Castelli di rabbia (1991)

Titolo: Castelli di rabbia

Anno di pubblicazione: 1991

Edizione: Rizzoli, SuperPocket (1997)

Pag.: 245

Prezzo: Lire 6500

Finito il: 20/11/2011

Vantaggi: Bello se preso a bocconi, istruttivo

Svantaggi: Il complesso mi ha lasciato confuso

Era da tanto tempo che questo libro era in attesa nella mia libreria. Attendeva il suo momento dal 1997 nella versione SuperPocket venduta in quell'anno a 6500 lire.

Sto parlando di "Castelli di rabbia" scritto da Alessandro Baricco nel 1991 e pubblicato originariamente dalla Rizzoli.

La voglia di leggerlo mi e' venuta vedendo Baricco un sabato sera in una intervista/spettacolo nella trasmissione "Che tempo che fa" di Fabio Fazio su Rai3. Sentirlo parlare e' quasi ipnotico: divertente, cattura l'attenzione dello spettatore anche dicendo cose non eccezionali. Ma le parole semplici riescono a catturare ben piu' di quelle difficili. A Torino Baricco e' anche noto come co-fondatore della Scuola Holden. Io non l'ho (ancora?) provata, ma una mia amica vi ha seguito un mini-corso e si e' detta entusiasta

Di Baricco fino ad ora avevo solo letto "Novecento", da cui hanno tratto il film "La leggenda del pianista sull'oceano" di Tornatore. Il libro, che purtroppo ho letto dopo, mi e' piaciuto, ma il film mi e' piaciuto di piu': aveva una storia forse meglio raccontata, piu' estesa (con una aggiunta di amore romantico in mezzo che nel libro manca) e supportata da attori eccezionali come Tim Roth e una colonna sonora d'eccellenza (autore Ennio Morricone).

Ora ho voluto provare a leggere "Castelli di rabbia".

L'amica di cui parlavo prima lo ha definito "particolare". Adesso posso darle ragione, anche se forse non per gli stessi motivi (non ricordo o conosco quelli alla base della sua definizione).

Un accenno di trama

Siamo nell'Ottocento, credo in Inghilterra, ma non ne sono sicuro.

Nella cittadina di Quinnipack incontriamo tanti personaggi eccentrici.

C'e' il signor Rail, padrone di una fabbrica di vetro, che ogni tanto parte per un viaggio di durata e destinazione indefinita e torna con prodotti e idee straordinarie. C'e' sua moglie Jun, bella e giovanile, dalle labbra irresistibili.

C'e' Pekisch con la passione per la musica e i suoni, seguito a ruota dal fedele e giovane discepolo Pehnt, orfano dalla nascita.

E tanti altri personaggi minori si intrecciano a questi a dare vita a qualcosa che lascio scoprire a voi.

Le mie considerazioni

Non sono stato molto preciso con l'accenno di trama perche' francamente mi e' sfuggito qualcosa. Ho capito il finale, credo, ma il resto si e' rivelato abbastanza confuso se preso nel suo insieme.

Se invece lo si prende a tratti, diventa divertente, originale e istruttivo. Credo che, se fosse raccontato a voce da Baricco, diventerebbe addirittura irresistibile.

Ho usato come titolo di questa opinione "Esercizi di stile" perche' questo mi e' sembrato il libro: un insieme di esercizi di stile. Si passa da brani di solo dialogo a brani che riescono a descrivere piu' cose contemporaneamente come fossero brillanti caleidoscopi per arrivare ad azioni ripetute per un certo numero di volte aggiungendo ogni volta un particolare in piu' e arrivando ad una spiegazione dei presupposti nel loro finale temporaneo.

I personaggi sono ben descritti, ma come si collegano tra loro e' difficile da dire. O almeno io mi aspetto che in un libro i personaggi, prima o dopo, arrivino ad incrociarsi nella storia. Qui invece sembra di no. Ad un certo punto poi ci si trova in un capitolo centrale di frasi e brani slegati tra loro, quasi fossero i pensieri di un uomo con il singhiozzo.

Qua e la' si scoprono perle che possono indurre a riflessioni, come ad esempio

"e' cosi' che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli piu'. E quella li' era la felicita'. Lo scopri dopo, quand'e' troppo tardi. E gia' sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell'immagine, da quel suono, da quell'odore. Alla deriva." (pag.26)

A chi non e' mai capitata una cosa del genere? Puo' essere anche l'incontro con una persona speciale: sul momento quasi non ti accorgi della sua eccezionalita'. Poi il destino te la porta via o rovina quel rapporto e tu ti rendi conto di quanto hai ottenuto, di quanto potevi ottenere e di quanto hai perso, spesso in modo irrecuperabile.

E poi, continuando, dopo una quarantina di pagine, Baricco decide di insultare i lettori pendolari sui treni:

"Un libro aperto e' sempre la certificazione della presenza di un vile" (pag.65)

per poi addolcire l'insulto con

"Chi puo' capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro? No, quella e' la sola e la piu' dolce custodia di ogni paura - un libro che inizia." (pag.65)

Io mi proclamo un vile, secondo la definizione di Baricco: amo leggere e amo farlo anche sui treni visto il tempo che ci passo ogni giorno. Ma solo cosi' capisco la dolcezza di cui parla dopo.

E tanto per non farci perdere un'idea gia' usata (o meglio, che riutilizzera') anche in questo libro compare un accenno ad un quadro appeso al muro che, stanco della vita, decide di cascare per terra, idea che verra' riutilizzata e sviluppata in un bel brano di "Novecento", sia libro che film.

Potrei continuare con altre perle di questo tipo, ma forse e' meglio che le lasci scoprire a voi.

Mi e' piaciuto questo libro? Sono indeciso: se lo considero a pezzi, si. Se lo considero nel suo intero, no. Anche perche' il finale arriva a spazzare via ogni certezza.

Ve lo consiglio? Potrei ripetere la stessa cosa. Decidete voi.

Buona lettura a tutti!