Benedizioni simmetriche

Lo psicanalista di origine cilena Ignacio Matte-Blanco è noto per aver introdotto in psicologia la nozione di infinito, ma non nel suo senso letterario o poetico: l’infinito che sembrerebbe funzionare all’interno di molti dei nostri processi psichici è molto affine all’infinito numerico e si approssima così, quasi sulla scorta di Lacan, a un orizzonte matematico. Più nello specifico, l’infinito matte-blanchiano vuol significare che nel suo comportamento “normale” la psiche non funziona in maniera assolutamente logica, come ci aspetteremmo, ossia basandosi su pochi principi assoluti, bensì articolerebbe una sorta di “bi-logica” in cui la logica classica, quella aristotelica basata sull’impianto categoriale e sul principio di non-contraddizione, si “appoggerebbe” a un’altra logica, assimilabile a un’ illogica, a un àlogon.

Il punto di partenza di Matte-Blanco è la scoperta dell’inconscio di Freud e, in particolare, l’analisi del suo funzionamento. Innanzitutto esso non segue affatto i meccanismi che sono propri della coscienza: si tratta di un tutt’altro, la cui logica possiamo ad esempio presentire nelle trame dei nostri sogni. Grazie al meccanismo della condensazione l’inconscio riesce a concentrare in un oggetto elementi assolutamente eterogenei che scardinano ogni categorizzazione usuale; nello spostamento assistiamo a un continuo slittamento di significato, cosicché nessuna cosa indicherebbe esaustivamente ciò che abitualmente le si attribuisce; infine, l’inconscio non conosce la negazione, ma anzi costituisce il luogo in cui il “rimosso” della vita coscienziale viene riposto, conservato e celato.

Matte-Blanco traduce in termini logici questi meccanismi e li riassume in due principi che di fatto sovvertono la logica classica: il principio di simmetria e il principio di generalizzazione. Il primo – che più ci interessa – dice pressapoco che ogni forma di relazione è originariamente simmetrica, cioè bidirezionale. Cogliamo qui il paradosso di ogni relazionalità e, con esso, il suo carattere di non-padroneggiabilità, di impossibilità: la simmetria dice aperto cielo che se Pietro è più grande di Gianni, Gianni è anche più grande di Pietro. Si tratta di quella condizione tipicamente infantile che regola i rapporti del bambino con la sua mamma: in quello che Lacan chiama rapporto con das Ding (rapporto sempre fallìto e impossibile) possiamo sempre notare una doppia movenza in cui il piccolo cerca da un lato un luogo sicuro in cui rinchiudersi e accoccolarsi protetto, dall’altro cerca invece viceversa di fagocitare la madre estendendosi sopra di lei con tutto il suo corpo, quasi a ghermirla in una presa d’amore infinito. La simmetria, secondo Matte-Blanco, esclude ogni forma di successione e così, ad esempio, possiamo comprendere come sia a livello inconscio che nel bambino piccolo il tempo non sia ancora ben concepito e risulti invece frutto di un preciso processo educativo di simbolizzazione. Inoltre, la simmetria domina nell’area dell’emozione e dell’affettività ove sovente assistiamo ad inversioni che non trovano alcuna giustificazione dal punto di vista della logica.

L’altro meccanismo dell’inconscio è quello della generalizzazione che fa sì che ogni contingenza, ogni evento possa trasformarsi in una categoria universale. Anche in questo caso il bambino ci offre una serie di utili esemplificazioni: pensiamo ad esempio all’attaccamento dell’infante al seno della madre. Non si tratta soltanto di un rapporto di tipo stimolo-risposta o bisogno-appagamento, ma il seno rappresenta per il bambino l’oggetto nella sua massima generalizzazione, ossia l’universo onniabbracciante, il Tutto in cui in-essere rassicurato e protetto. Poi, la generalizzazione sembra agire nei cosiddetti processi di proto-categorizzazione in cui il bambino apprende a differenziare e ordinare la realtà percettiva in porzioni discrete che tuttavia manifestano omogeneità e similarità tra di loro: occasionalmente il piccolo vede la mamma mentre fa delle bolle di sapone; giubila e gioisce nel vederle vibrare diafane nell’aria. Ma subito dopo inizia anche a darle un nome, peraltro abbastanza corretto: “bode”. Dopo breve tempo, questa pseudo-parola inizia ad essere pluri-potente ed indica ogni oggetto di forma rotondeggiante: l’uva, le arachidi, i lamponi, le more, le biglie: è chiaro che l’asse della categorizzazione è in questo caso errata o quantomeno idiosincratica, poiché partendo da una primaria e occasionale associazione nome-evento si arriva a una generalizzazione radicale di tipo per così dire proto-geometrico. D’altra parte è un meccanismo che soggiace a molte forme retoriche della poesia come la sineddoche o la metonimia, ad esempio, in cui una parte di un oggetto, per generalizzazione, finisce per rappresentare il tutto.

Queste due tipiche del funzionamento dell’inconscio sono sovente intrecciate tra di loro e tra i vari esempi che porta Matte-Blanco, particolarmente significativo appare quella della paziente morsa dal cane. Si tratta di una donna che soffriva di psicosi e durante la seduta racconta all’analista di essere stata morsa da un cane e di essersi poi recata dal dentista. Innanzi a quali inversioni ci troviamo? Al di là della follia, qual è la anti-logica o l’alogica che sottende questo paradosso? Innanzitutto notiamo una simmetrizzazione: la donna è stata morsa dal cane, può significare anche che la donna ha morso il cane, anche se alla fine non si è fatto male il cane ma la donna stessa. Sul polpaccio o la caviglia afferrati dai denti aguzzi? No, la donna ha male ai denti che ha usato per mordere in base a un principio di generalizzazione per cui nella genericità del “mordere”, il centro logico-categoriale onnipervasivo è proprio il “dente in sé”: potremmo anzi dire, “tutto è dente”.

Ovviamente ci troviamo all’interno di un contesto patologico, ma Matte-Blanco sottolinea più volte come questa dimensione apparentemente insensata del senso funzioni continuamente anche nella vita “normale”: non soltanto nella vita emotiva, ma anche i medesimi processi di categorizzazione manifestano un fondamento che non è afferibile alla logica classica di Aristotele. La categoria “uomini”, ad esempio, contiene in sé i maschi e le femmine, la mamma e il papà, etc. secondo un processo di generalizzazione non molto dissimile dal processo tipo “bode”, soltanto che - direbbe Lacan - il bambino subisce la seconda grande alienazione, dopo quella immaginaria, che è l’assoggettamento al Grande Altro del linguaggio, il “linguaggio adulto normale”. E’ invero in questo assoggettamento, nei contromovimenti della dissimmetrizzazione e del “controllo” intersoggettivo delle generalizzazioni che il linguaggio e la cultura in genere scoprono una strana filiazione con il “potere”. Se la relazione non è simmetrica, inizia infatti a profilarsi una direzione privilegiata, un “senso comune”, una gerarchia: si va da una parte verso l’altra e non viceversa, questa è la norma!

In effetti è proprio nel non aver superato la dissimmetrizzazione che Lévinas, a detta di Derrida, ha in parte mancato il suo bersaglio: egli ha capovolto sì la direzione del rapporto del soggetto con l’Altro, ma non è riuscito a concepire una relazione di tipo simmetrico, non arrivando così a delineare un “altro-che-sono-io-stesso”, un Altro che non è soltanto “là”, facilmente oggettivabile e addomesticabile, ma un Altro che è “in-me”, che non è “altro” da me (nel senso che “non c’è Altro dell’Altro”, osserva Lacan); alla gerarchia che pone l’Io, l’Ego, il soggetto quale dominus che si relaziona agli altri in quanto “cor-relati”, Lévinas ha ipotizzato un Altro che è in relazione con noi prima di ogni parola e di ogni logica, ma che nello stesso tempo è eccedente, preponderante, tanto da congelarci nella nostra responsabilità infinita.

Orbene, mi pare che uno degli atti inaugurali di papa Francesco – il farsi benedire dal popolo – sia inquadrabile in quest’orizzonte di simmetrizzazione e di scompaginamento di una logica gerarchica che non pertiene soltanto alla politica della Curia, ma che traspare sovente nel nostro linguaggio, nel modo di relazionarsi agli altri, nei gesti e nelle consuetudini. Dicono che papa Bergoglio sia da sempre uso a questo gesto così umile e inaspettato, che crea immediatamente consentaneità e che soprattutto rafforza il “cum”, lo stare assieme in una condizione paritetica di fratellanza. E anche se è un vezzo, una strategia (retorica?), un’abitudine che ha ormai perduto il suo afflato originario, rimane comunque evidente la direzione di un movimento e la componente rivoluzionaria che vi soggiace. Si profila un depotenziamento radicale che parte dalla stessa dimensione del linguaggio, dall’inversione relazionale tra il soggetto e l’Altro, dallo sconquassamento di una gerarchia che sembra così imprescindibile da condizionare lo stesso modo in cui vediamo il mondo. Anche San Francesco d’Assisi aveva compiuto un’inversione simmetrica forse ancora più straordinaria, che coinvolge in maniera radicale l’Altro: egli parlò agli animali, scompaginò una gerarchia uomo-animale così immanente anche nel pensiero cristiano che Pico della Mirandola diceva: “quando l’uomo chiama, tutte le creature dell’universo vengono al suo cospetto”. Non più re, non più sovrano infallibile e onnipotente, ma uomo tra gli uomini, sulla scia probabilmente del papa Ratzinger delle dimissioni, cioè nell’idea di un “papa debole”.

Emiliano Bazzanella