La manomissione delle parole (2010)

Titolo: La manomissione delle parole

Anno di pubblicazione: 2010

Edizione: BUR

Pag.: 184

Prezzo: Euro 10.00

Finito il: 10/01/12

Vantaggi: Buona introduzione, buona la parte sul linguaggio giuridico

Svantaggi: Troppo lacunoso e troppo di parte, promette e non mantiene

Gianrico Carofiglio e' un autore che conosco molto bene ormai da diversi anni.

Magistrato di professione, ha pubblicato diversi libri, tra cui una bella serie di legal thriller con protagonista l'avvocato Guerrieri che ho apprezzato molto (chissa' se prima o poi uscira' la quinta avventura), insieme a qualche altro libro slegato e qualche saggio.

Tra questi ultimi "L'arte del dubbio" e' quello che mi ha interessato di piu', riguardando i metodi usati da avvocati e magistrati nell'interrogare i testimoni durante i processi.

A questo filone appartiene in parte il libro di cui sto per parlare.

L'ho comprato prima di Natale e l'ho usato come regalo per un caro amico. Mi sono lasciato tentare dal breve riassunto sul retro del libro. Purtroppo e' un riassunto che mette l'acquolina in bocca e alla fine ti rimane solo l'amaro.

Il libro si intitola "La manomissione delle parole", edito dalla BUR e scritto nel 2010.

E' formato da appena 184 pagine e si legge abbastanza velocemente.

Scopo del libro riportato nel riassunto e' dare nuova forza ad alcune parole che l'hanno persa col passare del tempo e l'opera di manomissione che ne e' stata fatta.

E' diviso in due parti.

Quella che ho preferito e' la seconda, che riguarda il linguaggio giudiziario.

Visto che Carofiglio e' un magistrato, sa ovviamente bene di cosa parla. La sua e' una condanna verso le girandole verbali che vengono usate dai suoi colleghi per rendere oscura una materia che dovrebbe essere comprensibile a tutti, visto che regola la vita di tutti, sia di quelli coivolti nei processi, sia di qualunque cittadino sottoposto alla legge e alla Costituzione italiana. Visto che le leggi devono essere rispettate, dovrebbero essere anche scritte in modo comprensibile. Non sempre e' cosi'. Un esempio di buona scrittura e' rappresentata dalla Costituzione, cui Carofiglio dedica parole di elogio e mi ha instillato la voglia di leggerla. Lo so, dovrebbe essere dovere di ogni cittadino leggere la Costituzione del paese in cui vive, ma purtroppo non sempre lo si fa, forse per poca voglia, forse per paura di trovarsi immersi in un linguaggio talmente arzigogolato da risultare quasi impossibile da comprendere.

Cerchero' di sopperire presto alle mie lacune.

Per quanto riguarda la prima parte del libro, si tratta di un gioco.

L'introduzione e' interessante e mi ha caricato di aspettative sul suo proseguo. Parla del potere delle parole, che possono essere creative e che possono essere prova di una societa' civile e democratica o, al contrario, chiusa e oppressiva. Nel primo caso il linguaggio e' ricco, pieno di possibilita' espressive e costruttive. Nel secondo caso il linguaggio risulta povero, basato su poche parole i cui significati sono controllati e ridotti al minimo, spesso nascosti dietro slogan propagandistici.

Quello che ci si aspetta dopo questa introduzione e' un gioco: si vuole vedere come l'autore restituisce vita e significato alle parole che hanno perso il loro potere con il passare del tempo. Ovviamente, per mancanza di spazio, le parole scelte sono poche. E in particolare Carofiglio sceglie vergogna, giustizia, ribellione, bellezza e scelta.

Dedica un capitolo ad ognuna di esse, legando tra loro i capitoli attraverso l'ultima riga.

Ma nel complesso i capitoli deludono perche' esprimono la soggettivita' del loro contenuto. Carofiglio e' chiaramente di sinistra ed e' la politica l'argomento principale del suo saggio. Ovviamente Berlusconi e' un personaggio chiave e questo e' comprensibile, essendo una figura di spicco della scena italiana degli ultimi vent'anni. Ma quello che stupisce e' che quando parla di grandi regimi del passato, l'autore si limita ad indicare il nazismo senza menzionare in alcun modo la sua controparte comunista.

Interessante poteva essere il capitolo sulla scelta. E' quello che mi ha colpito di piu', con alcune contraddizioni evidenti.

Il capitolo inizia dicendo che i vocabolari non riportano contrari per la parola "scelta". Poche pagine dopo pero' ne presenta alcuni.

Ad un certo punto parla di William Ernest Henley, poeta del diciannovesimo secolo. E' l'esempio che usa per parlare della scelta delle morti "decorose". Nel 1861 Henley si ammalo' di tubercolosi e i suoi cari decisero, contro la sua volonta', di salvarlo anche se per farlo dovettero amputargli una gamba. Carofiglio scrive:

"Aveva solo dodici anni, sarebbe diventato un poeta e per tutta la vita avrebbe lottato contro la malattia, la menomazione e lo sconforto" (pag.112).

Meglio dunque lasciarlo morire? Se cosi' fosse capitato, una poesia come "Invictus" non avrebbe visto la luce (Carofiglio la riporta subito dopo). Per qualche strana coicidenza, "Invictus" e' anche il titolo di un film che ho rivisto qualche giorno fa, prodotto dalla Disney e con protagonista Nelson Mandela (interpretato da un grande Morgan Freeman). Se il film e' veritiero, questa poesia ha aiutato Mandela a sopravvivere ai lunghi anni passati in prigione e quindi ha contribuito all'abolizione dell'Apartheid in Sudafrica.

Se Henley fosse morto dodicenne, chissa' come avrebbe influito la sua morte sulla nostra realta'.

A volte e' piu' facile morire che vivere. Ma e' davvero cosi'?

Scusate, mi sono lasciato trascinare.

Concludo senza un consiglio. Mi aspettavo qualcosa di piu' da questo libro e non l'ho trovato, almeno per quanto riguarda la prima parte. Quindi non mi sento di consigliarne la lettura. Lascio a voi la scelta. In fondo anche la mancanza di una scelta spesso rappresenta una scelta, nonostante quanto pensa Carofiglio.

Buona lettura a tutti!