Nel corso del Settecento, l'architettura inglese visse uno dei momenti più importanti della sua storia. Ognuno secondo uno stile profondamente personale, artisti di genio quali John Soane e Robert Adam rimescolarono elementi della tradizione antica e moderna, rinnovando il linguaggio architettonico inglese.
Dal primitivismo al neo greco, allo stile pompeiano, fu tutto un fiorire di 'revival' di stili, profondamente segnati dalla passione archeologica e dal gusto per la semplicità e la razionalità, filologicamente corretti, ma fatti rivivere in termini estremamente attuali.
Ingegnosamente rielaborati e intrecciati tra loro o con altri motivi di ispirazione più moderna, gli stili del passato rivivono nelle costruzioni architettoniche, negli interni delle dimore, nei mobili e negli oggetti di arredamento.
Alla passione per l'antichità classica, si affiancò la rivalutazione di altri periodi storici e artistici. Dall'opera e dai trattati del grande architetto veneto Andrea Palladio (1508-1580) si sviluppò il fenomeno del neopalladianesimo, che ebbe riflessi non solo in architettura, ma pure sull’arredamento e sul mobilio, mentre al fascino del gotico, inserito in una più generale riscoperta del medioevo, denigrato dalla storiografia rinascimentale, si ispirò il neogotico.
Una delle più significative manifestazioni neogotiche fu la pubblicazione a Londra, nel 1742, del Gothic Architecture Improved di Batty Langley, contenente progetti di edifici di gusto medioevale, non fedelmente trasposti, bensì evocati da particolari di gusto medioevalizzante.
Il recupero gotico riguardò inizialmente soprattutto le architetture da giardino, per le quali costituì un esempio l’arredo del parco di Strawberry Hill, a Twickenham, presso Londra, di proprietà di Horace Walpole, figlio del primo ministro inglese. Le prime manifestazioni dello stile neogotico al di fuori dell’Inghilterra si ebbero in Germania, a Wörlitz, dove il principe di Arnhalt-Dessau si fece costruire, nel 1773, dall’architetto Georg Christoph Hesekiel (1732-1818) la Gotische Haus.
Fin dagli anni Ottanta si diffusero nei giardini di tutta Europa costruzioni goticheggianti in rovina, ruderi di struggente malinconia ai quali era affidato il ruolo di rievocare un illustre passato.
Il neopalladianesimo
Dopo il Great Fire, il terribile incendio che nel 1666 aveva devastato il centro di Londra, il compito di elaborare una tipologia architettonica che fosse peculiarmente inglese divenne uno dei pensieri principali per gli architetti impegnati in tale opera.
Fu Christopher Wren (1632-1723) a gettare le basi per la creazione del modello, rivolgendosi ai testi di Vitruvio e ai trattati del Serlio, fonti classiche per eccellenza, nonché alle architetture di Andrea Palladio (1508-1580), dal nitido classicismo.
Fu l’opera di questo grande architetto del Cinquecento a dare il nome al fenomeno del 'palladianesimo', legato alla diffusione e allo studio dei temi principali della sua opera, che ebbe vasto seguito soprattutto in Inghilterra ed in Francia. Tale diffusione aveva conosciuto una prima fase nel Seicento grazie ad Inigo Jones (1573-1652), per poi diffondersi maggiormente all’inizio del secolo successivo grazie al collezionista ed architetto Lord Burlington, il quale aveva acquistato nel suo soggiorno in Italia (1715-1719) numerosi disegni e progetti del Palladio.
Nello stesso periodo, apparvero la prima edizione inglese (1716-1720) del trattato I quattro libri dell’architettura di Palladio, uscito nel 1570, ed il Vitruvius Britannicus (1715) dell’architetto Colin Campbell, che contribuirono al vasto diffondersi di tale cultura architettonica. Il neopalladianesimo rappresentò, col passare degli anni, un aspetto importante della tematica neoclassica.
Il richiamo ai modelli dell’antichità, già presente nell’architettura inglese dalla seconda metà del XVII sec., precorse quanto sarebbe accaduto di lì a pochi decenni, quando le scoperte archeologiche avrebbero permesso di ispirarsi ai modelli originali in modo molto più fedele di quanto non consentissero i trattati.
La grande passione per l’archeologia, che pervase l’Inghilterra verso la metà del XVIII sec., si manifestò in tutte le principali costruzioni dell’epoca e negli arredi interni degli edifici.
Gli interni di Robert Adam
L’importanza di Robert Adam, affermato architetto nell’Inghilterra del Settecento, si deve soprattutto alla rivoluzione che egli introdusse nell’architettura degli interni.
Il Grand Tour compiuto in Italia tra il 1754 ed il 1757 lo portò alla conoscenza diretta dei resti antichi, ma pure dell’architettura del Rinascimento, attraverso la quale poté rompere la tradizione del palladianesimo, per introdurre nuovi spunti di ispirazione.
Con originalità egli diede vita al neoclassicismo inglese, introducendo motivi nuovi, eleganti, a volte basati su temi pompeiani, altre sulle forme rinascimentali italiane, a loro volta formulate sullo studio dell’antico. Dalle decorazioni delle case emerse dagli scavi di Pompei, Ercolano e Ostia antica riprese il vasto campionario di motivi decorativi, scanditi sulle pareti entro nitide specchiature.
A dispetto della varietà e della molteplicità degli spunti figurativi, l’effetto di insieme degli ambienti arredati dall’Adam è di grande ordinatezza, con un gusto che, per certi aspetti ancora legato al rococò per la sbrigliata fantasia degli ornati, medita ormai sulle nuove scoperte archeologiche.
Di grande eleganza sono gli interni del castello di Mallerstein nel Berwickshire in Scozia (1770 c.), della Syon House nel Middlesex e, ancora, di Osterley Park, di Landsdowne e Kenwood Houses, nelle cui sale, arredate da Adam, si stagliano arabeschi, grottesche, pelte, colonne, paraste dalle preziose cromie.
Attivo in numerosissime dimore patrizie di Londra e dintorni, l’architetto sovrintendeva con cura ad ogni fase dell’arredamento, fornendo spesso consulenze per il mobilio e disponendolo egli stesso negli ambienti.
Adam dette il nome ad uno stile che si diffuse rapidamente in tutta l’Inghilterra tra il 1760 ed il 1780, per poi estendersi alla Francia e agli Stati Uniti.
Il giardino all'inglese
L’idea del giardino, delizia degli occhi e della mente, andò affermandosi nel corso del Seicento, trovando la sua più perfetta esemplificazione nel parco della reggia di Versailles. Il giardino "alla francese" si diffuse rapidamente, emulato da tutti i sovrani d’Europa, che desideravano rivaleggiare con gli splendori floreali e con gli spettacolari giochi d’acqua del Re Sole, creati da André Le Nôtre (1613-1700) e altri grandi maestri giardinieri.
Ispirandosi ai giardini italiani e mantenendo le forme geometriche e le siepi di sempreverde, essi abolirono elementi in muratura come terrazzamenti e scalinate, in favore di zone ampie e di vedute a perdita d’occhio. A partire dalla seconda metà del Settecento, si sviluppò invece la moda del giardino "all’inglese".
Ampi tappeti erbosi furono ora preferiti a ordinate scansioni di aiuole e vialetti, in un’apparente casualità, che in realtà non lascia niente alla spontaneità della vegetazione.
Vagando in questi parchi si poteva sognare il passato, vagheggiare la felicità dello stato di natura e assaporare la malinconica bellezza del paesaggio. Nella natura si riflettevano le emozioni, le inquietudini, i sogni dell’anima umana; tutto doveva apparire spontaneo e i vialetti non potevano creare divisioni nell’ambiente.
Grotte, ruderi, laghetti sono collocati come per caso in angoli romantici, mentre gli alberi si dispongono a gruppi in modo naturale. Abbandonato via via il realismo iniziale, tali giardini assunsero sempre più l’aspetto di un allestimento scenografico di fantasia. In Italia l’influenza del giardino all’inglese si impose attorno al 1780 con l’architetto Giuseppe Jappelli, mentre Ippolito Pindemonte con una Dissertazione del 1792 illustrava i modi per realizzarlo.
Nel 1805 il nobile milanese Ettore Silva pubblicò il trattato Sull’arte dei giardini inglesi, decretandone un successo destinato a durare per tutto il sec. XIX.
Nel corso del secolo, il sistema viario europeo subì un profondo mutamento. L’intensificarsi dei commerci, dei viaggi per diporto e per cultura portò alla costruzione di nuove arterie viarie a lunga percorrenza, realizzate anche grazie alle nuove tecniche per la realizzazione dei materiali.
Gli scambi internazionali si moltiplicavano, le economie locali crescevano, i commerci erano più rapidi e sicuri. Mentre i ponti in lega metallica si sostituivano ormai ai facilmente deperibili ponti in legno o a quelli ben più complessi da edificare in pietra, nasceva la moderna concezione urbanistica della città, che sarà poi sempre più modificata con la rivoluzione industriale.
Le industrie ed i commerci portarono infatti ad una forte urbanizzazione della popolazione non più addetta all’agricoltura e le città dovettero adeguarsi a questa crescita, cercando di non creare svantaggi alle condizioni di vita dei cittadini
Il Palais Royal a Parigi
L’imponente Palais Royal a Parigi, sede attuale del Consiglio di Stato francese, fu eretto a partire dal 1629 dall’architetto Jacques Lemercier per il cardinale Richelieu, che qui risiedeva.
Lasciato per legato testamentario dal cardinale al re Luigi XIII, il palazzo fu dimora dal 1643 di Anna d’Austria, regina reggente, alla morte del marito, in nome del giovanissimo figlio Luigi XIV.
Abbandonato dalla corte durante i torbidi fatti seguiti alla Fronda parlamentare del 1649, venne donato nel 1692 al duca Filippo d’Orléans, fratello del Re Sole.
Di questo edificio, a pochi passi dal palazzo del Louvre e composto da tre corpi di fabbrica, che racchiudevano due ampi cortili interni, restano oggi soltanto poche tracce.
Tra il 1752 ed il 1770, l’architetto Pierre Contant d’Ivry lo ricostruì interamente, affidandone la decorazione scultorea esterna a Augustin Pajou.
Ampliata negli anni immediatamente precedenti alla Rivoluzione francese, la struttura si arricchì su tre lati di eleganti arcate e divenne un lussuoso condominio con eleganti negozi e caffè al piano terreno. Il bel giardino interno costituì un’oasi di pace nel cuore cittadino.
La galleria coperta in vetro, che collega il palazzo ad un padiglione interno realizzato nel 1830, rappresentò uno dei primi passages coperti di Parigi.
Il nuovo quartiere divenne così il ritrovo del bel mondo parigino e della borghesia illuminata, luogo di incontro di artisti, intellettuali e poeti.
Ribattezzato Palais Egalité, durante la rivoluzione fu uno dei punti di riferimento dei rivoltosi, i quali, proprio nel giardino, accorrevano per ascoltare i capipopolo che arringavano la folla. In una bottega sorta all’interno del palazzo Charlotte de Corday acquistò il pugnale con cui assassinò Jean-Paul Marat.
Gli ''hôtel particuliers'' parigini
Nel 1665 era iniziata la trasformazione della città di Parigi. Ormai al culmine del suo potere assoluto e sicuro da ogni minaccia, al posto delle cinte difensive il Re Sole fece costruire i Grands Boulevards, le ampie strade eleganti ed abbellite dagli archi di trionfo.
Mentre per volontà sovrana il centro cittadino si andava ornando delle prime, vaste piazze monumentali, le maggiori casate nobiliari non vollero essere da meno e fecero restaurare gli antichi edifici aviti o edificare nuovi splendidi palazzi.
Privilegiando i tradizionali quartieri residenziali del Marais o spostandosi verso le nuove zone di Place Vendôme o della Rive Gauche, la buona società parigina si impose la norma di non mostrare la ricchezza all’esterno e di riservare il lusso per l’intimità.
Contrasta così con la severità delle facciate dei palazzi, dove ogni particolare architettonico obbedisce al principio di equilibrio e di armonia, la magnificenza degli interni, ornati da profusioni di decori e da eleganti arredi, a simboleggiare la ricchezza e il prestigio dei proprietari.
Tra la nobiltà e l’alta borghesia si diffuse sempre più, durante il Settecento, la moda degli hôtel particuliers, edifici tipicamente francesi, composti generalmente da un cortile sulla strada, la cour d’entrée, e da una costruzione trasversale, corps de logis, talvolta con due ali avanzate nel cortile.
Quasi sempre a due piani, con i caratteristici tetti spioventi in ardesia, questi edifici si lasciano ancora ammirare nelle strade di Parigi, spesso nascosti agli occhi curiosi da alti muri e da grandi portoni, che un tempo lasciavano passare le carrozze e oggi ne assicurano la riservatezza.
Come ogni città, in ogni tempo, la Parigi del Settecento aveva i suoi quartieri più alla moda. In voga fin dal secolo precedente il Marais era ancora prediletto dall’aristocrazia.
Poco distante dalla Place des Vosges, sorgono infatti alcuni dei più belli hôtel della città, quali l’Hôtel de Rohan, costruito a partire dal 1705 e l’Hôtel Hallwyl. Più avanti, nel XVIII sec., la nobiltà preferì spostare la propria residenza verso i grandi viali appena inaugurati, facendosi edificare nuovi hôtels sul Faubourg St-Honoré e sul Faubourg St-Germain.
L'Hôtel de Soubise
Accoglie oggi l’Archivio di Stato di Parigi uno dei più bei hôtel particuliers della città. Situato all’inizio della Rue des Francs-Bourgeois, la prestigiosa ed elegante via che attraversa il quartiere del Marais, l’edificio fu costruito, tra il 1704 ed il 1709, per volontà di François de Rohan, principe di Soubise, dall’architetto Pierre-Alexis Delamair (1676-1745).
Un vasto cortile d’onore, con portico a colonne binate, precede la costruzione a due piani con avancorpo centrale a frontone, sormontato da sculture di Robert Le Lorrain.
Un ampliamento ed una ristrutturazione della fabbrica si ebbero nel quarto decennio del secolo, quando Germaine Boffrand adattò le sue forme al nuovo gusto rocaille.
L’Hôtel divenne allora il maggior capolavoro del rococò parigino. Dopo il matrimonio con Anne Chabot, il principe di Soubise volle creare nuovi appartamenti per sé e per la consorte, riservandosi il piano terreno e consegnando al gusto della principessa l’arredo dell’appartamento al primo piano.
I più importanti artisti del tempo parteciparono al progetto, da Boucher, che dipinse quattro scene mitologiche e due a soggetto pastorale, a Natoire, da Vanloo a Trémolières.
La decorazione in stucco fu affidata a Paolo Antonio Brunetti (1723 ca.-1783), di origini lombarde, più volte impegnato durante la sua carriera in imprese parigine.
Il salone ovale al piano nobile costituisce la costruzione più elaborata dello stile rococò. Si tratta di una complessa struttura di specchi e pannelli, dal soffitto azzurro, arricchita da volute ornamentali in stucco dorato e da dipinti mitologici di Natoire, raffiguranti la Storia di Psiche.
Eseguite tra il 1737 ed il 1739, tali opere riprendono un tema tratto dalle Metamorfosi di Apuleio, rivisitate da La Fontaine nella sua composizione in versi Gli amori di Psiche.
Durante il Settecento, la leggenda di Psiche, una fanciulla così bella da suscitare l’invidia di Venere e amata da Cupido, divenne il simbolo delle gioie e delle sofferenze dell’amore, esercitando un forte fascino sugli artisti.
Il gusto per il lusso e l’eleganza nell’arte e nella decorazione tipica dello stile rococò è ben esemplata in questi raffinati ambienti, che hanno conservato intatto il loro aspetto originale.
All’interno dell’edificio ha sede il Museo della Storia di Francia, dove sono custoditi preziosi documenti che, dalla metà del VII fino al XV sec., illustrano gli avvenimenti storici più salienti della nazione, dal diploma reale di Ugo Capeto, fondatore nel 900 d.C. della dinastia Capetingia, ad una lettera di Giovanna d’Arco.
Soufflot
Jacques-Germaine Soufflot fu il maggiore esponente della storia dell’architettura francese nell’epoca di Luigi XVI.
Nato nel 1713 e destinato dalla volontà della famiglia alla professione giuridica, manifestò ben presto una passione per l’architettura, che lo spinse a trasferirsi a Roma per studiare i monumenti della città.
Nominato Accademico di Francia, si fece apprezzare per la genialità del disegno dal duca di Saint-Aignan, rappresentante di Luigi XV presso la Santa Sede, e da allora la sua fortuna non ebbe interruzioni.
Soufflot appartenne a quella generazione di artisti che visse l’età di transizione tra la fine del rococò e l’avvento del neoclassicismo, identificata col nome di epoca Luigi XVI.
Essa rifiutava le stravaganze e gli eccessi ornamentali dell’epoca del precedente sovrano, proponendo un ritorno al classicismo, ricco di spunti tratti dalle architetture dell’antica Grecia.
Attivo fra Lione e Parigi, Soufflot ricoprì l’incarico di primo architetto del Re, dedicando gli ultimi anni della sua vita alla realizzazione del suo capolavoro, la chiesa di Sainte-Geneviève, proclamata nel 1791 santuario laico della nazione con il nome di Panthéon.
La città ideale di Ledoux
Nel 1771 Luigi XVI, re di Francia, incaricò l'architetto Claude-Nicolas Ledoux di progettare una "città ideale" a misura d'uomo.
Il luogo prescelto dal sovrano era una zona nella provincia della Franche-Comté, nel verde della campagna della Francia orientale, non distante da Besançon.
All'epoca del conferimento di questo importante incarico Ledoux era già un architetto celebre: dopo avere iniziato la sua carriera a Parigi, si era infatti fatto apprezzare con alcuni progetti di ponti e di edifici religiosi in Borgogna.
Le sue idee di tecnico dell'età dei Lumi si riflettevano nella concezione di un'urbanistica ben ordinata, al servizio del cittadino, il quale avrebbe dovuto vivere in case dignitose e lavorare in luoghi stimolanti per la sua creatività.
Attorno alle manifatture delle saline di Chaux, presso Arcet-Senans, la "città ideale" si sviluppava in edifici adibiti a usi sociali, quali la casa dell'Unione, la casa del Piacere e il Pacifere, un luogo destinato a risolvere ogni controversia tra gli abitanti.
Al centro delle officine, concepite a forma di semicerchio, era situata la casa del Direttore, un edificio preceduto da un portico classicheggiante con colonne che, con la sua imponenza, doveva trasmettere il senso del rispetto per l'ordine gerarchico.
Le saline si rifornivano di acqua attraverso un condotto lungo ventuno chilometri che le collegava al paese di Salins.
Giunta alla fabbrica, l'acqua veniva riscaldata in grandi depositi grazie al legname del vicino bosco di Chaux. L'impianto rimase in funzione fino al 1895, quando per motivi economici venne abbandonato.
Le saline dell'eccentrico Ledoux, dopo un lungo periodo di incuria, furono restaurate e dichiarate, nel 1986, patrimonio dell'Umanità dall'Unesco.
Boullée
“Dominato da un amore eccessivo per la mia arte mi sono completamente consacrato a essa. Nell'abbandonarmi a questa imperiosa passione mi sono imposto, come legge, di lavorare per conquistarmi la stima pubblica con sforzi utili alla società".
Così scriveva nel Saggio sull'arte Étienne-Louis Boullée, ritenuto l'architetto per eccellenza dell'età dell'illuminismo e della Rivoluzione francese.
Nato a Parigi nel 1728, fin dagli esordi ricevette importanti commissioni private da parte dell'aristocrazia parigina, desiderosa di far ristrutturare le proprie dimore da questo giovane talento.
Tramontata ormai la moda del rococò, l'architettura francese si volgeva adesso, così come la pittura e la scultura, alla classicità e all'antico quali modelli e fonti di ispirazione.
Apprezzato progettista e maestro di un'intera generazione di architetti, durante gli ultimi anni della sua vita Boullée raccolse numerosissimi disegni per il suo Saggio, rimasto inedito fino al 1953.
Il testo espone la filosofia estetica dell'artista, ed è corredato di stravaganti e geniali progetti per edifici pubblici, mai realizzati, i quali, sebbene abbiano contribuito alla sua fama di visionario e di megalomane, lo hanno consacrato tra i più straordinari e fantasiosi interpreti dell'architettura di ogni tempo.
Il Panthéon di Parigi
L’imponente costruzione del Panthéon di Parigi, la cui cupola svetta sui tetti della città, fu iniziata nel 1758 a seguito di un voto fatto dal re Luigi XV.
Ammalatosi gravemente, il sovrano promise di fare edificare un nuovo magnifico tempio sulle rovine della chiesa dell’abbazia di Santa Genoveffa, se gli fosse stata concessa la guarigione.
Ristabilitosi, dette incarico al marchese di Marigny, fratello della sua favorita marchesa di Pompadour, di realizzare il voto.
L’incarico di progettare l’opera venne affidato all’architetto Jacques-Germaine Soufflot (1713-1780), già sovrintendente ai palazzi reali, il quale disegnò un grande edificio a croce greca, lungo oltre 100 metri e largo 84, con un’enorme cupola sovrastante il coro, dove doveva essere collocata l’urna di Santa Genoveffa.
I lavori procedettero molto lentamente a causa delle difficoltà finanziarie della Corona. Morto il Soufflot, la direzione del cantiere passò all’allievo Jean-Baptiste Rondelet (1743-1829) e soltanto nel 1789 la nuova chiesa poté essere consacrata.
Scoppiava intanto la rivoluzione ed il tempio, non più aperto al culto, fu dichiarato nel 1791 santuario nazionale, luogo dove collocare "le ceneri dei grandi uomini dell’epoca della libertà francese". Prese da allora il nome di Panteon, che per gli antichi greci significava "dimora di tutti gli dei".
Furono qui inumate le spoglie di alcuni dei maggiori personaggi dell’Illuminismo e dell’età rivoluzionaria, da Mirabeau a Voltaire, da Rousseau a Marat.
La complessità degli interni, dove le navate sono suddivise da alte colonne con trabeazione continua, sulla quale si impostano le volte e le cupole, nonché la grande cupola centrale a tre calotte sovrapposte e col tamburo cinto da un colonnato, resero l’edificio il simbolo del nuovo classicismo architettonico.
Nonostante le polemiche sorte attorno alla costruzione e le modifiche più volte apportate nel corso degli anni, il Panthéon divenne l’emblema architettonico di un’epoca.
L’impero di Napoleone e tutto l’Ottocento lasciarono importanti testimonianze artistiche nella facciata, dove lo scultore David d’Angers (1788-1856) realizzò un bassorilievo dedicato agli uomini illustri di Francia, nella decorazione della cupola, con la Gloria di Santa Genoveffa, commissionata nel 1811 da Napoleone a Antoine-Jean Gros, e nell’ornamentazione delle pareti con la Storia della santa, realizzata dopo il 1877 da Pierre Puvis de Chavannes (1824-1898).
Sfruttando l’altezza della cupola, nel 1851 il fisico Léon Foucault (1819-1868) effettuò il celebre esperimento col pendolo per dimostrare il movimento rotatorio della terra.
Jules Hardouin-Mansart e il Dôme des Invalides
L’imponente edificio dell’ Hôtel des Invalides fu costruito su volontà di Luigi XIV tra il 1671 ed il 1676 per alloggiare i soldati feriti e invalidi del suo esercito.
Nel corso del Settecento l’immensa struttura architettonica, uno dei più begli esempi di architettura francese barocca, fu ampliata e abbellita da nuovi corpi di fabbrica.
Il complesso, con diciassette cortili e altrettanti chilometri di corridoi e gallerie, fu progettato da Libéral Bruant (1637-1697) e ultimato da Jules Hardouin-Mansart.
La facciata, estesa per centonovantasei metri, ha un aspetto solenne e maestoso. Al centro, si staglia una grandioso portale, mentre due padiglioni ne incorniciano i lati.
La magnifica prospettiva dell’edificio è accentuata dal mezzo chilometro di lunghezza dell’Esplanade, sistemata, tra il 1704 ed il 1720, con viali di tigli e sei grandi tappeti erbosi.
Un giardino delimitato da un fossato occupa lo spazio antistante la costruzione, dove una "batteria trionfale" di cannoni, schierata ai lati dell’ingresso, tuonava nelle occasioni ufficiali.
Il cortile d’onore costituisce il cuore del complesso. Sul lato sud, si trova la chiesa dedicata a San Luigi, destinata ai soldati, con alcune bandiere strappate al nemico appese ai cornicioni.
Nel 1676 Hardouin-Mansart ricevette da Louvois, il potente ministro della guerra, l’incarico di costruire un coro destinato alle funzioni religiose festive della corte. Iniziò così l’edificazione del Dôme, che divenne la cappella privata del Re Sole.
Consacrato nel 1706, esso presenta una sobria facciata a colonne sovrapposte, abbellita da statue. In alto si staglia la grandiosa cupola dorata, ornata da trofei e ghirlande e coronata da una lanterna.
Nella cripta riposano le spoglie di Napoleone Bonaparte, morto il 5 maggio 1821 in esilio sull’isola di Sant’Elena, le cui spoglie vennero riportate in Francia e sepolte con un grandioso funerale il 15 dicembre 1840.
Alla cerimonia assistettero oltre centomila persone, incuranti della bufera di neve che si abbatteva su Parigi. La salma dell’imperatore, chiusa in sei bare deposte in un sarcofago di porfido rosso, poté finalmente riposare sulle rive della Senna, come lo stesso Napoleone aveva desiderato.
Dai giacobini il disegno urbanistico
L’idea di una città moderna, funzionale alla vita quotidiana dei cittadini, che per la prima volta si era concretizzata in Francia nell’epoca della Rivoluzione francese, trovò la propria espressione anche in Italia, dopo che le armate di Napoleone erano giunte sul territorio.
Il triennio giacobino compreso tra il 1796 ed il 1799 e, successivamente, la dominazione francese dal 1809 al 1814 furono teatro di numerose sperimentazioni urbanistiche, che dal disegno di scenografie allestite in occasione delle feste pubbliche celebranti il nuovo regime si estesero ben presto allo spazio reale delle città. Gli artisti impegnati in queste imprese erano quasi sempre convinti assertori delle idee giacobine, alle quali dedicarono un’entusiastica propaganda.
Qualcuno, come lo scultore romano Giuseppe Ceracchi (1751-1801), finì addirittura col farsi travolgere dagli eventi, pagando con la ghigliottina il prezzo delle proprie idee rivoluzionarie.
Il Foro Bonaparte a Milano
L’architetto faentino Giovanni Antonio Antolini, convinto assertore dei principi giacobini, progettò per Milano una vera e propria 'cittadella di servizi', realizzando un’idea, all’epoca, di una sconcertante novità.
Giunto a Milano nel 1798, nell’epoca del dominio napoleonico, in cui la città era divenuta la meta di tutti i giacobini e gli esuli politici d’Italia, convinti sostenitori di quegli ideali di 'Libertà, Fratellanza e Uguaglianza' che avevano animato la Rivoluzione francese, Antolini concepì un nucleo urbano che avrebbe dovuto occupare la zona attigua al Castello Sforzesco, lungo la nuova direttrice stradale del Sempione, in via di realizzazione tra Milano e Parigi.
Gli edifici progettati dall’architetto erano quattordici, tra i quali alcuni destinati a scuole, altri alla Borsa, alla Dogana, al Teatro, alle Terme, al Pantheon, secondo un modello strutturale ripreso direttamente dal mondo antico romano.
L’ambizioso progetto fu inizialmente finanziato da Napoleone, il quale poi revocò l’ordinanza, nonostante gli unanimi consensi suscitati dai disegni.
Nel 1802 il Primo Console francese preferì assicurarsi i favori del partito dei moderati, disorientando così tutti coloro, tra i quali l’Antolini, che avevano creduto e sperato in un rinnovamento radicale della società.
Fischer von Erlach
Da Roma, città nella quale era maturato a partire dal terzo decennio del Seicento, lo stile barocco si diffuse ben presto in tutta Europa, assumendo caratteristiche peculiari, legate alle diverse situazioni nazionali.
Il consolidarsi dei grandi stati nazionali assolutistici contribuì alla fortuna di questo stile, che si configurò come una grande civiltà dell'immagine.
L'esempio francese, costituito per iniziativa di Luigi XIV dall' opera di geniali architetti come François Mansart e Jules Hardouin Mansart, penetrò rapidamente nelle altre città europee, modellando soprattutto il volto di un'altra grande capitale, Vienna.
Sorse qui alla fine del Seicento una straordinaria civiltà architettonica che ebbe tra i suoi maggiori protagonisti ]ohann Bernhard Fischer von Erlach e ]ohann Lucas von Hildebrandt.
Formatisi entrambi in Italia sullo studio delle opere del Bernini e del Borromini, i due architetti seppero procedere autonomamente, sviluppando un proprio linguaggio costruttivo che esaltava gli effetti decorativi tipici della tradizione nordica, giungendo a soluzioni di grande originalità, le quali, per leggerezza e varietà di effetti, preludono alla nuova stagione del rococò.
Soprattutto nel campo dell'edilizia religiosa, l'influenza dell'architettura di Fischer von Erlach si diffuse nel corso della prima metà del Settecento anche in altre aree dell'impero asburgico e del mondo tedesco, inaugurando in Boemia e Baviera la grande stagione di questo stile.
L'unica chiesa da lui costruita a Vienna, la Karlskirche, divenne il simbolo architettonico sacro della Mitteleuropa.
Dominikus e ]ohann Baptist Zimmermann
Nello splendido scenario delle montagne della Baviera sorge la piccola chiesa di Wies, costruita a partire dal 1745 a opera di Dominikus e ]ohann Baptist Zimmermann, due fratelli che con la loro opera crearono alcuni tra i più alti capolavori del rococò tedesco.
Lavorando sotto la direzione di Dominikus, architetto, ]ohann Baptist decorò l'interno della chiesa con pitture e stucchi dai tenui colori che ne esaltano la struttura.
Il rosa, il verde, il bianco e il blu, assieme al bianco e all'oro degli stucchi, dominano l'ornamentazione, contribuendo a rendere l'atmosfera magica e irreale.
La grazia delle forme rococò pervade l'architettura della navata, di forma ovale, le complesse decorazioni in stucco trattato con effetti di trasparenza, le nicchie, le balconate, mentre i soffitti si aprono su luminosi sfondati di cielo dove volteggiano divinità e santi in gloria.
Architettura e decorazione si fondono in un'unica espressione artistica volta a celebrare la miracolosa immagine della Flagellazione di Cristo per la quale la chiesa fu edificata.