Il male viene da Dio?

Il peccato originale (1099) - Wiligelmo - facciata del Duomo di Modena -

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Uno dei più grandi problemi tuttora irrisolti nella teologia è il problema dell’origine del male.

L’art. 395 del Catechismo afferma che resta un mistero il perché Dio permette il male, e in effetti nessuno ha trovato finora una risposta soddisfacente. Non la troverete neanche qui! Ma forse, dopo aver letto l’articolo, avrete inquadrato meglio il problema.

Questa domanda enorme che ha sempre interpellato tutta l’umanità (da dove arriva il male?) è stata affrontata dalla Bibbia.

Che la Bibbia si sia formata con un sovrapporsi di riflessioni diverse e umane, e non abbia Dio come unico Autore, appare più che mai evidente proprio quando si cerca di chiarire il rapporto di Dio col male.

Se la risposta l’avesse data Dio, - perché per molti credenti la Bibbia è parola di Dio dall’A alla Z - il problema sarebbe stato spiegato dalla Bibbia in maniera lineare.

Su questo punto Dio non poteva che avere le idee ben chiare.

Invece è evidente che, nella Bibbia, proprio l’immagine di Dio è stata modificata ripetutamente, perché l’uomo non ha mai trovato, fino ad oggi, una risposta soddisfacente.

Per i politeisti, dare la risposta è abbastanza lineare e ragionevole, in quanto si spiega l’esistenza del male alla luce di due principi opposti: un dio del bene e un dio del male: il bene deriva dal dio buono, il male dall’altro. Tutto semplice!

Anche lo gnosticismo aveva aderito a questa semplicistica soluzione, e aveva individuato un Dio superiore, Pantokrator, buono (il Dio della luce, estraneo a questo mondo) e un dio inferiore, Kosmokrator, il demiurgo malvagio (il dio della creazione e anche il dio guerriero della Bibbia - Es 15, 3; Is 42, 13). Come abbiamo visto, lo gnosticismo venne però dichiarato presto eretico (cfr. Lo gnosticismo, al n. 486 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-486---6-gennaio-2019/gnosticismo).

Nelle religioni monoteiste, se Dio è l’unico responsabile di tutto il creato, diventava molto più difficile rispondere al problema dell’origine del male. La sua origine – dice Vito Mancuso - può collocarsi:

1) in Dio (Dt 32, 39; Is 45, 7; Amos 3, 6; Sir 11, 14; 1Sam 16, 14; Corano Sura VI, 39; XIII, 11; XIV, 4). Dio crea il male, che quindi è causato da Dio (2Tes 2, 11; Rm 9, 18) visto che Lui stesso manda una forza di seduzione e ciascuno di noi è tentato dalle proprie passioni che lo attraggono e lo seducono (Bianchi E.). Dunque Dio fa sia il bene che il male (Is 45, 7). Viene in tal modo esaltata l’onnipotenza di Dio. Data la sproporzione di forze tra Dio e il peccatore, è anche certo che a vincere in questo affacciarsi della tentazione non sarà il tentato, ma il Tentatore.

Dopo tutto, Dio è un maschio guerriero, purissima e durissima volontà di potenza. Ricordo, però, come il filosofo tedesco Nietzsche avesse negato che il cristianesimo fosse l’esaltazione della volontà di potenza; per lui era esattamente il contrario (v. articolo Legge naturale, al n. 482 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-482---9-dicembre-2018/la-legge-naturale);

2) nell’uomo che ha peccato (Rm 5, 12; art.401 Catechismo). Tutti sono inchiodati alla colpa di Adamo, mentre Dio è esclusivamente buono. Il male avviene per colpa dell’uomo, che essendo stato creato libero, sceglie volontariamente la strada sbagliata. Ma i terremoti? Gli uragani? E la malattia mortale nel neonato che neanche ha coscienza di sé?

3) nel diavolo (Sap 2, 24; Eb 2, 14-15; art.391 Catechismo), persona sovrannaturale diversa da Dio. Ma in questo caso Dio resterebbe il principale responsabile del male avendo Lui creato il diavolo. Inoltre, in tal modo, si pongono due principi alla guida del mondo e non più solo Dio. Forse per questo Paolo aveva preferito indicare nella caduta dell’uomo Adamo, e quindi nel suo peccato, la causa del disastro (morte compresa). È chiaro comunque che indicando il serpente (figura diabolica) come causa del male (Gn 3, 1ss.), la Bibbia cerca di evitare di attribuire a Dio l’origine del male. L’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio non può essere l’unico colpevole; la responsabilità va attribuita a un’entità intermedia (Sacchi A.).

4) nel mondo. Il caos inerente all’essere originario è posto da Dio quale condizione necessaria per il darsi della libertà. La struttura originaria dell’essere è duale (logos e caos) perché solo così si ha la libertà. E se vogliamo essere liberi, non si può far a meno del male.

Ma di nuovo in tal caso – se uno crede che è stato Dio a creare il cosmo - Dio resta, almeno in via indiretta, il principale responsabile del male avendo creato un simile mondo. Per chi non crede, invece, il male si spiega col caos che regna sovrano nel mondo: veniamo dal caos e torniamo verso il caos; se nel mondo c’è qualche scintilla di senso, prevale il non-senso, che alla fine tutto travolge e tutto tritura.

Rimeditate dai teologi, tutte queste ipotesi possibili sull’origine del male sono ulteriormente raggruppabili in tre grandi gruppi (Maggi A.).

(A) Sia nella filosofia (ad es. Spinoza), sia nella religione si è tentato di sostenere che il male non ha esistenza reale, ma sarebbe solo un modo di pensiero che formiamo mediante il confronto delle cose tra di loro; basterebbe cioè posizionarsi con la mente sopra il mondo, oltre il proprio piccolo interesse, a un livello più alto e universale, e il male non esiste più; siamo davanti solo all’evoluzione del mondo, che solo apparentemente a volte fa vedere quello che sembra male, ma in realtà è bene perché il mondo va verso la perfezione. Il male non è una cosa. È stato fatto questo esempio: se saltando un fosso mi slogo la caviglia, sia il fosso, sia il salto, sia la caviglia sono buoni: è mancato a tutto questo una corretta applicazione, ma il male non esiste nelle cose. Dio ha creato l’energia elettrica, che all’origine non è né buona, né cattiva, tant’è vero che nessuno si chiede se l'elettricità è buona o cattiva (tranne forse nel momento in cui uno si trova sulla sedia elettrica, come diceva il regista Herzog W.). Il male ha la realtà non di ciò che è, ma di ciò che non è. Il male, dunque, è un limite e una mancanza. Se le cose fossero tutte positivamente infinite, il male non esisterebbe (Congar Y.).

Su questa linea è posizionato anche l’Islam, secondo il quale nella totalità non esiste il male, anche se il tassello che noi vediamo ci appare male: nulla sfugge al grado divino che è perfetto ed è solo bene.

Sarà anche così, ma è difficile convincere un ammalato di cancro che soffre le pene dell’inferno che, in realtà, il male non esiste ed è solo un suo modo limitato di vedere le cose. Altrettanto difficile, quando si vede nascere un bambino gravemente malformato, convincere una persona normale che siamo di fronte al bene anche se ancora non lo vediamo e non lo capiamo.

(B) Visto che negare il male va contro l’esperienza comune, nel monoteismo biblico iniziale si riconosce che lo stesso Dio è autore del bene e del male, ma questa via è stata ritenuta assai presto impraticabile. All’inizio della Bibbia si ha in effetti questa immagine di Dio che tira i fili del bene e del male, essendo diretto creatore del bene e del male (Is 45, 7: “faccio il bene e provoco la sciagura”). La Genesi ci presenta un Dio che, di fronte a due fratelli i quali offrono ciascuno il meglio di quello che hanno, reagisce accogliendo uno e rifiutando l’altro (Gn 4, 3-7): è dunque lo stesso Dio ad innescare, con il suo capriccio ingiusto, l’odio e lo scontro fratricida perché arbitrariamente aveva accolto uno dei fratelli e respinto l’altro. Nell’Ecclesiaste o Siracide (Sir 11,14) si legge che tutto proviene dal Signore: bene o male, vita o morte. Anche in Amos (Am 3, 6) si legge che nessuna disgrazia si abbatte su una città senza che Dio lo voglia. Quindi in Israele non c’era un dio buono e un dio malvagio, perché tutto proveniva da un’unica divinità. Pertanto, tutto quello che succede nel mondo, capita perché l’ha voluto Dio, e l’uomo non può fare altro che rassegnarsi ad accettare quello che il Dio gli manda.

Ma presto ci si è chiesti: può un Dio del bene mandare anche il male? Evidentemente no; e allora, visto che non si può incolpare Dio, si è dovuto sostituire del dio il male, proprio delle religioni politeiste, col Satana, l’avversario di Dio. Oppure – visto che con Satana ci si allontana forse troppo poco dai demoni del politeismo – è sembrato ancor meglio incolpare direttamente gli uomini: il responsabile del male è l’uomo peccatore, ed il male è il meritato castigo divino per le colpe degli uomini. Ovviamente incolpando Satana o colpevolizzando gli uomini malvagi si assolve Dio che è sempre buono, anche se odia pur sempre i malvagi: «L’Altissimo detesta i peccatori e agli empi darà quello che meritano» (Sir 12, 6).

Nella Bibbia si comincia così a leggere di un Dio terribile che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione (Es 34, 7: «non lascio senza punizione chi pecca, e lo castigo sui suoi figli fino alla terza e alla quarta generazione»).

Le risposte le domande sembrano essere più o meno queste:

“Perché mi è capitata addosso questa disgrazia o questa malattia?”

“Perché hai peccato e Dio ti ha punito. E se non hai peccato tu, ha peccato tuo padre; e se non ha peccato tuo padre ha peccato tuo nonno; e se non ha peccato tuo nonno ha peccato tuo bisnonno, anche se non puoi sapere cosa ha esattamente fatto”.

Anche la malattia, in allora, era vista come un castigo di Dio per i peccati.

Nell’Antico Testamento, quando Maria, l’ambiziosa sorella di Mosè, pretende il posto di Mosè, Dio la castiga appunto con la lebbra (Nm 12, 9-10). Ne consegue chiaramente che la lebbra è una punizione per il peccato di Maria. Non volendo incolpare Dio del male, s’incolpava l’uomo, che avendo peccato ha meritato il castigo. Ma, smentendo la Bibbia, Gesù guarisce un lebbroso che gli si presenta davanti. Che cosa ha fatto questo lebbroso per meritare la guarigione (dopo aver evidentemente peccato)? Nulla! Ed ecco che il primo evangelista - fin dall’inizio del suo vangelo (Mc 1, 40), - ci mostra quello che sarà il filo conduttore di tutta la sua opera e che ancora, dopo duemila anni, si stenta a comprendere da parte di tanti credenti: non è vero che Dio castiga gli immeritevoli peccatori e dirige il suo amore solo a quelli che lo meritano, perché dirige il suo amore su tutti, e tutti ne hanno bisogno. Invece, oggi si sente spesso ancora dire: “Cosa ho fatto per meritarmi questa brutta malattia?” E quanti credenti fondamentalisti affermano minacciosamente ancora oggi che una grave epidemia o un terremoto sono chiaramente il castigo di Dio per le colpe degli uomini peccatori?

Ovviamente anche ai tempi di Gesù quest’idea punitiva era ancora piuttosto comune fra la gente (anche se la Bibbia era nel frattempo già cambiata), perché di fronte al cieco nato gli apostoli chiedono appunto se ha peccato lui o i suoi genitori (Gv 9, 2). Gesù lo esclude espressamente, dicendo agli apostoli che né il cieco, né i suoi genitori avevano peccato (cfr. l’articolo Ma come facciamo a sapere che siamo perdonati? al n. 468 di questo giornale, https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-468---2-settembre-2018/ma-come-facciamo-a-sapere-di-essere-perdonati). Se soffri, non stai perciò scontando il giusto castigo per i tuoi peccati.

È chiaro che, mettendo al centro il peccato, la religione ha tentato di razionalizzare il male. “Peccato” però che già nel vangelo venga esclusa ogni relazione fra condotta peccaminosa e castigo divino. Le due cose non vanno a braccetto. Dio stesso (perché per la dottrina ufficiale Gesù è Dio) lo ha escluso. È anche vero che Gesù non dà risposta al perché del male, ma si occupa degli ammalati che all’epoca erano considerati castigati da Dio in quanto peccatori; Gesù non dà risposta al perché della sofferenza, ma si prende cura dei sofferenti. Soprattutto rende chiaro che nella sofferenza sarà il Signore che si offre a noi per dare un senso alla vita che viviamo, e che non dobbiamo offrire né sacrifici, né la nostra sofferenza al Signore (misericordia voglio, non sacrifici - Mt 9, 13; Mt 12, 7). In effetti, è illogico offrire a Dio le nostre sofferenze: che se ne fa Dio delle nostre sofferenze? (Maggi A.).

Interessante notare anche come questa stessa convinzione (peccato-castigo) avesse fatto anche scattare le prime persecuzioni contro i cristiani, non da parte dell’autorità, ma da parte delle popolazioni locali. La gente vedeva e pensava: “fino a ieri quei tizi venivano al tempio come tutti noi; improvvisamente si sono defilati, non pregano più i nostri dèi, si comportano in modo strano”. Se sopraggiungeva un terremoto (evento mai raro nell’area mediterranea), a chi la gente comune attribuiva subito la colpa? “Quei tizi che si professano cristiani, da persone pie che erano, sono diventate di colpo atee, e quindi gli dèi si sono irritati e ci hanno castigato: ecco di chi è la colpa del terremoto. Ammazziamoli, e faremo cosa gradita agli dèi.”

Tornando alla Bibbia, neanche quest’idea di colpa pagata da generazione dopo generazione era convincente, per cui si è cercata un’altra strada ancora. Arriva a un certo punto Ezechiele, il quale - dopo la distruzione di Gerusalemme e il forzoso esilio a Babilonia – si mette a contestare questa rozza teologia, apportando indubbiamente un principio molto più moderno. Il profeta sostiene che ciascuno di noi è responsabile del proprio comportamento, per cui se il male gli arriva addosso può essere solo perché è lui ad aver peccato: «solo chi pecca morirà» (Ez 18, 4-20). Il Signore richiede amore e obbedienza, e in tal caso ricompensa con la felicità (Dt 11, 13-17; 28, 1 ss.); chi non obbedisce sarà punito (Dt 28, 15 ss.), ma il figlio non pagherà più per l’iniquità del padre. Anche questa teologia trova ancora consensi nella nostra epoca: c’è ancora chi pensa che, se si comporta da buon cristiano, ecco che deve arrivare puntuale ed inevitabile la giusta ricompensa. Neanche quest’idea, appagante in astratto, trova purtroppo riscontro nell’esperienza reale, perché si vede continuamente che malattie, disgrazie e rovesci capitano più spesso ai buoni che ai cattivi.

Ad Ezechiele e al Deuteronomio controbatte allora il libro di Giobbe, dove si presenta un uomo che più santo e più pio di così non si può, eppure gli capitano tutte le disgrazie di questo mondo. Ovviamente il libro è eccessivo, ma ben chiarisce che non è affatto vero che il male è in relazione al peccato commesso da chi poi è colpito dal male, anche se si continua a sostenere che se Dio è onnipotente il male non può verificarsi senza il suo permesso (Gb 1, 11 s.; 2, 5 s.; 42, 11).

Alla moglie che rimprovera Giobbe per la sua rassegnazione e per aver benedetto il Signore nonostante tutte le disgrazie, Giobbe risponde: «Tu parli da insensata. Abbiamo accettato da Dio le cose buone. Perché ora non dovremmo accettare le cose cattive?» (Gb 2, 10). Ma siccome i più la pensano proprio come la moglie di Giobbe, si è dovuto cercare un’ulteriore spiegazione: se anche l’uomo incolpevole viene colpito dalle disgrazie, vuol dire che, come il fuoco purifica l’oro, così l’uomo caro a Dio viene provato nel dolore (Sir 2, 5). In effetti, di fronte alla sfida di Satana, Dio lascia libero questo suo collaboratore (non ancora il nostro diavolo) di tentare Giobbe, per saggiare l’autenticità della sua fede. Com’è buono questo Dio! che bei regali ci fa! Ma non sarebbe bastato il solo gentile pensiero, senza la consegna del pacchetto di dolore? La maggior parte della gente ha più paura della sofferenza che del peccato. Come si può amare un Dio che ci fa soffrire? E se lo fa per scommessa, poi…

Sia il caso del sacrificio di Isacco (Gn 22, 1-19), sia il caso di Giobbe han fatto pensare che Dio abbia voluto mettere alla prova Abramo e Giobbe: Dio, insomma, permette il male per saggiare gli uomini come l’oro viene saggiato col fuoco. Ma perché mai avrebbe dovuto metterli alla prova, ci chiediamo noi? Sarebbe sciocco da parte di Dio volerci provare, visto che si prova solo quello che non si conosce, mentre Dio sa già tutto, per cui sapeva già perfettamente qual era il livello di fedeltà di Abramo e di Giobbe.

Dunque, neanche questa spiegazione poteva essere soddisfacente, e allora si è detto che la Giustizia divina interverrà in seguito: “Tranquilli, perché i cattivi finiranno comunque all’inferno dopo morti”. Sai che soddisfazione per chi subisce qui in terra ingiustizie o altre disgrazie, e vede il cattivo che se la spassa su questa terra.

In conclusione, non riuscendo a spiegare in maniera soddisfacente ed esauriente l’origine del male, nella stessa Bibbia sorge a un certo punto un velato sospetto: non sarà che il peccato è stato inventato semplicemente per giustificare l’autorità della classe sacerdotale (1Sam 2, 12 ss.), che predica bene ma razzola male? Infatti basta render la Legge impraticabile e tutti saranno sempre in colpa, per cui dovranno ottenere il continuo perdono attraverso le offerte a Dio, che però di fatto vanno a beneficio dei sacerdoti. I sacerdoti non avranno risolto il problema del male, ma hanno almeno risolto il problema della loro sopravvivenza. Infatti, chi interpreta queste leggi divine, la volontà di Dio e chiarisce cosa è peccato e cosa non lo è? L’unica autorità autorizzata a farlo è quella religiosa (nn. 97-100 Catechismo). Certo, ogni interpretazione ha la pretesa di catturare la realtà oggettiva, ma qui c’è il rischio che l’obbedienza delle persone si risolva nel credere voluto da Dio ciò che ha semplicemente deciso il magistero.

(C) Nel cristianesimo il problema venne affrontato per primo dagli gnostici, e la loro risposta si richiamò il politeismo. Eliminato lo gnosticismo come deviazione eretica, il cristianesimo ortodosso si è fermato sostanzialmente su queste spiegazioni:

(a) con la teoria di una dimensione provvidenziale della storia in base alla quale tutto trova spiegazione, si è affermato che Dio vede il male ed essendo onnipotente lo potrebbe anche impedire, ma non lo fa per trarne poi misteriosamente un bene maggiore (così ancora i nn. 311 e 412 del Catechismo).

Anche Papa Giovanni Paolo II (in Memoria e identità. Conversazioni a cavallo del millennio, ed. Rizzoli, Milano, 2005, 27) era dell’idea che il male rientra nel progetto divino ed è voluto come parte di tale progetto. Il male è una parte di quella forza che vuole sempre il male e opera sempre il bene, nel senso che sotto lo stimolo del male si pone in essere un bene più grande.

Si sono già avanzate varie obiezioni a quest’idea, parlando dello sterminio degli armeni o della Shoah, e del divieto di compiere il male anche al fine di farne derivare un bene, perfino in presenza di gravissime ragioni (cfr. l’articolo Chiedete e vi sarà dato, al n. 466 di questo giornale, https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-466---19-agosto-2018/chiedete-e-vi-sara-dato). Dunque siamo sempre in presenza di una evidente contraddizione visto che la religione vieta all’uomo di fare proprio quello che Dio sembra fare in continuazione.

(b) La Lettera a Diogneto 7, 4, la quale cercò solennemente di affermare che in Dio non c'è violenza, venne prontamente confutata:

- perché il male è spesso ricondotto alla sua volontà,

- perché Dio stesso avrebbe previsto la dannazione eterna,

- perché se è onnipotente e non impedisce il male non è completamente buono.

Assai presto ci si accorse insomma che non si può tenere insieme bontà e onnipotenza. Chi vuole pensare a un Dio giusto e buono è costretto a porre dei limiti alla sua potenza dicendo che il male avviene a prescindere dal suo volere: se no in che senso sarebbe buono? Chi al contrario rimarca la sua onnipotenza attribuisce tutto ad essa, quindi anche la responsabilità del male: se no in che senso sarebbe onnipotente? Infatti se Dio è onnipotente, vuole solo il bene, ma le tentazioni esistono, significa che c'è una zona in cui il suo controllo viene meno. Se si vuol evitare di ricondurre a Dio la tentazione, occorre coerentemente escludere la sua onnipotenza. Come aveva già ragionato l’apologista Lattanzio: o Dio vuole togliere il male da questo mondo, e non può, ma allora non è onnipotente; oppure lo può fare, ma non lo vuole, e allora è malvagio; oppure non vuole togliere il male né lo può, ma allora sarebbe malvagità e impotenza insieme; o finalmente lo vuole e lo può; ma allora da dove ha origine il male che è sulla terra? Effettivamente, osserva Vito Mancuso, onnipotenza e amore (o bontà) si relazionano come un aut-aut, non come un et-et. C’è incompatibilità assoluta, e non complementarietà fra i due attributi.

(c) Il Padre Nostro, una delle preghiere più antiche e sentite, chiede a Dio: “non c'indurre in tentazione” (Mt 6, 13), il che implica con tutta evidenza l’idea che sia Dio l’autore male. Entro l’anno la frase verrà sostituita con “non abbandonarci alla tentazione,” (io avrei preferito nella) il che spiega il desiderio di evitare un Dio eticamente oggi inaccettabile, come del resto già affermava Gc 1, 13: “nessuno dica di essere tentato da Dio”. Il cambiamento sarà senz’altro più accettabile nella nostra mentalità, ma se andiamo a leggere l’originario testo greco, “non c’indurre in tentazione” è sicuramente la traduzione più esatta dal punto di vista letterale, a meno di non sostenere che il vocabolo greco abbia sfumature diverse, permissive (tipo: “lasciar entrare”) (così Mazza N., Tentati dal Padre nostro, in Vita Nuova 14.12.2018, p.5).

Il successore di Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI (Ratzinger J., Fede, verità tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena, 2003, 48s.) ha invece negato che il male possa essere dialetticamente interpretato in funzione del bene, confutando così il papa che l’aveva preceduto.

Anche il penultimo papa, perciò, negando che il male possa venire da Dio (“Nessuno, quando è tentato dal male, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male, né tenta alcuno al male” - Gc 1, 13), ha puntato – come già la Bibbia - tutto sul peccato, sostenendo che, se si scardina la visione del peccato, non si riesce a dare una spiegazione ragionevole del male, che indubbiamente esiste, come è facilmente constatabile. Nel cristianesimo di questo pontefice è rimasta dunque la centralità del peccato dell’uomo. In quest’ottica, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Ratzinger aveva affossato la teologia della liberazione (cfr. l’articolo al n. 450 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numeri-dal-26-al-68/numeri-speciali/numero-450---29-aprile-2018/la-teologia-della-liberazione).

Ma proprio perché il male colpisce anche persone innocenti si è dovuto aggiungere il peccato originale per chiudere il cerchio. Ed è proprio la presenza del peccato che avrebbe fatto scattare la reazione salvatrice di Dio (Benedetto XVI): l’uomo, per il solo fatto di nascere, è già caduto nel vortice che l’ha risucchiato in basso e solo l’azione salvifica divina ci fa risalire perché l’uomo da solo sarebbe troppo debole per farlo (n. 389 Catechismo). Si è però già visto nell’articolo Il peccato originale, al n. 456 di questa rivista (https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-256---10-giugno-2018/il-peccato-originale), come anche questa teoria sia alquanto opinabile e sia sempre più contestata. Nell’articolo Il peccato non è violazione della legge divina (n. 471 di questo giornale, https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-471---23-settembre-2018/il-peccato-non-e-violazione-della-legge-divina) e in altre occasioni future avremo modo di vedere come sia opinabile anche l’idea che sia stato il peccato dell’uomo a far decidere il Padreterno di mandare il figlio sulla terra per salvarci e riscattarci.

In tutto questo groviglio, l’unica cosa certa è che anche molti cattolici pii resteranno sicuramente sgomenti venendo informati che il magistero cattolico non ha sempre tutte le risposte, e che non avendo trovato adeguata soluzione alle domande, perfino gli ultimi papi sono in disaccordo fra di loro sul punto. C’è solo da sperare che nessuno dei due abbia parlato ex cathedra: altrimenti, addio infallibilità!

Penso che, in ogni caso oggi, nella nostra cultura e per la nostra sensibilità attuale, sia inaccettabile l’idea che esista una personalità onnipotente, la cui volontà assoluta si determina in base al proprio discrezionale arbitrio, che da essa dipendono il bene e il male del mondo, la sofferenza degli esseri umani e di tutti i viventi, che potrebbe eliminare il male con un battito di ciglia, ma lo permette per scopi a noi ignoti.

Forse scoprire che non si hanno sempre le risposte non è però un male.

Nel mondo ci sono molte domande senza risposta, nel senso che l’umanità non sa dare risposta a queste domande o non in modo tale da avere risposte vere alle nostre domande.

L’origine del male è una di queste.

Far domande senza ottenere risposte esaurienti può significare che la Chiesa, fatta da uomini e non da super-uomini, è in continua ricerca fraterna, insieme al resto dell’umanità, verso un orizzonte lontano.

E di questo dovremmo per ora accontentarci.

Dario Culot