. 428 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199996---novembre-2017/numero-428---26-novembre-2017/i-binari-della-chiesa).

Il problema più serio nella cristologia paolina risiede nel fatto che questa forma di pensiero esprime con chiarezza, come la cosa più naturale di questo mondo, perché l’umanizzazione di Dio dovette sembrare intollerabile e blasfema a molti cristiani seguaci di Paolo. E sempre il prof. Castillo avverte come questa difficoltà, invece di risolversi, si accentuò nei secoli seguenti. L’influenza di Clemente alessandrino e di Origene, a loro volta profondamente segnati dal pensiero gnostico, impregnò profondamente la Chiesa nei secoli seguenti con idee che si cristallizzarono nelle definizioni dogmatiche del IV e V secolo. Con ciò, il prof. Castillo intende dire che ancora oggi chi trova intollerabile l’idea che Dio si possa incontrare nell’umanità materiale, nel profano, è rimasto (magari inconsapevolmente) sotto l’influsso dello gnosticismo.

C’è però anche da dire che oggi sono anche molti coloro i quali non accettano più una teologia che non coincide con la cristologia dei vangeli (cfr. sempre I binari della Chiesa, n. 428 di questo giornale), come appunto quella di Paolo. All’opposto dello gnosticismo, per il filone teologico che segue i vangeli (e non Paolo) il punto d’incontro con Dio non è l’evasione dall’umano e, meno ancora, il conflitto con l’umano, ma il raggiungimento di tale grado di umanizzazione che si concretizza, di fatto, nel superamento di tutto l’inumano che sonnecchia in ognuno di noi (Castillo J.M.).

Vediamo ora - senza la pretesa di esaurire l’argomento – alcuni degli elementi del pensiero gnostico che sono rimasti fino ad oggi nel cristianesimo:

a) non è pervenuta fino a noi l’idea che bisogna cercar di abbandonare la materia per elevarsi verso lo spirito? Da dove si ricava allora l’idea che per essere santi occorre elevarsi, cercando di abbandonare la corporeità a favore della spiritualità? In senso gnostico erano stati interpretati perfino alcuni passi di Giovanni: ad esempio, non aveva detto Gesù che è lo Spirito che dà la vita, mentre la carne non giova a nulla (Gv 6, 63)? Oggi, però, i più interpretano questa frase nel senso del vero significato dell’eucarestia: mangiare il pane, la carne, senza poi farsi pane per gli altri, questo non serve a nulla (Maggi A.).

Non è pervenuta fino a noi l’idea che vivere una vita ‘più pura’ votandosi a Dio è meglio che amare un’altra persona? Da dove si ricava l’idea che l’uomo celibe e la donna vergine valgono molto di più dell’uomo e della donna sposati che si contaminano con materialissimi rapporti carnali? Da dove si ricava l’idea che il sesso, essendo materiale, è contiguo al peccato, tanto che ancora nel XXI secolo c’è chi si preoccupa se, non potendo più procreare (unico motivo, nei secoli passati, riconosciuto come valido dalla Chiesa affinché gli sposi potessero avere rapporti sessuali) a causa dell’età avanzata, possa ancora lecitamente avere rapporti sessuali col proprio partner? Siccome nelle tre tentazioni di Gesù riportate dai vangeli manca del tutto la tentazione del sesso (Mt 4, 1-11; Lc 4, 1-13), tutte queste idee vengono da quanto ci ha insegnato il magistero, nel corso dei secoli: lo spirito è bene, la carne è male. Ma questa è una tipica idea gnostica. E l’aver impostato la fede in Gesù come lotta contro la carne, con tutto ciò che esso comporta (ascetismo, mortificazione, privazione di ciò che è gradevole e piacevole, lotta contro la materia e i sentimenti, annientamento del piacere e della gioia di vivere) ha sicuramente creato grave danno al cristianesimo (Castillo J.M.).

b) Da dove arriva l’idea che per seguire Gesù occorre soffrire nel corpo (per cui alcuni si auto-infliggono punizioni, usano i cilici, ecc.) se non dal pensiero gnostico di Paolo, il quale aveva detto che doveva portare la sofferenza del Cristo nel suo corpo? (Gal 6, 17). Per elevare lo spirito è necessario umiliare il corpo. All’opposto, il Gesù dei vangeli, aveva detto che voleva misericordia, non sacrifici (Mt 9, 13); e se molti vedevano in lui un mangione e un beone (Mt 11, 19), vuol dire che Gesù non era certamente un asceta che disdegnava il corpo.

c) Lo stesso termine homo-ousios, che significava esattamente «della stessa sostanza», vale a dire «identico», usato a Nicea per affermare che il Figlio è esattamente uguale al Padre e partecipa della divinità esattamente come il Padre, è un termine che non appartiene al vocabolario del Nuovo Testamento, bensì ha la sua origine nel neoplatonismo e nella gnosi: strano, quindi, che la Chiesa abbia fatto suo un vocabolo preso da un insieme di dottrine sospette o perfino condannate nei concili del passato (H. Küng).

d) Ma, soprattutto, come detto sopra, nel cattolicesimo più ortodosso è rimasto il primato della dimensione dottrinale. L’autorità di chi parla è determinante per il credente gnostico. Guai a non accettare la dottrina insegnata! Si tratta di un primato che fece presa nel cristianesimo a partire dai confronti speculativi con i teologi gnostici. Da lì l’importanza sproporzionata che la dottrina ha avuto e continua ad avere nella storia della Chiesa e perfino nella sua organizzazione interna, nella quale una Congregazione per la dottrina della Fede ha l’ultima parola su tutto quanto la Chiesa insegna o lascia insegnare: l’ortodossia dottrinale è ciò che più si vigila, più si controlla e pure più si castiga nel caso di possibili deviazioni (Castillo J.M.). Curiosamente, invece, non esiste una Congregazione che controlli e indirizzi il clero a vivere secondo il Vangelo.

Dunque, se qualcosa dello gnosticismo è scomparso, molto è rimasto, perché dall’idea generale gnostica del dualismo (spirito e materia) si sono originate tante di quelle dottrine che nella loro varietà hanno occupato a 360° tutto il campo teologico e dove gli estremi opposti hanno dato luogo a due linee di pensiero così riassumibili:

A) La prima linea è occupata dall’ascetismo, che, portato all’estremo limite, disprezza il corpo. Già gli antichi Padri della Chiesa avevano cominciato a sostenere che: «È necessario spogliare l’anima gnostica dal suo involucro corporeo… elevarla sopra i desideri carnali e purificarla per mezzo della luce» (Clemente Alessandrino, Stromata(cioè Miscellanea), libro V, cap.11). Il corpo materiale è la prigione dell’anima e i due si trovano in posizione conflittuale. Da questo filone è partita l’idea che la vita in terra è una falsa vita, in attesa della vera vita, quella eterna nell’aldilà, ed è chiaro che questo filone dello gnosticismo ha imperato a lungo (pensiamo al libro De contemptu mundi di Papa Innocenzo III, vissuto nel periodo di san Francesco, ma con tutt’altra visione della natura e del mondo) e non è ancora scomparso del tutto nel cristianesimo. Ciò significa che lo gnosticismo, pur condannato, è entrato ed è rimasto ben vivo in parte nella mentalità della Chiesa.

B) All’estremo opposto, si era formata l’idea che, se ciò che conta è lo spirito, ciò che si fa col corpo non conta assolutamente nulla. Pertanto se col corpo, che non conta niente, faccio un’offerta a niente (ad esempio a un idolo che non esiste, fosse anche all’imperatore romano che non è Dio) posso farlo tranquillamente. Portata all’estremo limite, quest’idea che il corpo non conta niente giunge però a dire che se la materia (il male) ha le sue tentazioni, basta assecondarle, tanto non valgono niente e, o prima o dopo, si esauriranno; ma così si finisce nel libertinaggio, e questo secondo filone è stato effettivamente estirpato dalla dottrina cristiana.

Ma, ripeto, non necessariamente si doveva arrivare a questi estremi: c’erano tante strade intermedie, e un chiaro esempio intermedio viene raccontato nell’Apocalisse, e riguarda la comunità di Laodicea (Ap 3, 14-17). In quella città industriosa, chi voleva perfettamente integrarsi non disdegnava di assumere anche cariche pubbliche e di partecipare ai riti civili, nei quali c’era anche sempre una dimensione religiosa. Del resto, nel mondo antico non c’era separazione fra Stato e Chiesa, ma completa commistione fra ambito civile e religioso, come ancora oggi avviene in quasi tutti i paesi musulmani, e come del resto pretendeva la nostra Chiesa cattolica fino agli inizi del ‘900: pertanto, ai tempi dell’Impero romano, se si assumeva una carica civile bisognava necessariamente partecipare alle varie cerimonie religiose. Gli artigiani, poi, erano divisi in corporazioni ed ogni corporazione era sotto la protezione di un dio: se si voleva lavorare bisognava necessariamente far parte della corrispondente corporazione e conseguentemente partecipare anche alle cerimonie in favore del dio protettore di quella corporazione (oggi, nel cristianesimo, questi dèi sono stati declassati a santi protettori). Molti cristiani non vedevano niente di male in simile condotta, anche perché altrimenti si vedevano tagliati fuori dalla società; ma per i duri e puri ortodossi (come quelli di Efeso che odiavano i nicolaiti, che oggi chiamiamo gnostici – Ap 2, 6) ciò era semplicemente inammissibile: si doveva rendere pubblicamente testimonianza al solo e unico Dio invisibile e non a tutti gli altri falsi dèi e, men che meno, all’imperatore, il Signore visibile sulla terra. I più rigorosi ritenevano che cercare il compromesso con le autorità locali civili e religiose andava contro la vera sequela di Cristo e sacrificando all’imperatore si commetteva idolatria: ogni compromesso era perciò inaccettabile. Si doveva scegliere: o Dio o Cesare. Venne quindi tracciata una linea invalicabile oltre la quale il cristiano non poteva andare, anche se ciò gli precludeva l’integrazione nel resto della collettività.

La corrente avversa (cioè gnostica) di Laodicea riteneva che quello che si faceva col corpo (tipo, sacrificare all’imperatore) non contava niente, perché quello che contava era come si pensava (lo spirito).

L’autore dell’Apocalisse ha preso forte posizione contro ogni comunità che vedeva pericolosamente contaminata dal pensiero gnostico da lui considerato eretico: vedeva che, con la scusa di valorizzare solo lo spirito e non tener in nessuna considerazione il corpo, la comunità gnostica tendeva al compromesso.

L’ala più dura e ortodossa obbligò a rifiutare il compromesso, anche a costo di arrivare alla rottura definitiva, perché si doveva scegliere: o Dio o l’idolatria. La famosa spada affilata a due tagli (Ap 2, 12) separa due realtà fra di loro inconciliabili. L’Apocalisse taccia gli gnostici di tiepidezza (Ap 3, 15-16), perché il compromesso è tiepidezza. Il mondo è bianco o nero; servono precisi punti fermi, principi non negoziabili, non liquidi, che non si riescono mai a cogliere per i continui compromessi. Per la corrente gnostica, invece, l’intransigenza dei puri e duri non era affatto una virtù. Caldo e freddo erano ritenute posizioni eccessive, e gravide di pericolose conseguenze. Alla fine s’impose l’ortodossia più dura, ma non si può dire che l’eresia gnostica venne eradicata, forse proprio perché il mondo non è in bianco o nero; a prevalere nel mondo è sempre il grigio, perché purità e impurità non si possono dividere con un colpo di coltello, come pensano ancora i “puri” di oggi.

È vero, il sogno dell’uomo è stato e resta da secoli quello della purezza, del bianco e del nero nettamente separati. La pubblicità che ci sorbiamo tutti i giorni ben rispecchia questa ossessione. Com’è che la pubblicità ci promette una felicità, un riscatto in questa vita monotona e grigia se solo riusciremo a lavare più bianco? O se con lo spray riusciremo finalmente a distruggere il 99% dei germi (se dicessero il 100% nessuno crederebbe) presenti in casa? Proprio perché rispecchia l’ossessione della nostra storia più recente: l’uomo agogna alla chiarezza, alla purezza, all’evidenza, al bianco e nero. Ma, guarda caso, tutte le ideologie del secolo passato (fascismo, nazismo, comunismo) che miravano ad idolatrare la purezza hanno portato al totalitarismo e al disastro.

E questa ossessione vale in tutti i campi. Vi siete mai chiesti perché per decenni i medici indossavano il camice bianco? Cosa simboleggia per noi occidentali il bianco? Sempre la purezza, la grande salute che sconfigge tutte le malattie, anche la morte. Infatti siamo arrivati al punto di non accettare neanche più che la morte sia la fine normale di ogni essere umano; pretendiamo che il medico ripari sempre il nostro corpo e cerchiamo di nascondere il fatto che la morte è ineluttabile; al più la consideriamo un incidente, dovuto a colpa dello stesso medico che non è intervenuto in maniera appropriata. Malasanità. Sappiamo che in ospedale si contraggono molte malattie, eppure pretendiamo sterilità assoluta.

Soprattutto in questi ultimi anni, seguendo una moda americana, anche da noi molte persone si sono fatte a lungo psicoanalizzare? Perché? Perché si vuole raggiungere finalmente la piena chiarezza della propria anima. Si ha timore di quella cantina buia e oscura che è il nostro inconscio. Gesù ha guarito molte persone, ma mica era vestito di bianco (come invece nel film Jesus Christ Superstar). L’abito bianco promette inequivocità, chiarezza, trasparenza, purezza; ma al tempo stesso pretende di vedersi riconosciute queste qualità, e al tempo stesso viene subliminalmente fatto passare il messaggio che tutto ciò che non è bianco è sporco; tutto ciò che non è proprio bianco ha a vedere col peccato, col male. Da questa idea di purezza nasce l’idea che il negro è chiaramente impuro rispetto all’uomo bianco (non per niente, Giuda, nel film Jesus Christ Superstar, è nero). Da qui nasce anche il razzismo.

Non c’è dunque da stupirsi se nel campo religioso è successo esattamente lo stesso. Vi ricordate come la Chiesa si batteva per la purezza della sessualità? La Madonna pura e immacolata! Quella sì era un esempio che tutte le fanciulle dovevano seguire. Inimmaginabile pensare Maria scatenata a letto con Giuseppe. Ovvio che simile simbologia ha gettato ombre pesanti sul matrimonio e sulla sessualità anche fra coniugi, tanto che il famoso curato d’Ars, ancora nel secolo scorso, prevedeva che la maggior parte delle persone sposate sarebbero finite all’inferno a causa della loro concupiscenza.

E la purezza della dottrina? I cercatori di Dio nei dogmi, sempre pronti a investire gli altri con la propria Verità assoluta, si sono sempre creduti gli unici veri detentori di ogni verità: solo la Chiesa continua ad andare avanti nel luminoso cammino annunciando la Verità (intervista al cardinal Tarcisio Bertone, “Famiglia Cristiana”, n. 26/2012). Gli altri? Gli altri, anche se non lo si afferma sempre direttamente, sono automaticamente fuori dell’ambito della verità, sono impuri, sono eretici. Da queste idee di purezza è nato il meccanismo della scomunica per chi puro non è e non merita di indossare il vestito bianco.

Insomma, dalla filosofia, alla politica, al diritto, alla sanità, alla religione, tutti hanno cercato di raggiungere questo orizzonte di purezza, finendo per fare della purezza un idolo.

Come si è mosso invece in quest’ambito Gesù, almeno stando ai vangeli? Il modo di essere puro di Gesù non ha mai escluso l’impurità: Gesù sa che l’impurità fa parte di questo mondo materiale (il grano e la zizzania crescono e devono crescere insieme - Mt 13, 24-30) ed ha solo cercato di sollevare ciò che è sporco, ciò che è ambiguo. Insomma ha solo cercato di riscattare l’impurità, senza volerla mai eliminare: “chi di voi ritiene di essere puro e di poter scomunicare gli altri, scagli la prima pietra” (Gv 8, 7).

In conclusione, neanche oggi si può dipingere lo gnosticismo come tutto nero e sbagliato, separandolo dalla pura dottrina bianca che è tutta vera, perché in questo mondo nulla può essere separato con un colpo netto di coltello: bianco di qua, nero di là. L’impurità fa parte di questo mondo e proprio per questo motivo qualcosa dello gnosticismo è giunto fino a noi, perché, anche se la Chiesa ha pensato di aver sradicato l’eresia, non ci è riuscita perché nel mondo non è possibile separare nettamente il bianco e il nero.

Dario Culot

[1]Anche i manichei possono rientrare fra gli gnostici: per essi, esponenti di un radicalismo cristiano ascetico e riformato, il mondo materiale era del tutto corrotto, una parte deteriorata del Regno della Luce invaso dal Male. Erano convinti di essere intrappolati in una catastrofe cosmica e il loro compito era scavare tra le rovine del mondo perverso per trovare fragili frammenti di luce sepolti sotto la materia maligna. Agostino, nato da madre cristiana ma non battezzato fino al 386, seguì questa corrente per una decina di anni (dal 373 al 384) e fino alla fine i suoi detrattori lo accusarono di manicheismo, visto che conservava una visione catastrofica dell’umano, in cui la sessualità era una forza demoniaca; e anche la sua idea di peccato originale (cfr. i miei articoli ai nn. 455 e 456 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-455---3-giugno-2018/il-purgatorio-e-l-indulto e https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-256---10-giugno-2018/il-peccato-originale) richiamava quella manichea secondo cui tutti gli uomini sono vittime di forze maligne capaci di schiacciarli fin dall’alba dei tempi (Brown P.)