Il termine "mercantilismo" - coniato dagli economisti di epoca successiva - indica un complesso di dottrine teoriche e di comportamenti economici che miravano ad un rafforzamento e ad una maggiore efficienza dello stato in campo economico. Si trattò di un orientamento comune a intellettuali e uomini politici che andò affermandosi pienamente soprattutto nel corso del '600. In primo luogo queste dottrine sottolinearono per la prima volta l'importanza e la desiderabilità - fini a se stesse - di uno sviluppo economico inteso come aumento della ricchezza e dei beni materiali. Altra considerazione importante era quella secondo cui, nell'impossibilità di aumentare la ricchezza complessiva, l'arricchimento di uno stato doveva avvenire necessariamente a spese di un concorrente; in particolare, se il volume dei traffici complessivi non poteva aumentare, quello di una nazione poteva accrescersi solo a spese di un'altra, sottraendole mercati e possibilità di scambio. L'obiettivo della politica economica di uno stato doveva essere quello di "comprare poco e vendere molto", cioè favorire nello stesso tempo la produzione di beni all'interno e la loro esportazione; in un'immaginaria bilancia commerciale si trattava di rivendere agli stranieri più merci di quante se ne comprassero. Con una bilancia favorevole nei confronti del commercio estero, l'afflusso di denaro all'interno avrebbe stimolato il mercato e avrebbe aumentato il benessere della nazione. La politica modellata su simili presupposti teorici si espresse, nel corso del secolo, in una presenza sempre più invadente dello stato nella sfera economica, in aggressive guerre per il predominio commerciale, in una politica di monopoli e di alti dazi che colpivano l'introduzione delle merci straniere per favorire le industrie e i prodotti nazionali. La rivalità economica, il desiderio eliminarne la concorrenza commerciale e lo strapotere marittimo furono all'origine di alcune guerre contro l'Olanda nella seconda metà del '600. L'Atto di Navigazione (1651) emanato dal governo Cromwell per eliminare le importazioni olandesi in Inghilterra fu all'origine della prima guerra navale anglo-olandese (1652-1654), conclusasi con la vittoria degli inglesi. Le tariffe doganali di Colbert (1664 e 1667) furono l'antefatto della guerra franco-olandese (1672-78). Scenario di simili conflitti furono spesso i domini coloniali sparsi in tutto il mondo
Gli illuministi inglesi e francesi si interessarono particolarmente all’economia, ovvero allo studio dei meccanismi con i quali veniva prodotta e distribuita la ricchezza. Il più famoso gruppo di economisti fu quello dei "fisiocrati", capeggiati da François Quesnay (1694-1774), i quali erano convinti che l’unica ricchezza di uno stato fosse l’agricoltura. Per prosperare gli stati avrebbero dovuto permettere il libero commercio dei cereali, non ostacolandolo con dazi e dogane, come avveniva in tutta Europa e soprattutto in Francia. Questa convinzione spinse i fisiocrati a lottare contro i privilegi, proponendo che anche i nobili venissero tassati. Una celebre scuola economica, che accolse le premesse ideologiche dei fisiocratici, nacque in Inghilterra con Ricardo e Adam Smith e fu denominata "liberismo". Per i liberisti doveva essere abolito ogni tipo di intervento dello stato nell’economia. In un regime di "libera concorrenza" ognuno, lavorando per il proprio benessere, avrebbe lavorato nell’interesse di tutti. Il "colbertismo", ovvero la filosofia commerciale di Jean-Baptiste Colbert, il potentissimo ministro delle finanze di Luigi XIV, fu completamente dimenticato. Egli si era impegnato a trasformare la Francia da paese agricolo a nazione commerciale e industriale, ponendo le forze dello stato al servizio di un espansionismo che aveva altresì il fine di promuovere il commercio d’Oltremare, sul modello della politica imperialista dell’Inghilterra e delle Province Unite. Partendo dal presupposto che la ricchezza di un paese si misura esclusivamente sull’abbondanza del numerario, ossia della moneta contante presente nelle casse dello stato, Colbert aveva cercato di impedire con ogni mezzo l’uscita di valuta nazionale dalla Francia, favorendo invece l’ingresso di moneta straniera.
Adam Smith è il teorizzatore della libera iniziativa economica, secondo la quale ad ogni uomo deve essere consentito di fare i propri interessi e di esercitare la propria attività in un regime di libera concorrenza, senza però andare contro le leggi che lo regolano. Così facendo, il singolo opererà anche a vantaggio dell’intera società. Lo stato deve quindi favorire la libera iniziativa ed intervenire solo nella realizzazione e nel mantenimento di quelle opere pubbliche che un imprenditore non potrebbe realizzare da solo. A questo proposito, Smith parla anche di alienazione, perché si rende conto delle conseguenze negative della divisione del lavoro: un uomo che passa tutta la sua vita a eseguire poche e semplici operazioni, perdendo la percezione della globalità del processo produttivo, non ha mai neppure occasione di esercitare il proprio intelletto, né di stimolare la propria inventiva. Per realizzare una macchina, anche la più semplice, occorrono una grande varietà di lavoro e la cooperazione tra diverse e svariate attività. Smith prende in esame le forbici del tosatore, per le quali chiama in causa non solo il minatore che estrae il ferro, il costruttore della fornace che serve a fondere il materiale, il carbonaio che la alimenta, il forgiatore, il fabbro ecc., ma anche chi ha prodotto i loro indumenti, i loro cibi, i mobili delle loro case e provveduto, in qualche modo, alle condizioni in cui tutti costoro vivono. Senza l’aiuto e la collaborazione di migliaia di uomini neppure gli oggetti più semplici e umili potrebbero esistere. Le sue riflessioni sulle condizioni lavorative, che rendono l’uomo estraneo a se stesso, saranno riprese da Karl Marx in una delle accuse più violente al sistema capitalistico dell’economia.