Tutto ciò che è mio è tuo

Il figliol prodigo - foto tratta da commons.wikimedia.org

La famiglia ritratta nella parabola del cosiddetto “figliol prodigo”, al capitolo 15 del Vangelo di Luca, è una famiglia tutt’altro che “normale” e virtuosa.

In prima analisi pare assente qualunque figura di madre ed anzi anche la maternità pare integrata dal solo padre presente.

Poi sembra fallito qualunque sforzo educativo dal momento che il figlio minore esige improvvisamente l’anticipo dell’eredità paterna. Uno sconquasso morale da scandalo, quasi considerasse il papà – non si sa se vedovo a sua volta - già morto o comunque del tutto irrilevante.

Poi, ancora, la scelta, del figlio arricchitosi, di tornare a casa per meri motivi di interesse, per pura convenienza, una volta esauriti tutti i soldi.

E, da ultimo, la reazione del figlio maggiore, geloso dell’altro, e che viene ripreso dal padre, mentre al minore, macchiatosi – diremmo noi – di orribili peccati, nulla rimprovera, non è certo indice di un bel rapporto tra fratelli o con i genitori.

Insomma il brano evangelico previsto dalla liturgia romana per questa domenica di quaresima “Laetare” non va nel senso del conforto tradizionalista, del moralismo spiccio.

Appena cessate le polemiche del caso Scaraffia, sempre in Vaticano, è stata promulgata la nuova legge sulla repressione degli abusi (http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/03/29/0260/00528.html), è stato promulgato un apposito Motu Proprio (http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/03/29/0260/00527.html) e sono state diffuse le “Linee guida” (http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/03/29/0260/00529.html), sempre riferite al solo Stato della Città del Vaticano, anzi – per essere precisi – queste ultime al suo Vicariato.

Mi è stato chiesto di commentare tali norme in altra sede (https://www.adista.it/articolo/61061?fbclid=IwAR0dSi2inYKEVLYcm12peLa9uajKQNIvmuKzh8yirNeoZqtzqXBQ5EaZ8ZY).

Qui vorrei, con molta modestia, sottolineare - per appunto - la necessità di un approccio non moralistico nei confronti di un dato giuridico e delle notizie che lo accompagnano. Se è vero, cioè, che tali norme valgono solo per il Vaticano e per la Curia Romana – e non per le diocesi del mondo -, è altrettanto vero che proprio nell’enclave ecclesiastica dal significato simbolico più evidente e acuto a livello planetario la legislazione cambia notevolmente in senso del tutto favorevole alle vittime degli abusi, sino a configurare l’obbligo di denuncia per chi abbia ruoli di responsabilità in Vaticano e nella Curia Romana.

C’è qualcosa di beneficamente contraddittorio – e direi dunque di voluto – nel limitare ad un ambito e ad un territorio estremamente ristretti, ma pure estremamente significativi, le novità giuridiche che si vorrebbero, si auspicherebbero, estese alla legislazione di tutta la Chiesa.

La sorpresa sembra un po’ analoga a quella del fratello maggiore della parabola, a ben pensarci. “Perché fai questo a beneficio solo suo?” La risposta non è così semplice: “Tutto ciò che è mio è tuo”, al versetto 31 del capitolo 15 di Luca. In greco: πάντα τὰ ἐμὰ σά ἐστιν (“pànta tà emà sa estìn”).

La risposta evangelica del padre moralmente non va per niente bene. Trattasi di comunismo bell’e buono. Tutto ciò che è mio è tuo? Ma neanche per idea!

Proseguiamo nelle annotazioni di pensiero dettate dalla cronaca. A Verona è in corso in Congresso mondiale delle Famiglie.

Nei Vangeli Gesù di Nazaret non parla mai di etica familiare, mai. Anzi l’invito costante è quello di lasciare tutto, casa compresa, per un progetto più grande. E nel medesimo Vangelo di Luca il quadro, ancora una volta, non è proprio del tutto edificante: “D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”, al capitolo 12.

E, proprio mentre si celebra a Verona tale Congresso, il Papa è in Marocco ad incontrare l’Islam, la cui visione sulla famiglia “naturale” appare profondamente diversa da quella occidentale ufficialmente aggettivata come “naturale”. Anche qui, dotto in toni sommessi, andrebbe non moralisticamente rilevato che l’art. 29 della nostra Costituzione non chiarisce affatto che cosa sia naturale e cosa no (https://www.proversi.it/tesi/dettaglio/332-il-testo-della-costituzione-riguardo-la-societa-naturale-va-interpretato-in-relazione-ai-cambiamenti-socio-culturali-f), proprio perché si tratta della legge fondamentale del nostro Paese e non di una specie di catechismo etico. Una legge fondamentale ospitale per ogni cultura e religione che pure abbia accezioni molto diverse su cosa significhi conformarsi alla natura.

“Tutto ciò che è mio è tuo” è parola potente. Non è parola moralistica, è parola di sovversione culturale. “Io” mi definisco solo se posso condividere tutto con “te”. “Tu”, però, non sei un individuo, sei un mondo.

Ci possiamo immaginare due amici, due compagni, due confidenti che si dicano l’un l’altro “tutto ciò che è mio è tuo”?

È stata appena approvata la nuova legge – italiana questa volta, non vaticana – sulla legittima difesa: il clima culturale non sembra molto vicino a quella parola potente, sembra preferire altre declinazioni.

Neanche in famiglia sembra così percorribile una prospettiva di questo tipo, e nemmeno augurabile. La ripartizione di compiti e sostanze sembra acquisizione ormai fuori di discussione.

Eppure resta una nostalgia.

La nostalgia, o il sogno, che sia davvero possibile, nonostante tutto, persino nonostante l’assenza della madre (o del padre) proprio nel momento della festa, del ritorno a casa del figlio amato senza nessunissimo suo merito, la speranza che proprio allora sia possibile fare un banchetto assieme, mangiare assieme, guardarsi negli occhi, parlarsi, ridere, mettersi reciprocamente l’anello al dito.

Stefano Sodaro