Nato a Proßnitz in Moravia l'8 aprile 1859, Husserl studiò matematica e filosofia a Lipsia e Berlino (con L. Kronecker e K. Weierstraß), dove conseguì nel 1882 il dottorato.
Dal 1883 al 1886 fu a Vienna con Brentano, nel 1886-87 a Lipsia con Stumpf, ottenendovi nel 1887 la libera docenza con la tesi Uber den Begriff der Zahl (Sul concetto di numero).
Del 1891 è la sua prima importante monografia: Philosophie der Arithmetik (Filosofia dell'aritmetica).
Nel 1900-1 apparvero rispettivamente i due volumi delle Logische Untersuchungen (Ricerche logiche), opera che segnò l'atto di nascita della fenomenologia.
Nel 1910 pubblicò nella rivista «Logos» il saggio Philosophie als strenge Wissenschaft (Filosofia come scienza rigorosa).
Nel 1913 fondò lo «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», aperto dalle Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie (Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica), e nel quale appariranno anche i capolavori di Scheler (1916), di Heidegger (1927) e dei suoi altri allievi.
Nel 1916 venne chiamato nell'università di Friburgo come successore di Rickert (passato a Heidelberg).
Nel 1928 furono pubblicate nello «Jahrbuch», a cura di Heidegger, le sue Vorlesungen zur Phänomenologie des inneren Zeitbewußtseins (Lezioni sulla coscienza interna del tempo).
Del 1929 è Formale und transzendentale Logik.
Nel 1931 tenne a Parigi delle lezioni intitolate Méditations cartesiennes (la traduzione francese fu approntata da Emmanuel Levinas e Gabrielle Pfeiffer, mentre il testo originale tedesco apparve solo nel 1950).
Con l'avvento del nazionalsocialismo gli fu tolto il titolo di professore e fu radiato dall'università, in quanto ebreo.
Dal 1934 incominciò a lavorare al tema del compito della filosofia nella crisi europea, da cui nasceranno prima le conferenze di Vienna e di Praga (1935), quindi la grande opera della vecchiaia: Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie (La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale), le cui due prime parti furono pubblicate nel 1936 e la terza nel 1954.
Morì a Friburgo il 27 aprile 1938.
L'imponente serie di carte inedite da lui lasciate fu messa in salvo da padre Herman Leo Van Breda (1911-1974), che, d'accordo con la vedova Malvine, le trasportò a Lovanio, in Belgio, fondandovi l'Archivio Husserl e iniziandone la pubblicazione nella serie Husserliana, comprendente oggi quasi una trentina di volumi.
Edmund Husserl è stato il fondatore di una tendenza filosofica, la fenomenologia, che ha costituito una delle più significative novità teoriche del Novecento, influendo ampiamente su svariate scuole e su un grande numero di importanti autori.
La fenomenologia husserliana si è proposta come filosofia capace di raggiungere lo status di scienza rigorosa, dotata di uno specifico campo di problemi e di un peculiare metodo di analisi.
Essa contesta sia la tesi positivista secondo cui unico metodo autenticamente scientifico è quello fisico-matematico, sia la tesi neokantiana che assegna alla filosofia un ruolo puramente epistemologico.
Come il neokantismo, anche Husserl è peraltro sostenitore di una impostazione trascendentale, ma nel senso nuovo - affine a quello di Dilthey - di una ricostruzione dei fondamenti dei concetti e dei metodi scientifici all'interno del vissuto e dell'io.
Proprio l'io e il vissuto sono infatti per Husserl i campi tematici peculiari di una filosofia scientifica sviluppata con metodo trascendentale, ossia di una filosofia pubblica, controllabile e declinata in una serie di procedure standardizzate.
In ciò il metodo di Husserl si distingue da quello di Dilthey, che non pone così esplicitamente l'accento sulla consapevolezza dei procedimenti con cui il filosofo descrive i propri oggetti né sulla loro completa dichiarabilità e controllabilità intersoggettiva.
L'insistenza di Husserl sulla scientificità della filosofia può certamente farsi risalire alla sua formazione nell'ambito delle discipline matematiche.
L'opera di esordio di Husserl, la Filosofia dell'Aritmetica (1891), costituisce infatti un contributo al dibattito sui fondamenti dei concetti matematici che ebbe per protagonisti tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo personaggi come Cantor, Weierstrass, Dedekind, Venn, Zermelo, Frege, Peano e Russell.
A questi autori si associa abitualmente la svolta della logica e della matematica verso l'indirizzo logicistico, con il conseguente abbandono dello psicologismo.
Quest'ultima tendenza, sostenuta da Mill da una parte, da un'influente tradizione kantiana dall'altra (Lange, Erdmann, Sigwart, Wundt) e da una rinnovata versione dell'empirismo, dall'altra ancora (Mach, Avenarius), aveva teso ad affermare che i concetti scientifici e le leggi logiche non hanno un'autonoma consistenza ideale, ma si radicano o in generalizzazioni ricavate dall'esperienza, o nell'impossibilità psicologica e fisiologica da parte della mente di concepire simultaneamente la contraddizione (A e non-A), o ancora utilitaristicamente nel bisogno di segni economici per indicare i risultati dei complessi processi percettivi della mente.
Leggi e concetti scientifici appaiono dunque realtà contingenti e mutevoli a seconda dei bisogni pratici e dell'esperienza, oppure risultano fondati nella particolare struttura psicofisiologica (in ultima analisi biologica e materiale) della mente umana; sono comunque privi di valore ideale a priori.
Husserl non fu mai né uno psicologista né un logicista.
Il logicismo, in particolare con Frege e Russell, era giunto ad affermare l'esistenza indipendente delle leggi e degli oggetti logici e matematici, per preservarne la validità universale che risultava compromessa, nella prospettiva psicologistica, dalla loro dipendenza dal soggetto storico-empirico, concreto.
Husserl condivideva questa esigenza di validità universale, ma apprezzava anche la necessità di motivare coerentemente il rapporto tra la coscienza concreta e le leggi e gli oggetti logico-matematici, che nella teorizzazione logicistica veniva per così dire dogmaticamente presupposta (come può la mente umana finita pensare leggi e verità indipendenti, in sé, platonicamente esistenti su un altro piano di realtà?).
La fenomenologia si propone dunque di superare le unilateralità tanto dello psicologismo che del logicismo.
Essa muove dall'esigenza di considerare il problema dell'oggetto logico-scientifico (concetti matematici, logici ecc.) nella sua totalità, sottraendosi alle tendenze riduzionistiche tanto del logicismo che dello psicologismo, ciascuno dei quali accentua arbitrariamente un solo lato del problema, il momento della validità universale del concetto o quello del concreto atto conoscitivo della mente che lo pensa.
Questa tendenza si sviluppa gradualmente in tutta l'opera di Husserl, ma è già presente nel sottotitolo programmatico della Filosofia dell'Aritmetica: Ricerche Logiche e Psicologiche, che accenna appunto alle due dimensioni della questione.
Il motto della fenomenologia husserliana, zu den Sachen selbst! «alle cose stesse!», sta a significare appunto il rifiuto di ogni riduzionismo teorico preconcetto.
Studiare i «fenomeni» non significa accogliere le apparenze, ma descrivere ciò che si manifesta nell'oggetto e indagato nel modo stesso in cui esso si dà, nell'estensione piena e nei limiti effettivi del suo manifestarsi.
Il pensiero di Husserl può essere distinto in tre fasi di sviluppo.
Nella prima, testimoniata dalla Filosofia dell'Aritmetica, l'obiettivo di una descrizione non unilaterale dei fenomeni viene raggiunto utilizzando il metodo della psicologia descrittiva secondo l'impostazione di Brentano.
Nella seconda fase, che mette capo alle Ricerche Logiche (1900-1901), questa «psicologia puramente descrittiva» viene sviluppata in senso «antipsicologistico», grazie a una revisione del concetto brentaniano di intenzionalità.
Al centro della riflessione husserliana viene posto il tema della «correlazione universale».
Husserl afferma che a ogni tipo di atto conoscitivo soggettivo corrisponde un certo tipo di oggetto e viceversa: così i vissuti (Erlebnisse) che si accompagnano all'oggetto «logico» o «matematico» hanno certe caratteristiche peculiari, direttamente connesse al tipo di oggetti cui si riferiscono, diverse da quelle degli atti o vissuti che si accompagnano, poniamo, all'oggetto «percepito».
Dopo le Ricerche Logiche la fenomenologia, e si tratta della terza fase del pensiero di Husserl, si sviluppa apertamente in senso trascendentale.
Husserl si occupa anzitutto di fondare la possibilità di una fenomenologia pura come scienza a priori, e in secondo luogo la estende da metodo per lo studio delle oggettività logico-matematiche e dei connessi atti conoscitivi a sapere globale che si interessa di tutti i processi di costituzione delle varie specie di oggettività.
Questo procedimento è analogo a quello neokantiano, che mirava ad analizzare i princìpi trascendentali di tutti i tipi di oggetti culturali (il «sistema della cultura» di Natorp e Rickert o la «filosofia delle forme simboliche» di Cassirer), ma se ne differenzia in quanto prende in considerazione, quale fondamento di tutte le oggettività culturali, l'io e la società nella loro relazione inscindibile.
Si apre così il campo dell'analisi delle forme a priori tanto della dimensione gnoseologica quanto di quella sociale della soggettività.
Temporalità, percezione, movimento corporeo e localizzazione, contatto con gli altri soggetti sono le dimensioni del mondo quotidiano prescientifico dal quale traggono origine - mediante processi che Husserl analizza nei minimi dettagli - anche le strutture logico-scientifiche del sapere.
Viene così realizzato il programma diltheyano di una "psicologia analitica e descrittiva» che dimostri le connessioni e le omogeneità tra l'esperienza vissuta e le categorie logico-scientifiche.
L'analisi dell'edificio teorico husserliano può cominciare dalle Ricerche Logiche.
Accolte come opera di grande importanza dai principali filosofi dell'epoca, da Natorp a Dilthey e Cassirer, le Ricerche Logiche si dividono in un volume di Prolegomeni a una logica pura (1900) e in uno di Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza (1901); quest'ultimo comprende sei saggi che riguardano:
l) il rapporto tra espressione e significato,
2) la teoria dell'astrazione,
3) la teoria degli interi e delle parti,
4) l'idea di grammatica pura,
5) l'intenzionalità,
6) la teoria della conoscenza come tipo speciale di intenzionalità.
L'opera presenta un duplice obiettivo di analisi: vuole studiare, infatti, sia l'intrinseca validità obiettiva e ideale della logica sia l'insieme degli atti soggettivi mediante i quali la conoscenza produce gli oggetti logici.
Nel primo volume (I Prolegomeni) Husserl critica lo psicologismo e sostiene che nessuna legge logica può essere fondata nella sua validità obiettiva e apodittica mediante il ricorso alla psicologia.
Le leggi logico-formali implicano verità indipendenti dalla mente che le pensa; Husserl afferma al proposito che la loro validità «non dipende dalla nostra possibilità di comprenderle, ma noi le possiamo comprendere proprio in quanto sono valide» e quindi esse debbono essere considerate «condizioni obiettive ideali della possibilità della conoscenza».
Accanto a questa prima condizione ideale della conoscenza Husserl ne indica, già nei Prolegomeni, una seconda, quella noetica - dal greco noesis, pensiero -, dunque «relativa agli atti di pensiero»: essa consta della capacità da parte dei «soggetti pensanti in generale» di «compiere tutte le specie di atti nei quali si realizza la conoscenza teoretica».
Si tratta cioè di spiegare come le «oggettività ideali» della logica possano farsi manifeste alla mente umana, come quest'ultima possa pensare l'insieme delle verità logico-formali ideali e a priori.
Già qui si nota la caratteristica impostazione correlativa di Husserl, maturata dal filosofo già prima del 1900, per cui a ogni tipo di oggetto (qui a ogni oggetto logico) corrisponde un certo tipo di atto (l'atto teoretico, in questo caso).
Nella riflessione più matura di Husserl, dove la terminologia fenomenologica si precisa e si trasforma, accanto alla dimensione noetica, che riguarda cioè gli atti conoscitivi soggettivi, si aggiunge correlativamente una dimensione noematica - da noema, contenuto di pensiero - nella quale saranno raccolti invece i significati oggettivi contenuti negli atti soggettivi di conoscenza.
Questa correlazione, come già accennato, è definita da Husserl «universale», cioè essenzialmente attinente a ogni forma di coscienza; nell'Husserl più maturo, come avremo modo di vedere in seguito, la correlazione viene inoltre studiata anche in riferimento all'io, al soggetto che la compie.
Vediamo ora quali strumenti Husserl utilizzi per l'analisi del momento che abbiamo definito noetico.
Anche gli atti teoretici - quelle forme trascendentali mediante le quali organizziamo l'esperienza rendendola oggettiva - sono per Husserl da far rientrare nella più ampia categoria dei vissuti (Erlebnisse).
Secondo Husserl esiste la possibilità di sottrarsi alla consueta obiezione circa il fatto che il vissuto, essendo soggettivo, non è scientificamente conoscibile e analizzabile.
Ciò è possibile realizzando il programma di una «psicologia puramente descrittiva» o fenomenologia che ricorda il tema diltheyano della «psicologia descrittiva e analitica» e la riflessione di Brentano.
La fenomenologia, spiega Husserl, è caratterizzata dall'assenza di presupposti: essa assume come immediatamente vero solo ciò che è constatabile con evidenza nel campo della coscienza pura.
Nelle Ricerche Logiche, questo campo non coincide ancora con quello dell'io trascendentale, come accadrà più tardi, e la coscienza pura sta semplicemente a significare il «nucleo fenomenologico» dell'io.
Questo nucleo è dato dall'intenzionalità.
Ogni vissuto è infatti caratterizzato dal fatto di essere «intenzionale», cioè di contenere un riferimento a un oggetto o a un significato.
L'oggetto del vissuto intenzionale è però trascendente: non ricade nel vissuto stesso, è un polo in sé verso cui il vissuto stesso tende.
I vissuti si distinguono inoltre tra loro per qualità, cioè possono essere rappresentazioni, giudizi, emozioni, volizioni, credenze ecc., e proprio questa differenziazione coincide con la diversa costituzione dei loro oggetti.
Il modo in cui l'oggetto è inteso nell'emozione, per esempio, è infatti manifestamente diverso da quello in cui è inteso nel giudizio teorico, anche se si tratta dello stesso oggetto: un conto è il suono come fonte di emozione, un altro come fatto da misurare sperimentalmente.
Ogni vissuto contiene quindi una peculiare direzione intenzionale che lo rende capace di organizzare i dati percettivo-sensibili in una certa forma, di sintetizzarli in una specifica forma d'oggetto.
La correlazione universale, già vista sopra, si caratterizza quindi come corrispondenza tra una specifica direzione intenzionale, per esempio il ricordare, e il peculiare senso oggettivo, o oggetto intenzionale, verso cui essa tende: il ricordato, con tutte le sue caratteristiche che lo differenziano per esempio dal percepito, dal desiderato e così via.
L'accessibilità alla ricerca scientifica della dimensione intenzionale dei vissuti, riconosciuta da Husserl come gravemente problematica, non è fondata nelle Ricerche Logiche su un metodo universale.
Husserl afferma tuttavia che lo specifico del metodo fenomenologico consiste nella visione eidetica (Wesensschau); essa è possibile nel momento in cui il ricercatore distoglie lo sguardo dagli aspetti psicologici del vissuto per rivolgersi alle sue componenti intenzionali.
Ciò si ottiene, a detta di Husserl, mediante un «orientamento innaturale del pensiero e dell'intuizione», che ci consente di astenerci dal «porre come esistenti, per così dire, ingenuamente, gli oggetti intenzionali nel loro senso»; si tratta ora di «riflettere» sul vissuto stesso e di individuarne le caratteristiche essenziali, le componenti tipiche e normative che ogni specifica forma di intenzionalità possiede.
Il coglimento dell'essenza intenzionale avviene mediante un esperimento mentale (Gedankenexperiment), la cosiddetta «libera variazione fantastica», per cui il vissuto intenzionale viene modificato nella fantasia, in una finzione a bella posta, affinché ne emergano con chiarezza i tratti tipici e invarianti.
Per esempio la «variazione fantastica» dell'intenzionalità volta a cogliere il colore mi fa capire che un tratto essenziale, non modificabile nella fantasia, è il rapporto biunivoco del colore con la superficie, l'estensione: non posso pensare a un colore senza localizzarlo su una superficie.
Dopo le Ricerche Logiche il programma scientifico di Husserl subisce una brusca accelerazione, che amplia sistematicamente la fenomenologia.
Infatti questa disciplina, concepita dapprima come «campo di indagini neutrali», cioè come puro e semplice metodo funzionale alla problematizzazione della logica e della teoria della conoscenza, nonché alla critica allo psicologismo, si trasforma ora in scienza universale sia dei vissuti nelle loro strutture noetico-noematiche sia dell'io puro come loro origine.
A ciò si accompagna una stringente precisazione dei fondamenti metodologici dell'indagine fenomenologica.
Husserl non ha dato un'immagine coerente di questo sviluppo teoretico mediante la propria attività pubblica; le sue opere edite dopo il 1901 parvero testimoniare una sostanziale discontinuità, essendo dapprima tematizzata la problematica della scientificità rigorosa e del metodo (La filosofia come scienza rigorosa; Idee 1), poi il problema del rapporto tra soggettività e logica (Logica formale e trascendentale) e tra soggettività e socialità (Meditazioni Cartesiane), infine la questione del valore sociale e culturale della scienza moderna (Crisi).
Ciò ha determinato una lunga storia di letture fuorvianti e di malintesi, a partire dagli stessi allievi di Husserl, che solo la progressiva pubblicazione dell'enorme mole degli inediti sta via via dissipando.
Data tuttavia la complessità oggettiva della riflessione del fondatore della fenomenologia, cercheremo di dame un'immagine nei limiti del possibile sistematica.
L'esigenza della scientificità rigorosa in filosofia imponeva a Husserl una determinazione esplicita delle possibilità di accesso al campo dell'indagine fenomenologica (i vissuti intenzionali).
Mentre nelle Ricerche Logiche tale possibilità è affidata empiricamente all'esercizio della riflessione condotta senza alcun presupposto, nello Husserl maturo si fa strada il tema dell'epoché, cioè della sospensione del giudizio, un vocabolo tratto dalla terminologia dello scetticismo greco.
L'atteggiamento del fenomenologo consiste nella radicale messa tra parentesi della quotidiana e naturale coscienza del mondo che si muove nella sfera dell'ovvietà e dell'abitudine.
Nella dimensione dell'abitudine (che Husserl definisce atteggiamento naturale), il mondo circostante ci appare come una realtà indipendente, dotata di un senso proprio noto già da sempre e approfondibile mediante gli strumenti conoscitivi messi a disposizione dalle scienze naturali e storiche, con i loro metodi altrettanto ovvi e disponibili.
Con l'epoché il mondo viene sospeso nella sua validità, vengono cioè sospese le ovvie credenze - nel senso humeano del belief - nella sua indipendenza e oggettività.
Del mondo non resta che un residuo, cioè il suo fenomeno, il manifestarsi alla coscienza; il nostro scopo diventa ora quello di interrogarci sulle operazioni mediante le quali la coscienza costituisce questo significato.
La fenomenologia diviene così trascendentale, nel senso che l'apparente contraddizione delle Ricerche Logiche - in cui Husserl parlava del significato come polo in sé, oggetto intenzionale trascendente gli atti espressivi, ma al contempo insisteva sulla correlazione tra atti e significati, correlazione che ne presuppone l'omogeneità - questa apparente contraddizione, si diceva, viene ora risolta affermando che tanto gli atti che i significati, tanto la noesi che il noema, sono a priori.
L'elemento a posteriori della conoscenza, cioè il dato percettivo dell'intuizione sensibile, viene definito da Husserl iletico (dal greco hyle, materia); esso coincide con l'impressione in senso humeano, è cioè dato in modo intuitivo, immediato, ma non intenzionale, in quanto appunto materia recepita passivamente.
Sui dati iletici opera l'intenzionalità, che li mette in forma come dati noematici, accordandoli cioè secondo una certa regola di sintesi che li presenta come manifestazioni di un oggetto trascendente la coscienza.
Il carattere a priori del noema consiste quindi nel fatto che esso è il significato oggettivo di una noesi, che manifesta un oggetto trascendente la noesi stessa.
Se io compio certi atti percettivi (visivi, tattili ecc.), a questi corrisponde a priori un certo tipo di noema, a seconda del tipo di oggetto cui l'intenzionalità è diretta: il noema «albero» implica una certa sintesi dei dati iletici in base a una determinata forma essenziale.
Come io possa avere a priori noemi - come cioè l'a priori possa essere oltre che formale, come voleva Kant, anche materiale - è questione che Husserl affronta nella fase cosiddetta genetica della propria fenomenologia.
Mediante la «messa tra parentesi» del mondo, ossia mediante l'abbandono dell'ovvia credenza nell'esistenza indipendente delle cose, noi mettiamo quindi in luce che tutti i fenomeni che apprendiamo come dotati di significato sono possibili solo sulla base dell'intenzionalità noetico-noematica che li costituisce, sintetizzando i dati iletici in base a determinate regole a priori.
Se sostituiamo dati iletici con intuizioni sensibili, noesi con categorie e forme dell'intuizione, noema con oggetto trascendentale (nel senso della Deduzione trascendentale del 1781), capiamo che la prospettiva di Husserl non è lontana da quella di Kant e dell'idealismo trascendentale.
La principale differenza sta nel fatto che Husserl determina l'a priori trascendentale in senso tanto noetico che noematico, cioè non solo formale ma anche contenutistico (il cosiddetto a priori materiale).
Questo tema risulta chiaro se riflettiamo su come, secondo Husserl, il porre l'esistenza indipendente del mondo dal soggetto sia una particolare direzione possibile dell'intenzionalità, accanto a svariate altre che pongono altri tipi di contenuti, ora non indipendenti dal soggetto (psichici), ora indipendenti, anche se in modo diverso dalla realtà del mondo empirico (per esempio, l'oggetto logico).
A seconda del tipo di noesi, si determinano quindi a priori correlati noematici (contenuti) differenti.
La coscienza "ingenua", prefenomenologica, non conosce e non coglie come tutti i tipi di oggetti, da lei posti come separatamente esistenti da se stessa, siano invece fenomeni radicati nell'intenzionalità.
Riacquisirne la dimensione intenzionale è ciò che Husserl definisce riduzione.
Ridurre significa delimitare, restringere, ed è un processo che Husserl articola in tre gradi fondamentali:
a) in primo luogo si ha la riduzione fenomenologica, che mette in evidenza come ogni esperienza si radichi nell'a priori trascendentale della conoscenza, non abbia cioè senso in se stessa ma solo in ragione delle forme noetico-noematiche costitutive della coscienza.
b) In secondo luogo si ha la riduzione eidetica, che si occupa dell'analisi delle forme essenziali della coscienza, ossia l'intenzionalità e i suoi tipi, l'evidenza, la riflessione ecc.
c) In ultima istanza Husserl introduce il tema della riduzione trascendentale, che consiste nell'analisi dell'io puro come fonte di tutti i significati intenzionali che vengono a costituire l'orizzonte dell'esperienza della coscienza (il mondo) e nell'interpretazione del processo della genesi delle categorie trascendentali mediante le quali l'io stesso costituisce il mondo.
Questo duplice tema non è lontano dalla storia pragmatica della coscienza fichtiana o dalla fenomenologia in senso hegeliano, in quanto vuole dare conto di come si siano formate tutte le stratificazioni intenzionali - le categorie, le opinioni, i valori culturali - di cui è intessuto l'io.
Si tratta della questione più complessa e forse filosoficamente più affascinante della riflessione di Husserl: essa assume il nome di analisi genetica.
Si potrebbe considerare l'analisi genetica come il tentativo di una mediazione tra il trascendentalismo di Kant e l'empirismo di Hume, un autore cui Husserl guardò sempre con estremo interesse.
Nelle Idee Husserl aveva proceduto, secondo il suo stesso giudizio, con metodo cartesiano, distruggendo la realtà trascendente, rispetto alla coscienza, mediante l’epoché e guadagnando così la coscienza come regione di essere assoluto e indubitabile, momento fondante contrapposto a quello non indipendente del mondo.
La coscienza guadagnata dall'epoché fenomenologica non è però un io puro vuoto di contenuti, com'era l'io nella concezione neokantiana.
Essa è invece un flusso costante di esperienze e vissuti intenzionali, sui quali si dirige ora lo sguardo del fenomenologo: essi sono stati infatti ridotti a fenomeni, cioè a correlati della coscienza trascendentale.
Pertanto, come sappiamo già, la coscienza può venire analizzata come una sfera di intenzionalità, articolate in componenti noetiche e noematiche.
Rispetto a questo tema si delinea un primo problema: come si trovano già, sempre nella coscienza, certe capacità intenzionali?
Cartesio, come è noto, aveva risposto definendo l'io come un insieme di idee, alcune delle quali, per l'appunto, innate.
La fenomenologia non accetta però questa soluzione e si propone di tracciare la storia della formazione dell'intenzionalità all'interno dell'io, e quindi la storia della costituzione dell'io stesso.
Un secondo problema deriva dal fatto che lo studio della coscienza mediante la riflessione intuitiva non ci porta a esaminare soltanto le singole forme dell'intenzionalità, ma anche le loro implicazioni reciproche.
Proprio questo problema del reciproco implicarsi delle varie forme di intenzionalità (emozione, ricordo, conoscenza logico-scientifica, volizione ecc.) porta Husserl alla convinzione che una vera e propria teoria della costituzione debba uscire dallo schema fenomenologico primitivo, che si limita a precisare descrittivamente i rapporti tra forme noetiche e forme noematiche.
Questa impostazione viene ora definita da Husserl statica, nel senso che caratterizza soltanto i tratti specifici di una certa costituzione di un singolo tipo di oggetto o di esperienza: appunto l'emozione o l'oggetto logico- scientifico ecc.
Husserl vuole invece riflettere ora sul fatto che ogni intenzionalità fenomenologicamente rilevabile interagisce con tutte le altre, secondo un indirizzo finalistico (teleologico, come dice Husserl), che è volto non tanto alla costituzione di un singolo oggetto quanto del mondo in generale.
In altri termini, lo sviluppo del pensiero di Husserl va da un'applicazione della ricerca fenomenologica alla specifica problematica dell'oggetto logico-matematico a una teoria della conoscenza che vede ormai in quest'ultima peculiare forma di intenzionalità una tra le svariate direzioni della vita della coscienza mediante le quali quest'ultima esprime se stessa nel suo mondo.
La ricerca si sposta così dall'indagine noetico-noematica della conoscenza, in certo senso affine al neokantismo, al ben più complesso studio del rapporto tra io e mondo, mediato dall'intenzionalità, che corrisponde invece a una versione «idealistica" della fenomenologia, che si riappropria dei temi dello storicismo diltheyano, ma soprattutto dell'eredità spirituale dell'idealismo tedesco classico.
Le direzioni di questa nuova ricerca - che prende appunto il nome di fenomenologia genetica - sono due, l'io e il mondo.
Per quanto riguarda il tema dell'io, Husserl aveva in un primo tempo rifiutato un valore filosofico a questo concetto, sulla scorta di un atteggiamento scettico di origine positivista sull'intuibilità dell'io.
Successivamente l'io divenne per lui l'a priori teoretico complessivo, con un avvicinamento alla posizione neokantiana (in particolare a Natorp; si ricordi la nozione kantiana dell'io penso come sintesi delle categorie).
Nella fase più matura della propria filosofia, Husserl sviluppa invece un'articolatissima interpretazione dell'io e della soggettività.
Husserl rifiuta il tema puramente formale secondo cui l'unità dell'io è data intuitivamente nel fatto che io percepisco me stesso come soggetto di tutte le diverse intenzionalità in cui vivo.
Mediante questo procedimento io colgo bensì l'io puro, come polo-io o centro di funzioni (espressione mutuata da Natorp) cui tutti i vissuti intenzionali fanno riferimento.
Nulla però può dedursi circa la struttura di questo io, che è infatti reale solo nell'attuazione delle sue funzioni.
Perciò anche l'io husserliano, come l'esserci heideggeriano, è sempre «fuori», è reale solo nella propria intenzionalità, cioè nel dirigersi verso il mondo.
Dell'io puro si potrà dire quindi solo che è il soggetto identico, «il centro di irradiazione oppure il centro di convergenza di tutti i raggi della vita della coscienza», e si potrà piuttosto rilevare che esso è manifesto, cosciente e desto in certi atti, oscuro e «assopito», inconscio, in altri atti.
L'identità dell'io puro non consiste però soltanto nella sua centralità rispetto a tutte le funzioni della coscienza, ma anche nella coerenza del modo in cui queste funzioni risultano attivate.
Per esempio l'identità dell'io sta nel permanere delle sue opinioni, in una certa costanza del suo atteggiamento emotivo ecc.
Queste opinioni intenzionali permanenti, nel loro rimanere valide nel corso del tempo, costituiscono una fondazione (Stiftung), cioè un certo modo costante di comprendere e costituire il significato del proprio mondo.
In esse l'io si riconosce, ed esse stesse rimangono valide fino a quando motivazioni nuove non sopravvengono.
L'identità dell'io consiste quindi nella possibilità di riconoscersi nel ricordo, di istituire una continuità tra il vissuto della sua opinione di un tempo e il vissuto di quella attuale.
La dimensione fondamentale dell'io puro è pertanto (come in Heidegger) quella del tempo.
Nel tempo, cui ha dedicato analisi estremamente dettagliate e difficili, Husserl distingue un flusso costitutivo (Ur-Ich, io originario), che è il ritmo invariabile, che non può accelerare né rallentare, mediante il quale le impressioni si susseguono nel vissuto pervenendo alla soglia del presente e sprofondano poi nel passato, modificandosi via via che nuove impressioni subentrano.
Rispetto a questo io originario, che è passivo, l'io puro è un polo-io costituito nel flusso dei vissuti, che si appropria di questo flusso stesso facendosene cosciente.
Vediamo quindi che nel cuore della soggettività c'è una dimensione di passività a priori: il flusso temporale originario; e una di attività, spontaneità e libertà: l'io puro come polo-io, che si appropria del flusso dei suoi vissuti facendosene cosciente.
Il carattere di polo dell'io puro ci lascia quindi capire che esso non è una cosa o una sostanza, ma una identità che viene via via costituendosi e modificandosi nella progressiva chiarificazione della propria esperienza.
Questa interazione di passività e spontaneità si osserva anche in relazione alle operazioni di fondazione di cui dicevamo sopra.
Infatti ogni fondazione consente di formarsi un particolare angolo visuale sul mondo, per mezzo di un processo di riorganizzazione delle proprie opinioni intenzionali (valori, scelte culturali, emozioni ecc.).
In questo modo il mondo stesso viene fondato - compreso, costituito - in un modo nuovo, che però diventa a sua volta ben presto abituale; al punto che l'atto di libera riorganizzazione del proprio punto di vista - da cui pure questo nuovo modo di vedere il mondo sorgeva - viene dimenticato e finisce nell’assopito.
Husserl rileva anzi che la nuova opinione intenzionale viene come riassorbita nel mondo stesso, si sedimenta come una sua caratteristica oggettiva; si noti come questa teoria è la versione fenomenologica dell’alienazione o dello scadimento heideggeriano.
Mentre le fondazioni qui accennate, pur potendo dimenticare il proprio senso originario (e ne vedremo poi un caso), sono manifestazioni della spontaneità dell'io, esiste anche una dimensione diversa della fondazione, che ha come oggetto l'io stesso e che ne determina quindi la costituzione.
Di fatto il mio io concreto è qualcosa che in un certo senso mi è dato, poiché io non sono in grado di modificare oltre certi limiti la mia corporeità e il mio psichismo, così come devo sempre fare i conti con le coordinate storiche, sociali e linguistiche nelle quali mi trovo.
A tutte queste dimensioni corrisponde una stratificazione di livelli dell'io: l'io corporeo e animale, l'io emozionale, l'io psichico, l'io-uomo, infine la monade, cioè io nel mio mondo in tutta la complessità interattiva di questi strati, che si genera innanzi tutto passivamente a partire dal rapporto con il mondo.
lo riscopro nell'analisi trascendentale tutti questi strati, che mi si danno ora come fenomeni nell'immanenza alla coscienza: si arriva così al paradosso che l'io trascendentale (cioè l'insieme delle funzioni mediante le quali si costituisce l'esperienza) è proprio il mio io di fatto, il che non è tanto strano se riflettiamo su come il mondo trascendentalmente costituito e ridotto a fenomeno è proprio il mio mondo storico-sociale.
Il senso originario del mondo non è infatti quello matematico-scientifico, bensì quello del mondo dell'esperienza immediata o, come ama scrivere Husserl, il mondo della vita (Lebenswelt).
Quest'ultimo è l'universo soggettivo, prospettico e intuitivo del mio ambiente circostante, colto nella percezione, nell'orientamento corporeo e nella prassi.
Rispetto a questo mondo della vita, la ragione teoretico-scientifica non è alcunché di aberrante o di estraneo; la conoscenza teoretico-razionale è per così dire prefigurata (secondo una struttura potenza-atto) nelle forme della percezione, del movimento, del ricordo mediante le quali esperiamo il mondo della vita.
In questo senso tutta la vita intenzionale dell'io è attraversata da una continuità tra le forme più semplici, percettive e passive, e quelle più complesse, logiche e teoretiche.
Husserl individua ora come fondazioni, cioè come modi costanti di pensare il mondo, le particolari interpretazioni teoretico-scientifiche della realtà, che danno vita a un'interpretazione del mondo più ampia e oggettiva di quella dell'esperienza prospettica del mondo della vita.
Va d'altronde rilevato, come osserva Husserl nella Crisi delle scienze europee - con ampia affinità ma anche sicura indipendenza rispetto allo Heidegger di Essere e Tempo e di Che cos'è la metafisica? - che la moderna scientificità matematico-sperimentale è una fondazione intenzionale che ha però perduto il senso della propria origine, riducendosi a un sapere calcolistico e tecnico.
Husserl definisce obiettivismo moderno la tendenza della scientificità contemporanea a costituirsi secondo un modello matematizzante e dogmatico; questo modello contrappone l'essere obiettivo in sé della realtà, articolato strutturalmente in leggi e rapporti matematici, all'essere soggettivo dell'esperienza quotidiana della vita.
L'obiettivismo, che corrisponde a quanto Heidegger definisce «metafisica» e Dilthey «sistema naturale delle scienze», contrappone quindi astrattamente il soggetto logico-scientifico a quello storico, sociale ed empirico e pretende così di unificare tutto il sapere alla norma rigorosa della matematizzazione.
E quindi una sorta di auto alienazione della ragione; si ricordi che dalle osservazioni husserliane sulla scientificità contemporanea trarranno significativi spunti Adorno e Horkheimer per la loro Dialettica dell'illuminismo.
Heidegger, come vedremo, penserà alle trasformazioni del sapere scientifico contemporaneo in termini per così dire apocalittici, sostenendo che la scienza non pensa, ossia: è del tutto diversa dalla filosofia, e non può reimparare a pensare, ma va abbandonata a se stessa in vista di una meditazione completamente nuova che recuperi le possibilità inespresse della tradizione culturale occidentale.
Husserl, come Dilthey, non intende invece recidere la relazione tra scienza e filosofia, e ritiene piuttosto che le scienze possano riacquistare senso per la vita solo recuperando la memoria del loro significato come fondazioni.
L'idea della scienza e del sapere univoco logico-matematico è infatti per Husserl una formazione intenzionale che nasce dal mondo della vita ed è quindi un aspetto della prassi, senza riferimento alla quale risulta incomprensibile: si notino qui le consonanze con lo storicismo e il marxismo (Husserl afferma infatti, nel suo particolare linguaggio tecnico, che la scienza fisico-matematica è il frutto di un particolare contesto sociale e culturale).
Il mondo della vita è però innanzitutto l'ambiente dell'esperienza percettiva e corporea, in cui le stesse operazioni psicofisiche del muoversi, dell'osservare e del sentire rivelano già, come in precedenza annotato, una prefigurazione della ragione e della conoscenza teoretica.
Ragione e scienza, in quanto potenzialità intrinseche al mondo della vita, non possono pertanto rivoltarsi contro quest'ultimo, negandogli ogni senso; se ciò accade, è perché il valore stesso della ragione, come intenzionalità radicata nel mondo della vita, si è pervertito.
Un secondo elemento che caratterizza il mondo della vita è costituito dall'intersoggettività.
Husserl considera infatti inevitabile che l'approccio metodologicamente corretto alla ricerca fenomenologica sia quello solipsistico dell'epoché, il quale porta alla riduzione fenomenologica in cui tutto appare come mero correlato della coscienza.
Ciò non significa però che l'analisi genetica non scopra che la stessa coscienza trascendentale appare come originariamente connessa ad altri io.
Il «soggetto umano», dice Husserl, è «senz'altro un essere intersoggettivo», e questa intersoggettività va compresa in due sensi; anzitutto gli altri sono in me nella misura in cui tanto io quanto gli altri, vivendo in un mondo e in una storia analoghi, condividiamo strumenti intellettuali, opinioni, linguaggio, che si sono passivamente depositati in noi; in secondo luogo, l'intersoggettività risulta però presente in me come un telos, di cui dapprima non sono cosciente, ma che diventa tanto più chiaro quanto più io stesso esplico la mia propria capacità intenzionale: espressiva, culturale, psicologica ecc.
La ricostruzione dei gradi trascendentali del processo di conoscenza tematica dell'intersoggettività è molto suggestiva e difficile.
In primo luogo Husserl osserva come l'esperienza dell'altro essere umano avvenga sempre mediante un'estensione analogica al corpo altrui delle caratteristiche dell'esperienza del corpo proprio («accoppiamento»).
A partire da questa analogia (che, si noti, implica già la capacità percettiva di distinguere identità e differenze e dunque una primordiale articolazione logico-razionale) e sulla base del riconoscimento dell'affinità somatica, si fonda poi l'appresentazione o empatia, mediante la quale io riconnetto il comportamento dell'altro a un'esperienza psichica intenzionale paragonabile alla mia.
Con grande finezza Husserl annota che la intenzionalità accoppiante e l'empatia sono associative: noi riconosciamo, già da sempre, l'altro corpo e l'altro io come umani, ricordandone l'affinità con modelli che sperimentiamo come ovvi e certi (i modelli del nostro corpo e del nostro io).
Questa dinamica associativa dei processi di accomunamento e di empatia testimonia appunto l'originaria relazione intersoggettiva presente nel mondo della vita.
I gradi superiori dell'esperienza intersoggettiva consistono nella costituzione del mondo oggettivo, dotato di una temporalità unica e dato come natura reale e identica per tutti; questa costituzione è ancora associativa, nel senso che non appena io mi appresento (stabilisco un rapporto di empatia) un io psicofisico estraneo, gli estendo analogicamente la mia esperienza, e precisamente di quest'ultima quelle dimensioni invarianti che sono i poli noematici della intenzionalità, che divengono così gli oggetti.
Oltre a ciò, io posso altresì osservare che anche io stesso posso apparire a un altro come un estraneo da appresentare, e quindi posso comprendere che appartiene essenzialmente a priori a ogni io la possibilità di appresentare ed essere appresentato rispetto a un'infinità di altri io; in questo contesto si costituisce il mondo storico-sociale nella sua globalità, come frutto dell'interazione tra gli io, che ha sempre anche lo scopo primario della comunicazione e comprensione reciproca.
L'intersoggettività, che abbiamo denotato in un primo momento come puro momento passivo-associativo, diventa ora un fine specifico, una possibilità essenziale intrinseca alla mia libertà.
Ogni altro io umano è per principio comprensibile nel suo agire, dato che si fonda in un'esperienza percettiva, somatica ed emotiva analoga alla mia; sta a me istituire il corretto procedimento per la sua comprensione - a me, naturalmente, ma anche all'altro in piena reciprocità.
Le scienze e le formazioni culturali sono appunto quelle intenzionalità sociali e collettive che fondano un nuovo e più «oggettivo» modo di comprendere il mondo, e quindi contribuiscono con ciò alla migliore comprensione dell'essere-insieme degli io nel loro mondo.
Quando, come nel caso del «moderno obiettivismo», le scienze e le forme culturali smarriscono questo fine più profondo, legato alla prassi e alla comunicazione e promozione della reciproca comprensione, e trasformano i propri metodi in abitudini e pregiudizi, allora le scienze stesse perdono la propria significatività per la vita.
La vera scienza, soggiunge invece Husserl, è quella che tiene vivo il significato originario di tutte le intenzionalità che la costituiscono come forme di comunicazione e costituzione finalistica del mondo intersoggettivo.
Per questo motivo la stessa fenomenologia, una volta svelato a noi stessi il nostro mondo della vita come origine di tutte le dimensioni intenzionali della nostra esperienza, ci invita a una ancora più radicale riduzione, detta all'io trascendentale universalmente fungente.
Questa riduzione ha lo scopo di non farci accettare come ovvie e valide le forme d'esperienza del nostro mondo della vita, che è sempre storico e determinato (la tradizione europeo-occidentale); dobbiamo invece spingerci verso l'identificazione di quelle potenzialità universalmente valide della ragione e della vita intenzionale della coscienza, che ci consentano di capire a fondo anche altri mondi della vita - non solo la nostra, ma anche l'altrui cultura - in vista del fine veramente ultimo della costituzione (comprensione piena e razionale) dell'umanità in quanto tale o spirito.
La difficoltà di questa riduzione è tale che essa va compiuta «sempre di nuovo» (immer wieder); si configura come un perenne momento autocritico, ma anche come un monito, tipico della tradizione dell'idealismo trascendentale (si pensi a Fichte) a non assolutizzare mai la concreta esperienza della ragione e a tenere viva la tensione verso una più alta purezza morale e teoretica.