L'impressionismo innesca una catena di ricerca e di sperimentazioni che imprimono una svolta inarrestabile nel processo di trasformazione che caratterizza il panorama delle arti figurative degli ultimi decenni dell'Ottocento.
Si suole indicare questo periodo con una denominazione di comodo, postimpressionismo, alla quale però risponde una realtà eterogenea e complessa. Paul Cézanne anticipa il cubismo nella stilizzazione geometrizzante dei paesaggi, Vincent Van Gogh si dimostra precocemente espressionista per la stesura violenta del colore, Paul Gauguin è in bilico tra esotismo e simbolismo, gusto che si accentua nelle figure di Moreau e Redon.
I neoimpressionisti o pointillistes, come Seurat e il suo più diretto seguace Signac, reagiscono alla rappresentazione oggettiva dei maestri impressionisti, ormai in crisi dopo il 1886, seguendo le più aggiornate teorie della fisica ottica, e introducono l'uso di colori "divisi" che si fondono soltanto nella retina dell'occhio con effetti di grande luminosità.
Se gli impressionisti aprirono la strada alla pittura en plein air, a Henri de Toulouse-Lautrec si deve riconoscere una rinnovata ottica sulle rarefatte atmosfere delle luci artificiali nei caffè-concerto, nei bistrot, nei teatri.
Proprio questa passione per la vita notturna parigina spinse l'artista a inoltrarsi oltre il sipario di quel mondo metropolitano di fine Ottocento, scorgendovi dietro una solitudine e una stanchezza esistenziali. Toulouse-Lautrec rappresentò infatti l'occhio più crudamente ironico della Belle Époque parigina, estremamente critico verso la sfavillante artificiosità che metteva in scena.
Affascinato come Degas dal movimento delle forme e dalla potenza espressiva del taglio fotografico, coglie scorci chiusi in angoli claustrofobici ma di grande potenza espressiva, aiutato da una linea curva che genera energia nei corpi, stesa con una pennellata rapida, di derivazione impressionista.
L'interesse di Toulouse-Lautrec per l'arte giapponese influenzò tutta la sua opera ed è particolarmente evidente nelle affiches, caratterizzate da una forte stilizzazione e dalla stesura cromatica uniforme, una produzione che finì per influenzare anche le opere su tela dell'artista.
Sono questi elementi, così come la predilezione del pittore per un contorno lineare e incisivo, che rivelano la sua vicinanza al nascente gusto art nouveau.
In Jane Avril che danza egli ritrae una ballerina del cabaret, del Moulin Rouge e del Jardin de Paris, per la quale ha realizzato anche diversi cartelloni pubblicitari.
La raffigura vestita di mussolina bianca, con calze e cappello neri, mentre esegue un veloce passo di danza; il ritmo frenetico, quasi spiritato, esprime anche il carattere della donna, la sua natura sofferente e nervosa.
Il tratto marcato, evidente soprattutto nel gioco delle gambe, così come il decentramento della figura, testimoniano l'influenza esercitata dall'arte giapponese sul pittore.
La stessa Jane Avril ritorna, distinta tra il pubblico per uno sfarzoso cappello, anche in Ballo al Moulin Rouge.
L'opera realizzata dall'artista nel 1895 su commissione di Louise Weber, ballerina soprannominata "La Goulue", è suddivisa in due pannelli destinati all'ingresso del padiglione per le danze che la committente inaugurò quello stesso anno.
A destra della porta stava La danza moresca, raffigurante la Goulue che si esibisce in una danza del ventre; a sinistra si trovava il Ballo al Moulin Rouge, dove Louise Weber è ritratta con il ballerino Valentin le Désossé, protagonista assai noto delle notti parigine.
Nel dipinto Lautrec gioca sul contrasto tra le opposte caratteristiche fisiche dei protagonisti, delineati con un tratto rapido che si fa sommario e quasi deformato nella figura maschile.
Tra i neri predominanti, l'unico punto di accensione cromatica è costituito dalla gonna a ruota della Goulue, di un bel turchese brillante.
Altro tema che a metà degli anni Novanta attrasse Toulouse-Lautrec come già Degas, era quello degli interni con figure femminili presentate nella loro intimità, anche se nello sguardo disincantato di Toulouse-Lautrec si percepisce l'ambiente degradato dove egli ritrae le sue modelle, quello delle case chiuse.
Eppure in quegli attimi rubati oltre la fessura della serratura, in prospettiva ravvicinata e presa dall'alto, è contenuta una riabilitazione delle giovani donne ritratte, ora di spalle come quella de La toilette, seduta sul pavimento di legno della propria camera, ora nell'atto stanco e quasi rassegnato del vestirsi in Donna che si infila una calza.
Accanto a lei si distingue la presenza di una donna vestita, dalla fisionomia dura e dal sorriso sarcastico, nella quale molto probabilmente si può riconoscere la tenutaria della maison.
Il tratto incisivo del pittore, derivato dall'interesse per l'arte giapponese e dalla sua personale tecnica a segni di colore affine agli effetti del pastello, definisce gli elementi con un contorno lineare ben evidente, senza nessuna concessione alla sensualità.
Ne risulta un'immagine priva di speranza e di umanità che rende ragione, insieme a tante altre testimonianze, alla fama di maledetto e anticonformista che circondò l'artista.
Negli anni Ottanta dell'Ottocento era già in atto un superamento pittorico del naturalismo di più stretta osservanza impressionista.
Se Toulouse-Lautrec orientò in questi anni la sua indagine espressiva verso una pittura aderente alla realtà, ma che attraverso la stilizzazione formale dei ritratti cerca di fissare i tipi caratteristici di un'epoca, artisti come Seurat e Signac furono invece attirati dagli studi ottici degli scienziati, da Charles Blanc a Ogden Rood a Charles Henri, nel tentativo di contrapporre all'empirismo impressionista leggi e teorie precise, un punto d'appoggio consistente su cui costruire la propria visione del veduto.
Questi artisti, infatti, applicarono alla propria pittura la teoria della percezione visiva e della scomposizione della luce, inaugurando una tecnica a colore diviso chiamata in senso spregiativo dai loro oppositori pointillisme: tecnica che prevedeva una scomposizione dei toni cromatici in minuscole macchie di colore puro accostate tra loro secondo leggi precise.
Seurat aveva realizzato un cerchio che raccoglieva lo spettro cromatico secondo accostamenti di colori primari e secondari con i rispettivi effetti complementari. Anche gli impressionisti conoscevano il prisma cromatico, ma non applicarono mai secondo leggi matematiche la divisione dei toni.
Osservati a distanza questi minuscoli punti di colore si ricomponevano poi nell'unità del tono che dava fisionomia alla rappresentazione visiva e che assicurava, secondo i puntinisti, effetti luminosi più potenti di quelli impressionisti, la vivezza della luce nella sua immediata attualizzazione.
Ciò accadeva perché, osservò l'influente critico simbolista Félix Fénéon, "la retina, che si aspetta che gruppi distinti di raggi di luce agiscano su di essa, percepisce in rapidissimo avvicendamento sia gli elementi colorati dissociati sia il colore da essi risultante".
Seurat dimostrò queste teorie nella sua opera e da spirito programmatico quale era, nel 1886, fondò la Société des Artistes Indépendants, attraverso cui si presentarono alcuni esponenti del postimpressionismo, da Signac a Odilon Redon, artisti che la cultura ufficiale guardava con diffidenza.
Nel suo capolavoro, Una domenica pomeriggio alla Grande Jatte, Seurat ricostruì, secondo il suo rivoluzionario stile, una scena di vita quotidiana che espose all'ultima mostra degli impressionisti senza successo, e poco dopo presso quella della Società degli Indipendenti.
Sulla base di disegni e studi dal vero Seurat elaborò il dipinto di grandi dimensioni in studio, mostrando così la volontà di respingere l'improvvisazione impressionista a favore di un ritorno alla tradizione almeno nella fase d'esecuzione dell'opera.
Eseguì ventisette disegni e ventisette studi, dei quali tre più vicini all'opera finale, condotta lentamente per contrasti simultanei di colori divisi che l'artista chiamava "cromoluminarismo". Il metodo faceva attenzione anche agli effetti di luce e ombra sui volumi, ridefinendo dunque i contorni delle forme in rilievo.
Seurat adottò una struttura compositiva rigorosa, basata sulla tradizionale prospettiva di forma-colore che ha un illustre precedente rinascimentale in Piero della Francesca.
Nonostante l'attività di Seurat sia compresa in un arco di appena dieci anni -morì infatti a soli trentadue anni nel 1891- le sue opere pervennero a rivoluzionari esiti di ricerca che reggono il confronto persino con le straordinarie intuizioni di Cézanne.
Dopo aver dato prova delle molteplici influenze esercitate sulla sua formazione da Puvis de Chavannes, da Pissarro e dal cromatismo di Delacroix, Seurat strinse una inossidabile amicizia con Signac. Questo fecondo rapporto produrrà negli anni immediatamente successivi una grande ricerca comune sull'applicazione figurativa della legge scientifica inerente al contrasto simultaneo dei colori.
I due pittori dimostrarono assieme che era possibile individuare un modo per governare l'insondabile percezione psicologica dei colori, che l'impressione si poteva tradurre attraverso rigorosi procedimenti ed effetti, se si sceglievano in anticipo le gamme cromatiche e se si individuavano a priori le "linee andamentali", cioè quelle fondamentali della composizione di un quadro.
Queste linee guida, come suggeriva Charles Henri, si ponevano in stretto riferimento con particolari emozioni: i toni chiari, a esempio, rispondevano a sentimenti di gaiezza, gli scuri e freddi alla tristezza, quelli medi all'armonia e serenità; le linee rivolte verso l'alto avevano inoltre per Henri un significato gioioso e di allegria, quelle verticali di tranquillo equilibrio.
L'analisi stilistico-compositiva dei vari quadri evidenzia piuttosto efficacemente la natura delle investigazioni che occuparono la breve vita di Seurat.
Ne La parade, a esempio, egli impiega le linee orizzontali come dominanti per comunicare una sensazione di tranquillità, mentre privilegia le diagonali ne Lo chahut e ne Il circo, per esaltare l'effetto di movimento e vivacità delle composizioni, forse anche sfruttando, molto più istintivamente di quanto Seurat stesso pensasse, le suggestioni che provenivano dalla stilizzazione della grafica pubblicitaria.
Caratterizzata da un intenso scambio con la letteratura, la corrente artistica simbolista si manifestò in Francia a partire dal 1885 circa, come reazione al naturalismo e all'impressionismo.
Nel primo manifesto del simbolismo - cioè quando nel 1886 Jean Moréas adottò l'uso programmatico del termine sul supplemento letterario di "Le Figaro" - l'arte è concepita come espressione dell'idea, momento d'incontro e di fusione tra la percezione sensoriale e la dimensione spirituale.
Dopo il 1890 il movimento si diffuse anche in altri paesi europei, assumendo differenti interpretazioni. Lo contraddistinse un anelito di spiritualità, ora teso verso affermazioni idealiste, ora incline a soluzioni estetizzanti, in linea con il gusto "decadente", che costituì un'altra importante componente della sensibilità simbolista.
Precorritori di tale concezione possono considerarsi artisti quali Gustave Moreau e Puvis de Chavannes, mentre Odilon Redon fu il primo autentico esponente del simbolismo in Francia.
Non rinnegando la natura, egli cercò una sintesi tra il visibile e l'invisibile, il sogno e la vita. Nell'ambito del movimento intervenne anche Gauguin, partecipando, nel 1889, a una mostra che segnò il momento di maggior rilievo di questa esperienza, sfociata in esiti sempre più complessi di cui è esempio il circolo dei Rosacroce, animato dall'eccentrico animo religioso e esoterico di Joséphin Péladan.
A Gauguin si richiamò inoltre un gruppo di artisti della seconda generazione del simbolismo, i nabis. Attivi nell'ultimo decennio dell'Ottocento, essi si dedicarono anche alle arti applicate, prefigurando tendenze e gusti flessuosi e ornamentali che saranno poi approfonditi dall'art nouveau.
Attratto dalla pittura dei primitivi italiani, studiati durante i viaggi in Italia, Puvis de Chavannes sentì l'esigenza di allontanarsi dalla poetica impressionista avvicinandosi ai soggetti storici dai quali trasse un linguaggio monumentale e allo stesso tempo stilisticamente molto essenziale.
In Fanciulle al mare, del 1879, la scarna asciuttezza dei corpi delle giovani rende le figure al tempo stesso compatte e sinuose, rivelando il loro riferimento classico.
La fanciulla in primo piano giace mollemente sulla nuda roccia, col volto pensoso e i lunghi capelli sparsi che creano un contrasto affascinante.
La struttura fisica della ragazza in piedi è simile al fusto di una colonna e, insieme al panneggio drappeggiato intorno ai fianchi, evoca le opere dell'antichità. In contrasto con la solidità della struttura è il particolare dei capelli, una massa setosa e ondeggiante al vento.
Il paesaggio è un susseguirsi di elementi naturali come la montagna e il mare, resi per grandi campiture di colore. A ingentilire l'ambientazione quasi astratta, i ramoscelli fioriti sparsi qua e là caricano la scena di un'atmosfera magica e sognante.
Sulla linea dell'orizzonte il cielo si tinge di rosa contribuendo a mantenere alta la tensione poetica che pervade il dipinto.
In seguito l'artista si concentrò su temi più allegorici e di carattere universale. Ne Il pescatore povero il soggetto dei "miserabili", assai in voga nella letteratura e nella pittura dell'epoca, trascende la descrizione naturalistica per elevarsi a rappresentazione emblematica.
La tela, che appartiene a una serie di opere eseguite nel periodo di maturità del pittore, è caratterizzata da un tono malinconico e da un impianto compositivo semplice e rigoroso.
La struttura della composizione si articola in piani geometrici giustapposti e la gamma cromatica è sobria, smorzata, tutta impostata sui verdi.
Il modo di stendere il colore senza sfumarlo, entro contorni precisi, anticipa lo stile di Gauguin, dei pittori della scuola di Pont-Aven e dei nabis.
Moreau fu un sensibile colorista, autore di composizioni complesse e di contenuto talvolta oscuro, ricche di elementi esotici e simbolici che traevano le proprie suggestioni da soggetti letterari, biblici o mitologici condotti con "carattere arcaico nel disegno" e "bizzarria di composizione", come commentarono i critici del tempo.
Un clima misticheggiante ed estetizzante circonda infatti l'atmosfera delle sue opere più celebri.
Ricordiamo la celebre Salomè, denominata anche L'apparizione, che l'artista studiò fin dal 1870 in numerose versioni e varianti, una delle quali fu esposta al Salon del 1876 ottenendo l'attenzione del pubblico colto tra cui Huysmans.
Nell'opera di Moreau i temi si ripetono in maniera quasi ossessiva, tanto che lo stesso dipinto poteva venir ripreso a distanza di anni dalla prima stesura, mentre in altri casi le opere rimanevano incompiute.
Così si ripetono le scene bibliche tracciate con un segno grafico di continuo corrotto dal colore prezioso, come nella Giovane tracia portante la testa di Orfeo.
L'abito della donna malinconica in primo piano sembra tessuto di fili d'oro e tempestato di perle, reso nei dettagli con gusto da miniaturista che traspare anche dalla testa di Orfeo, adagiata delicatamente sopra un oggetto, verosimilmente uno strumento musicale, in omaggio all'abilità di cantore dello sfortunato eroe. Pervade la scena il caldo impasto dei colori e l'intensa tinteggiatura giallo oro del cielo, in una accensione innaturale che ribadisce quanto l'arte di Moreau sia stata fonte di ispirazione per il surrealismo.
Anche i temi prescelti dall'artista simbolista saranno apprezzati dalla corrente novecentesca poiché vi si insinuavano sogni e interpretazioni fantastiche delle età antiche-secondo una rivisitazione fiabesca.
I liocorni è ispirato, per esempio, all'arazzo medievale della Dama con il liocorno del Musée Cluny di Parigi e al paesaggio dell'Allegoria della corte di Isabella d'Este di Lorenzo Costa che Gustave Moreau ebbe modo di studiare al Louvre.
Moreau nel dipingere è come se producesse un atto mentale che deve far sognare lo spettatore, trasportandolo in una dimensione diversa da quella reale e così facendo è precorritore delle ricerche linguistiche di Odilon Redon.
Se l'opera di Odilon Redon risente dell'influenza dei grandi pittori visionari come Goya e Moreau, non di meno furono decisivi per la sua poetica i rapporti con i letterati della stagione decadentista.
Citato da Huysmans tra i pittori preferiti del protagonista del romanzo À rebours, Redon poté contare sull'amicizia e la stima di Mallarmé, Gide, Valéry, illustrando di taluno la produzione poetica.
Egli rendeva tratto visivo la ricercatezza espressiva e la sensibilità raffinata dei poeti anche attraverso la sperimentazione tecnica, in parte ispirata dal botanico Clavaud, che gli rivelò il fantastico mondo visibile attraverso il microscopio.
Redon cercò infatti nei suoi quadri una sintesi tra visibile e invisibile, tra vita e sogno, sforzandosi di cogliere nella natura le tracce dell'irrazionale, del misterioso, attraverso toni chiari e iridescenti, lo sfumato, l'incisione, l'uso del pastello, fino alla grande impresa murale dell'abbazia di Fontfroide a Narbona.
Ne Il cavaliere mistico, simbolo antico e spiritualizzato dell'arte guerresca, Redon riflette in modo esemplare la sua vena mistica e religiosa.
La singolare iconografia adottata dal pittore ricalca e interpreta liberamente quella dell'Annunciazione. Un angelo osserva con dolcezza la testa maschile mozzata presentata da una giovane donna, posta sulla destra del quadro.
Le figure monocrome, tratteggiate con segni fitti e sottili, sono incorniciate da elementi architettonici, anch'essi monocromi, oltre i quali spicca l'azzurro del cielo.
Ultimo e più importante precursore delle avanguardie artistiche del Novecento, Paul Cézanne cominciò la sua attività all'interno dell'esperienza impressionista: partecipò alla prima mostra presso il fotografo Nadar nel 1874 e frequentò gli studi degli artisti.
Rifiutò però il concetto fenomenologico di visione proprio del movimento impressionista e si concentrò invece su quella che chiamava "la forma meditata", cioè l'organizzazione mentale e la conseguente elaborazione da parte dell'artista del proprio soggetto tradotto nella percezione personale che approfondisce l'essenza del veduto.
Da questo punto di vista l'opera di Cézanne rivestì grande importanza per i successivi sviluppi della pittura moderna. I cubisti lo considereranno un precursore del loro movimento, ma la sua influenza andò ben oltre il cubismo.
Egli è stato infatti il primo ad assegnare una nuova funzione alla pittura: quella di costruire una realtà propria, retta da leggi indipendenti dal dato naturale o emotivo, principio che è alla base di tutti gli sviluppi della pittura moderna.
La concretezza costruttiva di Courbet e il colorismo di Delacroix ebbero grande importanza nella formazione di Cézanne, e altrettanto peso esercitò Honoré Daumier, che ai suoi occhi sintetizzava le qualità pittoriche dei due grandi maestri.
In un'opera degli esordi, tra le più significative della breve fase impressionista, La casa dell'impiccato, del 1873, Cézanne mostra già lo scarto esistente nella sua concezione dello spazio e dei volumi; attua una ricomposizione razionale della realtà naturale per mezzo di una tecnica particolare che consiste nell'applicare piccoli tocchi di colore "direzionale" sopra una prima stesura leggera, in modo da sottolineare la volumetria e la geometria delle forme e dei piani prospettici.
Lo spazio della composizione viene strutturato rigorosamente attorno a un punto centrale luminoso, da cui si dipartono una serie di linee oblique e parallele di diversa intensità cromatica e luminosa secondo il piano di rispondenza alla profondità.
Il controllo formale-costruttivo della rappresentazione della natura divenne sempre più rigoroso nel periodo in cui l'artista soggiornò ad Aix, dal1883 al 1887.
In quegli anni Cézanne perseguì tenacemente la realizzazione di un ordine mentale che si esprimesse in forme pittoriche salde, modellate dal colore, concentrandosi talvolta sui medesimi soggetti più volte: Visioni dell'Estaque, Il castello nero, La montagna Sainte-Victoire, Le bagnanti.
Vuole così allontanarsi dal dato naturale per trattare - secondo una sua celebre e fortunata considerazione - la natura "attraverso il cilindro e la sfera".
Alla fine degli anni Ottanta le composizioni pittoriche di Cézanne acquisirono sempre più una consistenza volumetrica, modulata anche attraverso i reciproci rapporti cromatici interni alle forme che determinano un proprio linguaggio compositivo.
Nei Giocatori di carte anche l'universo chiuso del quadro, ispirato nell'iconografia alle scene dei pittori caravaggeschi del Seicento, è il pretesto per uno studio delle linee e dei volumi.
Le figure umane presentano una modulazione plastica inedita, le proporzioni dei loro corpi sono alterate, i piani delle superfici sono condotti per larghe campiture di colore che aggrediscono lo spazio della composizione con la loro energia.
Nell'ultimo periodo Cézanne aumentò lo spessore del colore nei suoi quadri, mentre si ripeteva in temi a lui cari come La montagna Sainte-Victoire, che ritrae da varie angolature con intensità di toni e di colpi di pennello così da scomporre le forme e i volumi.
Allora la varietà cromatica diventa l'unico elemento funzionale alla rappresentazione "scomposta" della veduta, con i timbri freddi dei primi piani a dare la percezione di un arretramento verso il fondo, e i toni più caldi ad accorciare, ravvicinandola, la massa stessa della montagna.
L’apprezzamento dell'opera di Cézanne cominciò a manifestarsi solo al Salon des Indépendants del 1899, ma nel 1904 il Salon d'Automne gli riservò un'intera sala e nel 1907 fu organizzata una grande retrospettiva postuma che ne sancì la definitiva consacrazione.
Il carattere che ha fortemente connotato l'esperienza di Gauguin e Van Gogh fu la convinzione comune di annunciare con la propria opera una nuova via d'espressione.
Entrambi fondarono la loro pratica artistica sul colore, evocativo dei sentimenti in Gauguin, "esagerazione dell'essenziale" per Van Gogh che si servì di toni accesi e pennellate esasperate per esprimere l'inquietudine interiore che tormentava la sua labile psiche.
Gauguin e Van Gogh furono figure libere e autonome dal contesto più ampio della società, chiuse all'interno di quell'ambito marginale che promuoverà la rottura più autentica col passato.
Il nuovo sentimento di libertà che guida l'artista e il suo operare diventerà, d'ora in avanti, l'elemento-chiave attorno a cui ruoteranno di volta in volta i vari significati assunti dal termine "avanguardia" nel corso di tutta la prima metà del XX secolo.
Partito da premesse ancora ben salde all'interno dell'esperienza figurativa degli impressionisti, Paul Gauguin dette vita ad una pittura caratterizzata da un sintetismo formale che lo avvicinò all'opera dei simbolisti. L'affermazione di questo nuovo stile giunse con La visione dopo il sermone, dipinta nel 1888, primo dipinto a soggetto religioso di Gauguin.
La scena è tratta da un celebre passo della Bibbia, in cui si narra il combattimento notturno di Giacobbe con un misterioso angelo, sorta di emblematica lotta tra il bene e il male.
L'artista lo commentava sottolineando il valore onirico e immaginativo dell'azione che si staglia su un innaturale fondo rosso nel secondo piano definito da una prospettiva che sale e che ha giustificato a Gauguin il titolo di "visionario e grande decoratore".
Il recupero dell'arte bretone primitiva, lo studio delle stampe giapponesi e le ricerche sul valore simbolico del colore avranno un'influenza determinante sui successivi sviluppi di questo artista.
Nel periodo trascorso in Bretagna, prima a Pont-Aven e dal 1890 a Le Pouldu, egli si creò attorno un cenacolo, la cosiddetta scuola di Pont-Aven, di cui facevano parte Bernard, Seguin e Sérusier. Gauguin ritrasse durante questo soggiorno la gente del luogo e realizzò una serie di dipinti caratterizzati da uno spiccato misticismo, come il Cristo giallo del 1889.
Sempre in quegli anni Gauguin sperimentò varie tecniche, come la scultura in legno, con cui ricreò forme proprie dell'arte primitiva. Questo suo interesse pose Gauguin in una posizione di rottura insanabile nei confronti della tradizione e di gran parte del panorama artistico contemporaneo.
Ne La belle Angèle - azzerando i secolari e tradizionali problemi di composizione della forma dell'arte occidentale - egli mostra la valenza antinaturalistica che ormai ha assunto il concetto stesso di immagine pittorica.
Il ritratto ha, infatti, un carattere vagamente religioso nella sua fissità iconica entro la cornice curvilinea, incompleta per un calcolato decentramento dell'immagine.
Tale asimmetria evoca le carte crespate giapponesi, così come i fiori sparsi sullo sfondo e l'assenza di legame tra la figura e il resto della composizione.
La donna è vestita dei costumi tradizionali bretoni. La particolare forma della cuffia e gli altri elementi dell'abbigliamento sono spunto alla riduzione dell'insieme a forme geometriche quasi astratte.
Anche le espressioni delle figure dei quadri bretoni sembrano accompagnare con espressioni sognanti la distribuzione decorativa delle campiture cromatiche e formali che accentuano gli effetti bidimensionali. Curioso è l'inusuale inserimento del titolo all'interno del ritratto, di grafia quasi infantile in armonia con lo stile dell'opera.
L’esperienza di Tahiti
Esauritasi bruscamente l'esperienza di ricerca assieme a Van Gogh ad Arles, nel 1891 Gauguin maturò la convinzione che l'unica via d'uscita al disagio esistenziale provocato dalla vita moderna, dal caos delle città, dagli infingimenti che regolano i rapporti umani e il mondo dell'arte, stesse nella fuga verso una civiltà pura e incorrotta: la Polinesia.
A Tahiti, incantato dalla bellezza dei luoghi e della popolazione, l'artista si dedicò con un approccio quasi etnologico allo studio degli indigeni e dei costumi locali, ritraendo i maori nelle loro attività quotidiane e fissando in alcuni diari le sue impressioni.
Le Donne di Tahiti (sulla spiaggia) è il primo dipinto realizzato dall'artista nelle terre lontane della Polinesia.
Le forme della composizione sono massicce e severe e si stagliano in uno scenario ridotto a pochi piani dai toni profondi e sovrapposti, come a evocare la semplicità esistenziale di queste popolazioni primitive insieme all'uso di colori compatti e puri, stesi con la spatola e con il pennello soltanto rifiniti sopra grossolane tele di iuta.
Al ritorno da questo primo viaggio, la tavolozza di Gauguin risentì dei colori e dell'influenza del mondo figurativo appena scoperto.
In Contadine bretoni l'influenza dell'esperienza tahitiana è evidente nei colori primari e brillanti e nella composizione sintetica e monumentale.
Le donne in primo piano sono vestite con il tradizionale costume bretone, ma nei tratti del volto evocano figure esotiche e orientali. Le forme del corpo sono lineari e scandite da larghe zone di colore puro, non modulato per toni.
Le vesti delle donne scendono lisce e senza pieghe, tanto che l'uso del chiaroscuro è praticamente estraneo al dipinto.
Alle spalle delle figure femminili si staglia un paesaggio campestre, dove si intravede un contadino che lavora nell'orto e un gruppo di case in lontananza.
Rispetto ai contorni netti e precisi delle donne, il paesaggio naturale è reso con pennellate più morbide e sfumate, per macchie di colore.
Particolare il contrasto tra il giallo oro del terreno e il blu violaceo del masso alle spalle delle donne, accostato al verde intenso del prato sullo sfondo.
A partire da questo momento, l'esotico nitore formale e cromatico di quei luoghi diventerà la cifra stilistica dell'ultima produzione, legata al secondo soggiorno tahitiano iniziato nel 1895.
Con Vincent Van Gogh si consuma l'ultimo definitivo strappo con l'arte impressionista, poiché l'artista non si limita più a rappresentare la realtà apparente ma si sforza di esprimere l'esperienza emozionale e spirituale che prova davanti al mondo.
Così egli imprime un'accelerazione straordinaria alle evoluzioni della rappresentazione e dell'arte intesa come strumento esclusivo e privilegiato dell'espressione. In solo cinque anni - dal 1885 al 1890 - l'artista olandese trasformò le capacità espressive dell'arte moderna.
Specchio tragico di un'esistenza dolorosa consumatasi rapidamente e conclusasi con il suicidio, la sua opera diventerà infatti il punto di riferimento a cui, direttamente o indirettamente, guardò gran parte degli artisti della prima metà del Novecento.
Già prima del soggiorno parigino, durato dal 1886 al 1888, in cui scoprì la pittura impressionista e la sua tavolozza luminosa, Van Gogh strinse relazioni con alcuni degli impressionisti attraverso la sua attività di impiegato presso la filiale all'Aja della Galleria Goupil di Parigi.
Dopo il lungo soggiorno all'Aja, alla fine del 1883, tornò dai genitori a Neunen, nel Brabante olandese.
Nei due anni di permanenza in questa cittadina di campagna ritrasse luoghi e abitanti della zona, soprattutto contadini e tessitori: I mangiatori di patate, del 1885, preceduto da molti disegni raffiguranti lo stesso tema, è senz'altro l'opera più significativa di quel periodo.
Nella penombra di un ambiente povero, seduti intorno a un tavolo, i protagonisti della scena consumano un pasto frugale a base di patate, coltivate in abbondanza nella regione e fonte di sostentamento principale per i più poveri.
La lampada sul tavolo illumina i volti dei presenti con forti contrasti chiaroscurali, accentuandone i lineamenti grossolani definiti con tratto marcato.
"Può certo essere evidente che è proprio un quadro di contadini": questa frase, riferita al dipinto e contenuta in una lettera scritta da Van Gogh all'epoca della realizzazione, rivela che il pittore indirizzò la propria ricerca verso una resa il più possibile verosimile della realtà descritta, rifiutando qualunque convenzionalità o abbellimento.
Fu probabilmente suggestionato dalla pittura francese legata a temi sociali di Millet e Daumier, alle cui tonalità terrose e dorate si può accostare la tavolozza del primo Van Gogh, cui unì le suggestioni della tradizione artistica fiamminga.
Un genio tragico
I quadri del periodo dell'Aja e quelli del periodo di Nuenen appaiono ancora incerti, dominati da una pesantezza delle tinte e da una scarna composizione.
È ad Anversa, dove si trasferì dopo la morte del padre, che Van Gogh scoprì le stampe giapponesi, per poi subire un radicale cambiamento cromatico e formale a Parigi, dove raggiunge il fratello Theo, impiegato nel mercato artistico.
Dinanzi al panorama delle sperimentazioni che offriva l'ambiente artistico parigino, la tavolozza di Van Gogh si schiarì, mentre l'uso della spatola veniva progressivamente sostituito da una pennellata che si fa violenta e spezzata.
All'inizio del 1888, attratto dalla luce del sud, dall'ambiente isolato e tranquillo, Van Gogh si recò ad Arles, nella Francia meridionale.
Entusiasta dei paesaggi luminosi e dei colori forti del mezzogiorno, progettò di radunare in questa località un gruppo di artisti che lavorassero insieme prendendo ispirazione dalla campagna circostante.
Non riuscì nel suo intento, ma convinse Gauguin, di cui apprezzava moltissimo l'opera, a raggiungerlo.
Dopo poco però i rapporti fra i due artisti si incrinarono, fino a raggiungere esiti tragici quando Van Gogh, in preda a una crisi nervosa, tentò di ferire Gauguin e si tagliò parte dell'orecchio sinistro.
In seguito ad alcuni ricoveri all'ospedale di Arles, nella primavera del 1889, Van Gogh decise di farsi internare nell'ospedale psichiatrico di Saint-Rémy dove, nei momenti di lucidità, dipinse intensamente le sue opere più note.
Ed è durante tale ricovero che il pittore realizzò il dipinto che ritraeva la sua camera, eseguendone tre versioni a olio tra il 1888 e il 1889.
Con una prospettiva leggermente rialzata, ondeggiante e allungata, l'osservatore è richiamato entro la camera spoglia occupata da pochi oggetti, definiti con un tratto spesso, alcuni allineati in ordine geometrico sul tavolino: gli utensili dei pasti e quelli della toilette.
L'immagine è affidata a colori accesi e brillanti, per niente realistici ma di assoluta capacità espressiva. Lasciato il manicomio dove, fra crisi e stati di lucidità, aveva dipinto un numero elevatissimo di opere, si rifugiò presso il dottor Gachet, amico di Cézanne e di Pissarro, che viveva a Auvers-sur-Oise.
Qui, ne La chiesa di Auvers-sur-Oise del 1890, l'artista ritrasse la chiesa del villaggio in una animata silhouette, osservata dalla parte posteriore dell'abside, che si erge contro il cielo illuminato da un intenso fervore mistico.
In primo piano la strada di campagna si biforca in una sorta di accerchiamento dell'architettura, poco realistico ma di sicuro effetto dinamico.
Una donna di spalle cammina sul sentiero costeggiando il bordo a ridosso del prato fiorito, come per tenersi a distanza dall'inquietante costruzione che nei suoi contorni ondeggianti e sinuosi sembra muoversi in una danza irrequieta.
La tavolozza cromatica di Van Gogh manifesta efficaci effetti di colori espressivi, così le vetrate gotiche sono di un azzurro oltremarino, mentre il resto dell'architettura gioca sui toni del violetto con qualche sorprendente tocco di arancio.
Nel paesaggio inquietante è chiaramente trasfuso l'animo tormentato dell'artista.