Il piccolo amico (2002)

Un giallo inconcludente?

Titolo italiano: Il piccolo amico

Titolo originale: The Little Friend

Anno di pubblicazione: 2002

Edizione: SuperPocket n.226

Pag.: 678

Prezzo: Euro 4.60

Finito il: 12/01/2007

Vantaggi: Romanzo con buone descrizioni per un'autrice con un notevole talento narrativo

Svantaggi: Spesso inutilmente dispersivo, trama lacunosa e finale inesistente

Dopo aver letto "Dio di illusioni", romanzo d'esordio di Donna Tartt osannato dalla critica alla sua uscita nel 1992, sono passato (dopo tanto tempo) al secondo libro di questa autrice, "Il piccolo amico", uscito nel 2002 negli Stati Uniti e arrivato in Italia nel 2003 ad opera della Rizzoli. Io ho aspettato l'edizione tascabile della SuperPocket (n.226 al prezzo di 4.60 euro) che tanto tascabile non e', viste le sue 678 pagine. Quindi un bel mattone! In questo pero' e' simile al precedente.

La trama mi sembrava interessante avendo letto il seguente riassunto sul retro di copertina:

"In una cittadina rurale del Mississippi, un orrendo delitto ha sconvolto per sempre la vita della famiglia della piccola Harriet Cleve: era appena nata quando il fratellino Robin, di nove anni, e' stato impiccato ad un albero del giardino e ne' il colpevole ne' il movente sono mai stati trovati. Per lei Robin e' il legame con un passato felice che non ha mai conosciuto, se non per qualche racconto e un'occhiata agli album di famiglia, e' il suo "piccolo amico". Ed e' per questo che, nell'estate in cui compie dodici anni, decide insieme all'inseparabile Hely, un ragazzino che le e' devoto, di scoprire finalmente l'assassino e compiere la sua vendetta. Ma la loro indagine supera i confini dell'avventura e del gioco: di fronte a loro si svela il mondo torbido degli adulti, carico di minacce..."

Ho preso il riassunto direttamente dal libro per permettervi di capire cio' che avevo capito io leggendolo: e cioe' che sembrava un romanzo dalle tinte gialle con protagonisti dei ragazzini nelle vesti di investigatori.

Interessante, vero?

Peccato che le mie aspettative siano state deluse in buona parte.

Donna Tartt scrive bene e ha un buon modo di raccontare e descrivere, persino troppo buono: a volte descrive troppo i personaggi rischiando di perdersi. Certo i risvolti psicologici sono importanti in quanto alla base di un buon giallo e ancor piu' lo e' l'ambiente in cui i protagonisti vivono. Sono caratteristiche utili per permettere al lettore che vive da tutt'altra parte di immedesimarsi ad Alexandria, nel Mississippi, durante gli anni Settanta (o almeno credo sia questo il periodo). E' un ambiente estraneo e ha bisogno di uno studio abbastanza approfondito per capire bene tutti i legami.

Ma quello che ne viene fuori non e' piu' un romanzo giallo. La ragazzina, Harriet, sembra non avere piu' segreti, eppure non si capisce come possa arrivare alle sue conclusioni sul colpevole della morte del fratellino. Si potrebbe giustificarla dando la colpa alla sua giovane eta', ma le sue azioni non sono per nulla "bambinesche" e i suoi propositi di vendetta acquistano un sapore adulto che fa quasi inorridire.

E alla fine? Riesce veramente a scoprire il colpevole e mettere in atto la sua vendetta?

Il suo legame col defunto Robin non e' poi cosi' forte come il riassunto sopra riportato sembra far credere. Le azioni di Harriet non sono generate da un reale moto di affetto verso il fratellino (che non ha praticamente conosciuto), ma, secondo me, da un moto egoistico di dare la colpa a qualcun altro per la vita che si ritrova a sopportare e fargli pagare i problemi che derivano dallo stato in cui si trova la sua famiglia.

E' una vendetta per l'apatia della madre Charlotte, persa in un mondo quasi slegato dalla realta' e con pochi legami con le due figlie ancora vive.

Allison, la sorella maggiore di Harriet, e' chiusa, superficiale e persa nella voglia di dormire anche per quattordici e piu' ore di seguito. Potrebbe sapere qualcosa della morte di Robin, visto che aveva quattro anni all'epoca della tragedia e si trovava in giardino quando e' successo, ma non riesce o non vuole ricordare. Si tratta di un tipico shock post-traumatico non curato. Preferisce sfuggire alla realta' immergendosi tra le braccia di Morfeo, dove forse rivive tutto in sogni e incubi che al suo risveglio dice di non ricordare.

Harriet e' una bambina lasciata a se stessa. Non ha una guida che le insegni a vivere e a maturare. La madre e' assente mentalmente mentre il padre e' assente anche fisicamente: ha preferito trasferirsi con la scusa del lavoro in un'altra citta' e ricominciare cosi' una nuova vita lontano da una famiglia che non ha mai sentito veramente sua, nemmeno prima della tragedia.

La nonna materna Edie non ha molta pazienza e voglia di seguire le nipoti. Caratterialmente assomiglia a Harriet, ma il loro legame termina quasi li'.

Non c'e' un adulto da emulare e da cui imparare. C'e' la cameriera di colore, Ida, alla quale le bambine sono molto legate, ma finite le sue ore giornaliere se ne torna a casa sua.

Come si puo' dunque crescere bene in un ambiente del genere?

Donna Tartt ci racconta il malessere di un mondo sconvolto da una tragedia, un mondo che non ha saputo rialzare la testa e andare avanti.

Mi e' piaciuto questo libro? Francamente non molto.

Mi e' piaciuto per il modo di raccontare, perche' la Tartt ha saputo farmi immergere in quel mondo e provare (almeno in parte) le emozioni che vi albergano. Ma per il resto mi ha lasciato poco quando sono arrivato all'ultima pagina, solo una cocente delusione per un finale inesistente. Si chiude senza un perche' ed e' questo il vero mistero del libro.

Francamente mi sembra di aver quasi sprecato due settimane alla ricerca di un qualcosa che non ho trovato ed e' per questo non me la sento di consigliare senza riserve questo libro. Forse a qualcuno potra' piacere, ma per me che pensavo di trovarmi davanti ad un giallo, e' stato una delusione. In fondo le delusioni arrivano sempre da promesse non mantenute o aspettative disattese, no?

Quindi per quanto mi riguarda la Tartt poteva sfornare qualcosa con un finale degno di questo nome dopo dieci anni di lavoro dedicati a questo libro.

Buona (altra) lettura a tutti!

E la citazione che ho usato come titolo? Appartiene al capitano Scott, tragico personaggio di un libro che Harriet ha letto e riletto e che trovo si adatti perfettamente alle azioni della bambina.