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Dieci anni dopo quel “buona sera”: l’autorità della Chiesa e la tradizione che cammina


di 

Andrea Grillo

Socio Onorario dell’Associazione Culturale “Casa Alta” 

 

La questione sollevata da Francesco dieci anni fa, intorno alla identità cattolica e al suo dinamismo storico e culturale, è iniziata subito con il suo apparire, la sera del 13 marzo, dalla loggia di S. Pietro, in quella figura e con quelle parole, che hanno provocato lo sguardo e l’ascolto a concepire, come in un “presentimento conciliare”, che cosa potesse essere un prototipo diverso di papa. 

Lo ha espresso a caldo Marciano Vidal, nel modo più efficace: il fatto che quelle parole e quei gesti dei primi minuti di pontificato potessero essere attribuiti ad un papa reale (piuttosto che ad un film come Habemus papam) era il frutto di un “presentimento” che era nato 60 anni prima, con il Concilio Vaticano II. Il popolo sapeva “già prima” – pre-sentiva –  che un papa così avrebbe potuto esistere. E ora lo aveva visto davanti a sé, all’improvviso, con una nettezza e con una forza del tutto irresistibili. 

Alcune caratteristiche del Concilio sono la condizione per capire il nuovo papa e per capire anche le reazioni scomposte, che presto si sono manifestate nella chiesa, soprattutto in quei settori del cattolicesimo che da 60 anni avevano fatto di tutto per dimenticare il Vaticano II, per anestetizzarlo e per rimuoverlo.

Il primo papa “sudamericano”, che non viene dall’Europa, che non ha la storia europea alle spalle e sulle spalle, è insieme il primo papa “figlio del Vaticano II”. Non un padre, ma un figlio. In effetti, un padre è ansioso verso il figlio, mentre un figlio vive con tranquillità della eredità paterna. Questa differenza tra Francesco e i suoi predecessori è la differenza tra una lettura paternalistica del Vaticano II come figlio e una lettura filiale del Concilio come padre.

Dal punto di vista teologico questo significa una cosa fondamentale: il recupero di autorità della Chiesa cattolica nel recepire, nello strutturare e nel rilanciare la tradizione. Ogni epoca riceve la tradizione precedente e la rilancia oltre di sé: questo atto di recezione e trasmissione non è mai un atto meccanico, ma implica una certa necessaria creatività, allo stesso tempo una continuità e una discontinuità. I papi “padri del Concilio” (dopo Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II, Benedetto XVI), proprio perché “padri”, avevano elaborato un complesso di colpa nei confronti del Concilio: erano ansiosi e preoccupati per quel figlio che avevano contribuito a generare. Così, in un crescendo di diffidenza, erano arrivati quasi ad una sorta di “disconoscimento di paternità”, arrivando a equiparare il Concilio alla esperienza del peccato originale (cfr. il discorso di Benedetto XVI la sera dell’11 ottobre 2012). 

Francesco è invece un “figlio del Concilio”: il suo immaginario ecclesiale, teologico, spirituale, pastorale viene direttamente dai testi conciliari. 

Lo si vede da come celebra ogni mattina a S. Marta. Questo lo rende “irresponsabile verso il Concilio”, al quale guarda come un figlio guarda al proprio padre, senza doverne giustificare la esistenza, ma anzi sentendosi giustificato dalla sua esistenza! 

Questo ha liberato le energie di un nuovo rilancio della tradizione, facendo uscire la chiesa cattolica dal vicolo cieco in cui era entrata nel periodo postconciliare, ridotto spesso a mera ripetizione del pre-concilio. 

Il merito maggiore di Francesco, in questi primi 10 anni, è stato di aver sbloccato quel “dispositivo di blocco” che aveva sottratto alla Chiesa ogni autorità, per ribadire tutte le forme di autorità preconciliari. I temi della famiglia, del  sinodo, del decentramento, del primato delle periferie, della povertà, della uscita dalla autoreferenzialità, dei modelli di attenzione al creato e di rifiuto dell’economia dello scarto, sono i “luoghi” in cui Francesco, con maggiore o minore incidenza, ha tuttavia messo in moto le azioni, i pensieri, le rappresentazioni. Il “cambio di paradigma” di cui si parla nel Proemio di Veritatis gaudium (e di cui ahimé ci si dimentica nel corpus del documento) è forse l’emblema più grande di questa novità.

Anche sul piano ministeriale, il superamento della “riserva maschile” per i ministeri istituiti costituisce un “precedente” importante, per una impostazione più seria del dibattito sull’accesso delle donne al ministero ordinato. 

Lo stesso deve dirsi, infine, della potente ripresa della riforma liturgica, come progetto di formazione ecclesiale, che può finalmente superare ogni concessione a quel “parallelismo rituale” che era diventato la cifra più clamorosa e pericolosa di una resistenza viscerale alla riforma liturgica conciliare e al Concilio Vaticano tutto.

Aver restituito alla tradizione cattolica il suo versante dinamico e aver superato un modello ottocentesco di visione cattolica del rapporto col mondo è il merito maggiore di questo intenso decennio di pontificato.