Il sangue dei vinti (2003)

Per giustizia, per vendetta o per profitto?

Titolo: Il sangue dei vinti

Anno di pubblicazione: 2003

Edizione: Sperling

Pag.: 456

Prezzo: Euro 6.00

Finito il: 28/04/2007

Vantaggi: Uno spaccato storico del dopo 25 aprile 1945 nel nord d'Italia

Svantaggi: Nessuno

Un po' di tempo fa si e' festeggiato il 25 aprile con grandi manifestazioni in tutte le citta' e i paesi d'Italia.

Ma cosa rappresenta questa festa nazionale?

Ovviamente la liberazione e in pratica la fine della seconda guerra mondiale in Italia con la caduta di Mussolini, del fascismo e della Repubblica Sociale Italiana.

Ma cosa ha comportato questa liberazione? Solo la caduta del fascismo e del nazismo? Solo la fine della persecuzione ebraica, almeno nel nostro Paese? Solo la fine della lotta partigiana?

Ovviamente no, perche' il 25 aprile 1945 ha segnato anche l'inizio di una serie di morti non indifferente, alcune delle quali anche ingiustificate. Si e' passato in pratica da una guerra civile ad un'altra, fatta in modo forse piu' clandestino ma con la stessa spietatezza del precedente regime.

Giampaolo Pansa in "I figli dell'Aquila" aveva analizzato la guerra civile italiana legata alla Repubblica Sociale Italiana all'incirca dalla sua nascita nel 1943 alla sua caduta nel 1945.

In "Il sangue dei vinti" prosegue l'analisi di questo periodo storico alzando un velo su cio' che e' successo nel nord d'Italia da quell'aprile 1945, periodo che dovrebbe coincidere con l'applicazione della giustizia atta a punire i tanti crimini di guerra commessi dai fascisti. Ma quello che viene fuori e' una seconda guerra civile, soprattutto in Emilia Romagna, ai danni di persone anche innocenti.

Oltre alla giustizia fatta dai Tribunali di guerra si e' assistito ad un'ondata di vendette e qualche volta di veri e propri crimini, non piu' di guerra ma per mero profitto.

In un fantasioso dialogo con una donna, Livia Bianchi, Pansa ripercorre cio' che e' avvenuto in Lombardia, Piemonte, Veneto, Trentino, Friuli ed Emilia Romagna.

Livia Bianchi e' una bibliotecaria di Firenze che, incontrata quasi per caso, mette a disposizione di Pansa una caterva di dati raccolti in tanti anni per un lavoro di tesi e mai pubblicati. Ed e' anche, a quanto afferma Pansa, l'unico personaggio inventato dell'intero libro.

E' un metodo che lo scrittore e giornalista aveva gia' usato ne' "I figli dell'Aquila", dove c'era Alba M. di Padova a raccontare, attraverso la sua storia e quella del suo fidanzato Bruno, gli avvenimenti accaduti dal 1943 al 1945.

In questo modo Pansa rende la narrazione piu' "semplice" da leggere trasformandola in uno scambio di idee tra lui e Livia durante un fine settimana a Firenze e poi in una decina di giorni passati in giro per il Veneto e dintorni nei luoghi che hanno assistito alle stragi del dopoguerra. Con questo scambio di idee, Pansa mette in campo tutti gli aspetti di quel periodo nero della storia.

La "resa dei conti" dopo il 25 aprile ha provocato lo spargimento di tanto, troppo sangue.

"[...]la liberta' appena conquistata ha visto un'alba coperta di sangue. E che il primo risultato raggiunto dopo la sconfitta del fascismo e' stato di riempire di cadaveri migliaia di fosse, di tombe senza segno, di cimiteri occultati. Qualcuno potrebbe obiettarmi che tutte le guerre finiscono cosi': la parte che soccombe non paga soltanto le violenze che ha compiuto durante la guerra, ma anche il semplice fatto di non avere vinto. E' quel che e' successo a molti dei giustiziati dopo il 25 aprile. Potevano non aver mosso un dito contro i partigiani. Ma erano fascisti o si sospettava che lo fossero. E questo bastava per portarli a morire."

Come scriveva Giorgio Amendola sull'Unita' di Torino il 29 aprile 1945, "Pieta' l'e' morta...[...] I nostri morti devono essere vendicati, tutti. I criminali devono essere eliminati. La peste fascista deve essere annientata... Con risolutezza giacobina, il coltello deve essere affondato nella piaga, tutto il marcio deve essere tagliato."

Se si fossero limitati ad eliminare il fascismo in modo oculato punendo, anche con la morte, i veri criminali di guerra, non avrei nulla da eccepire, perche' il fascismo senza dubbio si e' macchiato di tanti crimini e ha sparso tanto sangue innocente prima e durante la seconda guerra mondiale.

Ma non erano solo i Tribunali a funzionare in quel periodo. Un Tribunale poteva assolvere, ma poche ore o pochi giorni dopo l'accusato veniva prelevato da gruppi partigiani e il suo corpo poteva essere ritrovato dopo un po' oppure sparire nel nulla, magari buttato in una fossa anonima sul greto di un fiume.

Se questa era giustizia, perche' ai morti veniva tolto ogni documento utile ad identificarli?

E' questo che mi ha dato da pensare: posso capire che la vendetta ha sete di sangue, ma non capisco perche' i famigliari di quel "criminale" non potevano almeno piangere sul suo cadavere. Forse perche' si trattava di un assassinio perseguibile per legge?

Per finire in una fossa bastava essere iscritto al partito fascista, anche senza aver mai partecipato alla guerra, oppure aver intrecciato una relazione con un appartenente al partito fascista, come e' successo ad alcune ragazze italiane. Queste venivano prelevate e se andava bene, subivano il taglio dei capelli e la testa colorata di rosso con relativo pubblico ludibrio per le vie della citta' in cui abitavano. Ma se andava male, venivano torturate e stuprate, anche per diversi giorni, per poi essere uccise con una pallottola in testa o a sbrangate.

Questa e' giustizia?

C'era anche la possibilita' di finire in una fossa per un semplice sospetto. Bastava una voce che indicava qualcuno come collaborazionista e per quest'uomo o donna era finita.

E poi c'erano gli errori madornali, come e' successo ad alcuni uomini e donne che nonostante avessero aiutato i partigiani e fossero sempre stati anti-fascisti, finivano uccisi per due ragioni: o erano stati erroneamente presi per fascisti (magari erano stati visti uscire da un edificio fascista in cui erano andati a richiedere la liberazione di qualche prigioniero appena catturato) oppure nel dopoguerra avevano chiesto notizie insistenti su un figlio o su un genitore sparito nel nulla.

Perche' ovviamente si rischiava di morire anche se si era troppo curiosi o se si era palesemente a sfavore delle epurazioni in atto.

E infine si arriva alla parte piu' nera della faccenda: l'uccisione di intere famiglie per rubare loro soldi e averi. Questa era giustizia? Oppure si trattava di bande di criminali nascoste sotto le mentite spoglie dei partigiani?

Ma c'e' ancora un aspetto messo in luce da Pansa, ed e' quanto avveniva in Emilia Romagna, regione rossa per l'alta percentuale degli iscritti al partito comunista. Qui Pansa parla di una vera e proprio preparazione per l'attesa rivoluzione comunista che avrebbe portato alla sparizione di possidenti e nobili per dare il potere al popolo. Questa preparazione comportava l'eliminazione delle famiglie che avevano qualche proprieta', soprattutto terre e bestiame. Ma anche se eri un prete potevi subire tale sorte. E infatti sono molti i preti uccisi.

E' giustizia questa?

E' vendetta?

Nessuna delle due cose, ma sotto questi ideali si sono nascoste.

Chiudo con alcune parole di Pansa:

"Ma non mi sono mai proposto di fare un catalogo delle stragi. Voglio soltanto lasciare una memoria di quel dopoguerra. Raccontando una serie di casi che aiutino il lettore a capire attraverso quante tragedie sia nata l'Italia nella quale ancora viviamo."

ed e' per questo che consiglio questo libro.

Festeggiamo il 25 aprile, festeggiamo la liberazione e la fine della seconda guerra mondiale.

Festeggiamo la fine di Mussolini e dei fascisti di quel tempo.

Ma non dimentichiamoci di cio' che e' successo dopo e del sangue innocente che e' stato sparso per fare "giustizia". Di ogni medaglia ci sono sempre due facce.

Buona lettura a tutti!