Chi, meglio di Haydn, che ne scrisse ben 106, può fregiarsi del titolo di "Padre della sinfonia", già tributatogli in vita? Certo, nell’evoluzione di questo genere musicale non possono essere dimenticati gli apporti della scuola di Mannheim e di altri compositori austriaci meno celebri come Monn, Wagenseil, Gassmann e Dittersdorf.
Tuttavia, Haydn, nel cui lavoro l’aspetto qualitativo soverchia quello quantitativo, vanta il merito, condiviso con Mozart, d’aver portato alla maturità la sinfonia, dedicandole un accanito lavoro di messa a punto della forma-sonata.
Nelle sue composizioni, distribuite nell’arco di ben trentasei anni, evolutesi sino alla perfezione delle sinfonie "parigine" e "londinesi", spicca un’innata vocazione realistica al racconto e al bozzetto, in una sintesi di cultura e di vena popolaresca, di ricerca intellettuale e di sentimenti borghesi.
Le concise sinfonie composte sino al 1760, presso il conte Morzin, in tutto una quindicina, sono perlopiù in tre movimenti, sebbene prenda ad affermarsi lo schema allegro-adagio-minuetto-allegro che s’imporrà nel prosieguo.
I primi anni presso gli Esterházy, quando Haydn ha a disposizione un organico degno di questo nome, vedono nascere, fra il 1761 e il 1765, una ventina di sinfonie, non tutte in quattro movimenti: si tratta di opere di sperimentazione, molto diverse l’una dall’altra, in cui sporadicamente appare ancora la fuga. Successivamente, fino al 1774, pur dedicandosi anche con fervore ad altri generi musicali, Haydn perdura nello scrivere sinfonie con alacrità, partorendone venticinque.
La scrittura s’intensifica sul piano espressivo, le dimensioni crescono, la ricerca stilistica e formale si approfondisce, mentre si registra un ritorno della polifonia e un uso frequente del modo minore. È l’età dello Sturm und Drang, e molte sono le composizioni di Haydn che ne palesano l’influsso.
La formazione musicale
Quando Franz-Joseph Haydn nasce a Rohrau, nel 1732, da una modesta e numerosa famiglia contadina (anche il fratello minore Michael intraprenderà la carriera di compositore), Bach, a Lipsia, sta ultimando la sua Messa in si minore: alla sua morte, nel 1809, mentre Vienna è occupata dalle armate napoleoniche, Mozart è già scomparso da diciott’anni e Beethoven ha già scritto la Quinta e la Sesta sinfonia.
La sua lunga vita attraversa l’era del dispotismo illuminato e conosce l’età della rivoluzione borghese fino a veder sorgere e splendere l’astro di Napoleone.
L’interminabile carriera musicale, che copre circa mezzo secolo, lo rende protagonista o testimone di tutto ciò che di significativo accade in questo periodo in ambito musicale.
La sua bella voce di fanciullo fu il tramite che lo legò alla musica: a 6 anni fu inviato nella scuola della vicina Hainburg, dove, due anni dopo, fu scoperto dal maestro di cappella Georg Reuter, che lo introdusse presso la scuola di canto corale della cattedrale di Santo Stefano a Vienna, dove ebbe i primi rudimenti di canto, clavicembalo e composizione.
Si dice che qui, per la purezza dei mezzi vocali, rischiasse persino la castrazione.
Benché congedato dal coro e dall’annesso convitto al momento della rottura della voce, quanto aveva appreso e il suo naturale talento gli furono sufficienti per intraprendere la professione di musicista: giunto alla musica in qualità d’esecutore, Haydn sarebbe stato tuttavia uno dei pochi grandi del proprio tempo a non esserne un interprete.
Paradossalmente, trovarsi in mezzo a una strada a diciott’anni fu la fortuna del giovane Franz-Joseph che, oltre a dare lezioni di musica e suonare in piccoli complessi, ebbe modo di cimentarsi nelle prime composizioni per committenti aristocratici, guadagnandosi la simpatia del Metastasio e soprattutto di Nicola Porpora, uno degli ultimi esponenti dell’opera seria all’italiana, che gli impartì alcune lezioni di canto e composizione.
Coi primi quartetti per archi, scritti nel 1757, la fama di Haydn presso i circoli musicali viennesi prese a consolidarsi.
Al servizio del principe
Nel 1758, a ventisei anni, Haydn ha accumulato sufficiente esperienza e professionalità per entrare al servizio del conte Morzin.
Tuttavia, trascorsi tre anni, un altro incarico, ben più prestigioso e soprattutto decisivo per la sua carriera, lo attende: quello di secondo maestro di cappella presso una delle più illustri famiglie dell’aristocrazia asburgica, gli ungheresi Esterházy, al cui servizio entra nel 1761, certo senza immaginare che vi resterà per un trentennio.
Il capofamiglia, il principe Nikolaus detto "il Magnifico", generale dell’esercito imperiale, è un patito della musica e un valente suonatore di baryton, una sorta di viola da gamba con corde di risonanza, strumento "estintosi" nel corso dell’Ottocento.
Franz-Joseph, dopo averlo servito nel suo palazzo viennese e nella residenza estiva di Eisenstadt, lo segue a Esterháza, una piccola Versailles eretta dal munifico principe presso Süttör, a sud del lago di Neusiedler, nel 1766, anno in cui, scomparso il suo bisbetico predecessore, Haydn diviene primo maestro di cappella. Nemmeno nei suoi più rosei sogni il piccolo cantore del coro di Santo Stefano avrebbe potuto immaginare d’avere un giorno a propria disposizione due teatri ed un’orchestra composta di suonatori e solisti di vaglia, stipendiati da un "datore di lavoro" esigente ma generoso.
Per soddisfare la sete di musica del principe, oltre a dirigere, concertare e adattare opere altrui, Haydn scrive pressoché a getto continuo: ma, grazie al suo talento, la produzione è tutt’altro che dozzinale e le sue composizioni si diffondono rapidamente per l’Europa, prima manoscritte e quindi a stampa.
Nel 1780 la sua rinomanza è tale da assicurargli richieste di nuove musiche e commissioni da varie parti del continente, che soddisfa col beneplacito del lungimirante Nikolaus.
Nell’inverno del 1781, a Vienna, conosce Mozart e si lega d’amicizia al giovane genio di Salisburgo: un sodalizio destinato ad avere profondi effetti sulla musica di entrambi.
Le sinfonie parigine
Nel corso degli anni Ottanta, dopo tante sinfonie, il suo mecenate, principe Esterházy, che dispone tra l’altro di ben due teatri, s’infatua dell’opera buffa all’italiana: e Haydn, diligente, l’accontenta, pur continuando a comporre sinfonie e quartetti destinati, col grazioso beneplacito dell’augusto datore di lavoro, ad altri committenti, perlopiù editori di Vienna, Parigi e Londra.
Scrivere musica strumentale non più per gli orchestrali di Esterháza, ma per un pubblico anonimo di esecutori, dilettanti o professionisti, ha l’effetto di migliorare la qualità della sua ispirazione. Scritte fra il 1785 e il 1786, le sei sinfonie parigine (i cui numeri d’opus vanno dall’82, detta L’orso, all’87, ma che non risultano composte nell’ordine), commissionate da Claude-François-Marie Rigoley, conte d’Ogny, promotore dei concerti della Loge Olympique di Parigi, si collocano all’inizio d’una serie di 23 capolavori, cui appartengono anche le successive sinfonie londinesi, che costituiscono, con le ultime sei sinfonie di Mozart, l’apice del classicismo viennese.
Anche le cinque sinfonie dalla n. 88 alla n. 92 (l’arcinota Oxford), composte fra il 1787 e il 1789, sono destinate a Parigi.
La sinfonia n. 92 in sol maggiore, Oxford, l’ultima opera composta a Esterháza (1789), scelta da Haydn per inaugurare trionfalmente la prima stagione londinese nel 1791, sarà eseguita per solennizzare il conferimento all’autore della laurea honoris causa a Oxford, donde il titolo.
È una delle sue più belle e coerenti, contraddistinta da un’eccezionale complessità e raffinatezza compositiva: inizia con un’introduzione in adagio, seguita da un allegro spiritoso di respiro epico, grazie ad una prodigiosa amplificazione della forma-sonata, che Haydn sostiene con maestria, senza cadute né stanchezze.
Uno strumento del passato: il baryton
Detto anche "viola di bordone", il baryton era una sorta di viola da gamba provvista di corde metalliche supplementari, che vibravano per simpatia con quelle suonate dall’archetto o pizzicate dal pollice della mano sinistra dell’interprete, creando effetti di risonanza ed emettendo suoni analoghi a quelli del liuto o della cetra.
Lo strumento, prossimo a cadere definitivamente in desuetudine, fu assai caro al principe Nikolaus Esterházy, che si dilettava a suonarlo, al punto di richiedere al proprio solerte musicista ben 175 composizioni, scritte fra il 1765 e il 1775 ca.
Si conoscono 126 trii di Haydn per baryton, perlopiù con viola (raramente violino) e violoncello, composti per la maggior parte fra il 1765 e la metà del 1768, gli ultimi aggiunti verso il 1772-73, prima che l’interesse del principe si affievolisse e quello del compositore si volgesse definitivamente ai suoi amati quartetti per archi.
Si conoscono anche 6 composizioni per due baryton, scritte fra il 1765-66 e il 1768-69, dodici pezzi per due baryton e un basso (1765-66), un quintetto per baryton, due corni, viola e basso.
I lavori più ricchi dal punto di vista della strumentazione, quasi si trattasse d’una piccola orchestra di solisti, sono però i sette ottetti per baryton, due corni, due violini, viola, violoncello e contrabbasso del 1775, in cui il genere del divertimento è nobilitato da un trattamento moderno, improntato alle espressività tipica dello Sturm und Drang.
Accanto alle composizioni dedicate all’augusto protettore, figurano altre musiche da camera scritte negli anni 1789-90 per un interprete di sangue blu, anzi reale, e sempre per uno strumento "estinto": si tratta degli otto notturni per "lira organizzata", la ghironda dotata di piccole canne da organo, cara al re di Napoli Ferdinando IV, "virtuoso" dello strumento, cui Haydn aveva già dedicato nel 1786-87 alcuni concerti.
La "lira organizzata", simile nella forma ad una tozza chitarra, si suonava girando una manovella che comandava una ruota di legno che, a sua volta, faceva suonare per sfregamento, al pari d’un archetto, una serie di corde, il cui suono era modulato premendo dei tasti corrispondenti ad altrettanti accordi.
La manovella azionava anche dei piccoli mantici che immettevano aria in altrettanti tubetti, dai quali uscivano suoni acuti paragonabili a quelli d’una ciaramella.
Mozart nasce e passa parte della sua vita a Salisburgo, ma fin dall’infanzia, e quindi dai primi anni della sua formazione, viaggia in lungo e in largo attraverso la Germania, l’Austria, la Francia, l’Italia e l’Inghilterra. Dapprima come ragazzo prodigio, poi come giovane compositore che cerca faticosamente il suo ruolo nella società del tempo.
Entra in contatto con i potenti ed è deciso a farsi notare; ma è sgradito a Maria Teresa d’Austria, la benevolenza che Giuseppe II gli concede è distratta e Leopoldo II lo ignora e lo isola.
Nella sua breve vita, egli ha modo di apprezzare e di essere apprezzato dai maggiori ingegni musicali del suo tempo: il teorico padre Martini, l’insegnante; Haydn, l’amico quasi fraterno; Lorenzo da Ponte, il geniale librettista.
Mozart riceve idee e stimoli dagli ambienti illuministici e da quelli progressisti della massoneria e li elabora in strutture musicali a volte molto complesse, eppure sempre comprensibili a tutti: nel Flauto magico, è stato detto, la musica "colta" e la musica popolare si incontrano per l’ultima volta.
L'enfant prodige
"L’ammirazione risvegliata nell’animo di tutti gli ascoltatori dall’abilità, mai vista né ascoltata a un simile livello, dei due figli del vice Kapellmeister dell’arcivescovo-principe di Salisburgo, Leopold Mozart, ha fatto sì che il concerto sia stato replicato tre volte, invece dell’unica manifestazione progettata.
A seguito di questa ammirazione universale, unita all’espresso desiderio dei grandi intenditori e appassionati, di questa città, oggi martedì 30 agosto alle sei di sera nella sala Scharf avrà luogo un ultimo concerto, questa volta irrevocabilmente l’ultimo.
Nel concerto appariranno la ragazzina, dell’età di dodici anni, e il ragazzino, di sette anni. Entrambi suoneranno concerti sul clavicembalo o sul pianoforte, la ragazza suonerà anche pezzi difficili di celebri autori e il ragazzo eseguirà un concerto per violino oltre ad accompagnare al pianoforte le sinfonie.
Con un tappetino verranno coperti i tasti del pianoforte, e il ragazzo suonerà così perfettamente come se li vedesse davanti agli occhi; inoltre riconoscerà a distanza, senza minimo errore, tutti i suoni che saranno prodotti, soli o in accordi, sul pianoforte o su qualsiasi strumento immaginabile, ivi compresi le campane, i bicchieri, i carillons e così via.
Infine, improvviserà liberamente (tanto a lungo quanto lo si vorrà ascoltarlo, in tutte le tonalità che gli si vorrà proporre, anche le più difficili) non soltanto sul pianoforte, ma anche sull’organo, in maniera da mostrare che sa anche suonare l’organo, strumento che si suona in maniera del tutto diversa dal pianoforte.
Il prezzo sarà di un tallero a persona.
I biglietti sono in vendita all’Albergo del Leone d’Oro" Al concerto assistette anche un ragazzo, Wolfgang Goethe, che quasi settant’anni dopo, nel 1830, ricordò: "L’ho visto, ragazzo di sette anni, quando dette un concerto durante un suo viaggio.
Io allora avevo circa quattordici anni, e mi ricordo ancora perfettamente il piccolo gentiluomo, con la parrucca e la spada".
La sinfonia Jupiter
L’estate del 1788 vede nascere le ultime tre sinfonie di Mozart: la n. 39 in mi bemolle maggiore (K543), la n. 40 in sol minore (K550) e la n. 41 in do maggiore (K551), detta Jupiter. È quest’ultima, forse, la più celebre sinfonia mozartiana, nota per la sua solarità che ben esprime la divina allegria del compositore.
Con essa Mozart pone un punto fermo su un genere musicale cresciuto praticamente con lui: vent’anni prima Wolfgang bambino incontrava la sinfonia classica appena nata, durante i suoi viaggi fra Londra e l’Italia; ora, egli stesso la porta con la Jupiter al suo massimo sviluppo.
Il virtuosismo compositivo si spinge al limite nel finale "molto allegro", in cui Mozart sintetizza fuga e forma-sonata in modo così perfetto da far sì che negli anni quest’opera sia stata conosciuta anche come "Sonata col finale a mo’ di Fuga": un errore, dal momento che ciò che il finale presenta è non una fuga in senso proprio, ma una forma-sonata ricca di passaggi fugati.
Al di là delle considerazioni tecniche, è l’equilibrio magistrale dei moti dell’anima che qui colpisce: Mozart organizza il susseguirsi dei temi e dei pensieri musicali nonché, più in grande, le atmosfere dei vari movimenti (allegro vivace, andante cantabile, minuetto allegretto e molto allegro), alternando momenti musicali gioiosi e ricchi di luminosità ad altri di riflessione.
I concerti per pianoforte
Il pianoforte, strumento del quale Mozart fu raffinato interprete, rappresenta il principale destinatario della sua produzione, accompagnandone tutta la carriera: ad esso sono dedicati 23 concerti (dei quali 17 scritti a Vienna), il cui numero sale a 30 se si contano anche i tre "concerti" dell’op. K107 del 1765, in realtà adattamenti di sonate di Johann Christian Bach, conosciuto a Londra in quell’anno, con un rudimentale accompagnamento di due violini e basso, e i quattro del 1767 (K37, K39, K40 e K41), anch’essi adattamenti di pagine di Bach e altri musicisti.
Quando, a 17 anni, scrive il suo primo concerto "originale", il n. 5 in re maggiore (K175), Wolfgang ha un duplice punto di riferimento: da una parte, la scuola tedesca incarnata da Carl Philipp Emanuel Bach, che assegna pari dignità ad orchestra e solista, dall’altra, l’indirizzo viennese e londinese, impersonato da Wagenseil e J.Ch. Bach che manifesta una spiccata predilezione per lo strumento protagonista.
Anche se nel n. 5 la seconda opzione pare prevalere, l’orchestra è trattata come vero e proprio partner del solista, e non come mero supporto: sin da questo concerto, inoltre, contrariamente ai dettami dello "stile galante", Mozart mostra di non temere i movimenti lenti, collocati in posizione centrale, cui riserverà vieppiù l’espressione di toni tragici ed elegiaci.
Dei tre concerti salisburghesi del 1776 (K238, K242 per tre pianoforti e K246), benché destinati a "dilettanti" e perciò ancora permeati di reminiscenze galanti, l’ultimo esibisce un’orchestrazione del tutto originale e un prolungato confronto fra solista ed insieme.
Un ininterrotto dialogo tra pianoforte e orchestra domina il bel concerto n. 9 in mi bemolle maggiore (K271) del gennaio 1777, detto Jeunehomme dal nome della pianista parigina la cui presenza a Salisburgo fu l’occasione per comporlo. Qui Mozart, scrivendo per una professionista, è libero per la prima volta d’imporre la propria personalità, rivelando una maturità di scrittura che sa fondere i tre movimenti in un tutto unico: la stessa cadenza del solista non è mera esibizione virtuosistica, ma parte integrante del rispettivo movimento e passaggio tematico insopprimibile.
Dopo il concerto n.10 in mi bemolle maggiore per 2 pianoforti (K365) del 1779, l’ultimo scritto a Salisburgo, particolarmente caro all’autore, il primo concerto viennese è il n. 11 in fa maggiore (K413) del 1782, semplice e vivace, forse per compiacere l’aristocrazia giuseppina, pubblicato dallo stesso autore colla formula della sottoscrizione.
I concerti viennesi di Wolfgang sono finalizzati alle sue esibizioni nelle sale pubbliche più prestigiose della capitale, dove la domanda di questo genere musicale conosce una vera impennata, come la Augarten-Saal o la Mehlgrube, e in sale private come quella, frequentata dai più bei nomi dell’alta società, di casa von Swieten.
Fra il 1784 e la fine del 1786, Mozart scriverà ben 12 concerti, fra i quali si contano veri capolavori, quali il n.19 in fa maggiore (K459) del dicembre 1784, dal ritmo gioioso e irrefrenabile; il celebre n.20 in re minore (K466) del febbraio 1785, uno dei più eseguiti, pervaso da un sentimento di tragica grandezza; il n.21 in do maggiore (K467) del marzo dello stesso anno e il n.25 in do maggiore (K503), pagina grandiosa e magnifica, che chiude trionfalmente questa stagione suprema del concertismo mozartiano.
Il concerto n. 27 in re maggiore K537 del febbraio 1788, detto "dell’incoronazione" perché eseguito - a quanto pare - il 15 ottobre 1790 per l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II a Francoforte e che pare segnare un ripiegamento verso il gusto galante settecentesco, vanta però uno smalto e una grazia tali da farne uno dei più eseguiti.
L’avventura si conclude, dopo tre anni, con il n.27 in si bemolle maggiore (K595) del gennaio 1791, che racchiude ciò che è stato definito "un miracolo d’ambiguità", a mezza via tra lacrime e sorriso, una ritrovata serenità che, a pochi mesi dalla morte, forse altro non è che rassegnazione.
Mozart, il primo musicista a concepire concerti per pianoforte e orchestra strutturati sinfonicamente, prefigura le vie del concerto moderno. I suoi lavori sono il riflesso d’una evoluzione estetica fondata su di un’espressione sempre più ricca e sul totale dispiegamento delle risorse drammatiche della musica, ma anche di un lungo e complesso cammino interiore.
I concerti per violino
La produzione per violino di Mozart è quella su cui più profondamente incise la lezione del padre Leopold, ottimo violinista presso la corte vescovile di Salisburgo. La scuola del virtuosismo violinistico italiano, assorbita durante i viaggi dell’infanzia, fece il resto.
Dopo il pianoforte, è il violino lo strumento che maggiormente stimola la creatività di Mozart concertista e concertatore, quello che meglio risponde alle esigenze di cantabilità flessibile e solare della sua melodia. I concerti per violino propriamente detti sono 7, anche se sull’autenticità degli ultimi due si nutre qualche dubbio: i primi cinque arrivano tutti nel 1775, fra aprile e dicembre.
Fra essi spicca per bellezza e originalità il notissimo n. 5 in la maggiore (K219), col rondeau finale nel quale qualcuno vuol vedere un trattamento "alla turca", per compiacere il gusto dell’epoca per l’esotismo, ma che pare evocare piuttosto cadenze di czarde ungheresi, simili a quelle che echeggiano in certi finali di sinfonie di Haydn.
Anche nei concerti per violino, sebbene meno innovativi di quelli per pianoforte, Mozart non manca di lasciare la propria impronta indelebile: una volta di più, il suo genio, affrontato un genere, l’ha smontato e rimontato in una configurazione che niente ha a che vedere con quanto maturato in precedenza.
Il ''Requiem'' incompiuto
Le misteriose circostanze in cui Mozart ricevette la commissione per questo Requiem in re minore K626 e il fatto che il compositore l’abbia lasciato incompiuto morendo prematuramente aggiungono a questa composizione una suggestione e un fascino di tipo romantico.
Storici e critici fecero a gara per alimentare l’aura di leggenda che circondava il Requiem: ma fu Franz Xaver Niemetschek che nel 1808, pubblicando la biografia di Mozart, scrisse per primo del "misterioso straniero" che avrebbe commissionato l’opera al compositore già malato.
Il Requiem è scritto per soprano, contralto, tenore, basso e coro accompagnati da un organico strumentale che conta due corni, altrettanti fagotti e trombe, timpani, tre tromboni, archi e organo. Mozart, che già scriveva sul letto di morte, spirò all’ottava battuta del Lacrimosa.
Sulla base dei suoi appunti, il Requiem venne completato, all’indomani della morte del maestro, dal suo allievo Francesco Saverio Süssmayr che ne scrisse Sanctus, Benedictus e Agnus Dei. La prima esecuzione del Requiem a Praga, durante la liturgia di commemorazione, il 14 dicembre 1791, a nove giorni dalla morte di Mozart, fu ascoltata da quattrocento persone.
Due giorni dopo, per volontà dell’impresario e primo interprete di Papageno nel Flauto magico, Emanuel Schikaneder, il Requiem veniva eseguito a Vienna.
Con quest’opera la musica sacra del Settecento conosce la sua espressione più alta, attraverso pagine commoventi e immediate, in cui la musica spazia dagli accenti celesti di soprani e violini agli abissi profondi della coralità maschile che ancora una volta riscoprono e rielaborano la lezione di Gluck.