Per tutto il Medioevo, viaggiare per via d'acqua fu più veloce e agevole che viaggiare utilizzando percorsi terrestri. A differenza della navigazione fluviale, quella marittima aveva, poi, il vantaggio di essere esente dai pedaggi. Cuore del commercio europeo, il Mediterraneo, disseminato di isole che facilitavano la navigazione, era il mare più frequentato dagli armatori e dai marinai dell’Occidente cristiano. Non c’era però solo il vecchio Mare Nostrum.
Le imbarcazioni medievali si spingevano, infatti, nei mari del Nord minacciati dai ghiacci, sulle acque dell’Atlantico, sfidando le forti maree, e nell’Oceano Indiano battuto dai monsoni. Mai, in ogni caso, il desiderio di guadagno e il gusto dell'avventura cancellavano completamente la paura del viaggio, il cui felice esito era sempre affidato alla benevolenza delle potenze celesti.
All'inizio del secondo millennio, la situazione nel Mediterraneo era in rapida evoluzione. Quello che, dal VII secolo, era stato un mare dominato dalla formidabile marineria araba e che aveva costretto sulla difensiva anche le flotte bizantine, cominciava a vedere il sorgere di nuove potenze marittime. I Normanni, dopo una lunga fase di azioni di saccheggio e di pirateria, s'installarono nell'Italia meridionale, cacciandone gli Arabi e i Bizantini.
I pisani e i genovesi, già consapevoli della loro forza economica e militare, smantellarono, una dopo l'altra, le basi saracene nel Mediterraneo occidentale. Schiere di cavalieri normanni, franco-lorenesi e provenzali in cerca di gloria e di terre, cui si unirono migliaia di poveri capitanati da predicatori fanatici, inaugurarono, in Oriente, l'epopea delle crociate.
L'incremento degli scambi avvenuto dopo il Mille in tutto l’Occidente non si sarebbe mai verificato senza il decollo del commercio marittimo. Legata soprattutto al Mediterraneo, che trovava nella penisola italiana il suo fulcro, la circolazione delle merci ricevette un primo impulso dall'attività delle città costiere che, anche nei secoli precedenti, avevano mantenuto un livello minimo di relazioni commerciali con l’impero bizantino e con l’Islam. Sull’Adriatico, continuava la fortuna di Venezia, crocevia fin dall’età carolingia dei traffici con il Levante e che, con un privilegio del 1082, ottenne dall’imperatore bizantino Alessio Comneno, in cambio di assistenza navale, il diritto di commerciare nei territori dell’impero, in regime di esenzione fiscale. Nel Tirreno meridionale, erano, invece, attive Napoli, Gaeta, Salerno e soprattutto Amalfi; fino alla conquista normanna (1073), che ne spense lo slancio; quest’ultima, con il suo singolare ceto di marinai-contadini, costituì un centro di scambi vivaci soprattutto con l’Egitto. La decadenza di Amalfi coincise con l’affermazione di due città portuali poste nel Tirreno superiore: Genova e Pisa. A partire dall’XI secolo, esse furono in grado di lanciare con successo le loro flotte, alla riconquista delle basi mediterranee in mano ai musulmani. Nel 1015-1016, le navi delle due città, con un'azione congiunta, intervennero in Sardegna per scongiurare la creazione di uno Stato tirrenico islamico; nel 1087, conquistarono il porto tunisino di Madhia, considerato uno dei principali centri del commercio del Mediterraneo e, nel 1092, attaccarono Tortosa. Intanto, i pisani avevano colpito, nel 1034, la città africana di Bona e avevano saccheggiato, nel 1064, il porto di Palermo. La prima crociata (1096-99) offrì ai mercanti delle due città tirreniche la possibilità di acquisire nuove basi economiche e territoriali per i loro traffici. Tra il 1113 e il 1115, infine, Pisa organizzò una grande spedizione contro le Baleari, sede di un'attivissima pirateria islamica che, dopo la sottomissione, furono costrette a stipulare un oneroso trattato commerciale.
Tra XII e XIV secolo, si verificarono, nelle tecnologie nautiche e nell'arte della navigazione, tali e tanti cambiamenti da rendere possibile quel deciso salto di qualità, che gli storici hanno definito come "rivoluzione nautica". Questi progressi furono indubbiamente favoriti dalle influenze provenienti, per il tramite di Venezia, dagli imperi marittimi di Bisanzio e dell'Islam.
Il fattore decisivo del mutamento sembra però essere stato l'aumento della domanda di trasporto di uomini e di merci, espressione della più generale espansione economica dell'Occidente. A questa rinascita degli scambi, d'altra parte, la rivoluzione nautica assicurò le potenzialità di un’ulteriore crescita.
Nel Mediterraneo basso-medievale, esistevano due fondamentali tipi di imbarcazione: la galea, lunga e sottile, che utilizzava prevalentemente la spinta dei rematori, e la nave vera e propria (navis in latino, nef in francese, nau in catalano), tondeggiante e panciuta, che sfruttava unicamente la forza del vento. Più veloce e con una possibilità di carico minore, la galea era particolarmente adatta per la guerra, ma non mancano testimonianze della sua utilizzazione a fini commerciali.
I banchi, dove sedevano i rematori, erano disposti su un unico ordine, a file di un banco per ogni lato. Fino alla fine del XIII secolo, i rematori erano due per banco ma, successivamente, essi divennero tre, modifica che fu resa possibile dall'ampliamento dello scafo. La stessa capacità di carico progredì notevolmente fino a raggiungere, alla fine del Medioevo, le 200 tonnellate. Anche le imbarcazioni a vela videro crescere di gran lunga, fra XII e XIII secolo, le loro dimensioni. Si trattava di navi tonde a due e, talvolta, a tre ponti, meno veloci ma più capienti, che erano costruite anche in luoghi distanti dai cantieri, permettendo l'utilizzazione di tutti i tipi di legno necessari all'allestimento dei diversi componenti.
La roccaforte, una nave veneziana del Duecento, che, peraltro, non era, all'epoca, considerata grandissima, misurava più di 38 metri di lunghezza, oltre 14 di larghezza e con una stazza netta di 600 tonnellate. Un progresso significativo fu il passaggio, sicuramente documentato nelle imbarcazioni più grandi, dall'uso esclusivo di vele di forma triangolare (dette "latine") ad una forma di velatura mista. L'albero maestro era, infatti, riservato a una grossa vela quadra mentre l'albero posteriore e quello anteriore (quando c'era) continuavano ad issare vele triangolari più piccole.
Grazie a testimonianze iconografiche risalenti agli anni Quaranta del XIII secolo, inoltre, sappiamo che i diversi tipi di navi (cocche, caracche, caravelle) vennero munite di un timone incernierato al centro della poppa, che andava a sostituire i due grossi remi laterali pendenti all'indietro, tipici del Mediterraneo, e il timone laterale unico, caratteristico delle imbarcazioni dei mari settentrionali.
Se è vero, come è stato efficacemente rilevato, che l'arte della navigazione consiste "nell'arte di trovare un porto", ossia nella capacità di stabilire con precisione una rotta e seguirla celermente, nei secoli XIII e XIV, ciò avveniva in modo più agevole che in passato. I passi avanti compiuti nella governabilità delle navi, grazie alla combinazione di nuovi sistemi di velatura e di un nuovo tipo di timone, favorirono il perfezionamento e la migliore utilizzazione dell'ago calamitato.
Già noto alla fine dell'XI secolo, questo si sviluppò, verso la fine del XIII secolo, in una vera e propria bussola, ossia in una sorta di scatola all'interno della quale era fissato un ago magnetico, che aveva la capacità di rivolgersi sempre verso nord. Sulla base della scatola, poi, era rappresentata una rosa dei venti divisa in numero crescente di riquadri (prima otto, poi dodici e anche trentadue), la quale permetteva ai marinai di conoscere, con una certa approssimazione, la porzione di mare nella quale si trovavano. Nel XIV secolo, furono anche inventate le "tavole di martellio" (o "di martelogio"), che permettevano di determinare la risultante rettilinea di una serie di percorsi a zig-zag: un procedimento che apriva la strada ad una stima più precisa della posizione della nave. Questa innovazione permise di proseguire la navigazione anche durante i mesi invernali, prima sospesa per l'impossibilità di orientarsi seguendo il sole e le stelle.
Intanto, grazie all'attività di vere e proprie "scuole" presenti a Pisa, a Venezia, a Genova e a Maiorca, si veniva sviluppando la produzione di carte marittime, che forniva ai naviganti uno strumento preziosissimo. Ad esso si affiancavano sempre più spesso i "portolani", appositi manuali che contenevano accurate descrizioni dei litorali, dei porti, delle rotte, tanto più indispensabili per un tipo di navigazione che - come quella di questi secoli - si svolgeva principalmente in prossimità delle coste.
Nelle descrizioni dei viaggiatori occasionali - com'erano i pellegrini in Terra Santa, i crociati o i mercanti alle prime armi - la navigazione assumeva il colore di un'avventura rischiosa e disagevole. E in buona parte lo era davvero. Scarsissimo, a bordo delle navi, era lo spazio individuale, continua l'esposizione alle intemperie, frequenti le malattie dovute alla cattiva alimentazione e alla mancanza d'igiene.
Abbastanza elevata era, poi, la probabilità di incontrare pirati e corsari o quella di fare naufragio, e non solo per le avverse condizioni meteorologiche: un basso fondale, un urto contro gli scogli, il passaggio in uno stretto difficile potevano provocare il disastro. Un faro ben situato, nelle notti senza luna e senza stelle, poteva salvare centinaia di vite. Per la sua costruzione, talvolta, i mercanti disponevano lasciti nei loro testamenti.
Viaggiare per mare significava organizzarsi. L’iniziativa della costruzione di una nave, la proprietà di essa e la responsabilità della sua utilizzazione erano, infatti, funzioni ben distinte, che dovevano essere controllate da regolari contratti. Dalla documentazione sappiamo che la proprietà, quando non era pubblica, era generalmente divisa in quote (parti o carati) e ripartita fra diversi proprietari.
La responsabilità sia della conduzione commerciale sia di quella più propriamente nautica ricadeva, invece, su un unico armatore, il patronus, che era, talvolta, anche comproprietario della nave. I marinai, compresi i rematori delle galee, erano, nel basso Medioevo, dei salariati liberi (solo più tardi avrebbero fatto la loro comparsa i carcerati e gli schiavi), che intraprendevano questo lavoro duro e rischioso, seguendo tradizioni locali e familiari o, semplicemente, per desiderio di avventura e di guadagno.
Fra il XII secolo e la prima metà del XIV, in effetti, i loro salari erano decisamente superiori a quelli che un lavoratore, anche qualificato, avrebbe potuto percepire a terra. Inoltre, ogni marinaio poteva, in virtù del cosiddetto "diritto di paccottiglia", portare con sé una piccola quantità di merci da vendere o scambiare, una volta che la nave fosse giunta a destinazione.
Diritti e doveri dei marinai erano normalmente fissati dalla legislazione delle città marittime. È interessante notare come l'autorità che il patrono esercitava su di loro non fosse affatto assoluta. Un tratto tipico del diritto marittimo mediterraneo era l'idea della nave come una comunità di destino, alla gestione della quale dovevano partecipare, soprattutto nei viaggi commerciali, tanto i mercanti quanto i marinai.
Come risulta da testi quali la Tavola di Amalfi e il catalano Consolat de mar, le decisioni relative al carico o ai cambiamenti delle destinazioni dovevano essere prese con la partecipazione di tutti gli imbarcati, secondo il principio della maggioranza.
La pirateria marittima è vecchia quanto la storia della navigazione e assai difficile da distinguere dalla guerra di corsa. È vero che, con la prima, s'intende una forma di banditismo che colpisce indiscriminatamente ogni imbarcazione, mentre, con la seconda, un'operazione di guerra autorizzata e perfino incoraggiata dalla pubblica autorità, ma, nella pratica, i confini erano moto labili.
Nei secoli centrali del Medioevo, per esempio, la guerra di corsa era praticata dai musulmani (i "Saraceni") contro i cristiani e viceversa. Non solo. La fama di pirati dei genovesi e dei pisani non era certo legata unicamente alle azioni compiute ai danni delle navi dell'Islam. Inoltre, il Mediterraneo avrebbe continuato ad essere infestato dai pirati fino agli inizi del XVI secolo, anche in conseguenza del fatto che i traffici crebbero in volume e valore e gli itinerari, grazie alle innovazioni dell’ingegneria navale, si allungarono progressivamente, moltiplicando gli appetiti di pirati e corsari.
Verso il 1325, per esempio, il pirata Pere Guerç si era tranquillamente installato a Porto Pisano con la sua galea, da dove conduceva praticamente indisturbato le sue azioni. A questo onnipresente pericolo, i convogli marittimi cercavano di far fronte imbarcando militari specializzati, preposti alla difesa dell’imbarcazione. A Venezia, si giunse a stabilire che su dieci membri dell'equipaggio vi fossero almeno due balestrieri, una presenza armata che, in realtà, serviva anche a prevenire e reprimere eventuali ammutinamenti delle ciurme.
Il mare ha sempre suscitato timori, perché significa rischio, sorpresa, pericolo inatteso perfino su percorsi familiari. Da qui sono nate una mentalità e una religiosità specifiche, che hanno sempre contraddistinto la gente di mare. Ancora oggi, nei porti del Mediterraneo, si praticano cerimonie religiose che suonano come incantesimi ripetuti contro il capriccio delle bufere e delle tempeste, mentre non si contano gli ex-voto indirizzati nei secoli alla Vergine Maria, Maris Stella ("Stella del Mare"), che raccontano le storie degli scampati. Per la costruzione di questi singolari oggetti, esistevano artigiani specializzati. Nel XIV secolo, uno di essi, bretone, dichiarava di essersi dedicato a quest'attività per una sorta d’ispirazione ricevuta in sogno e di avere già costruito numerosi ex-voto per marinai delle sue parti, ma anche spagnoli, di La Rochelle, di Guascogna, della Normandia.
A bordo delle navi, dove la rudezza dell'ambiente era alla base del divieto di conservare l'ostia e il vino consacrati, esistevano momenti di preghiera collettiva. Il rito che si teneva la mattina, annunciato dalla trombetta del musico, era chiamato "messa secca", in relazione al fatto che si trattava di una liturgia senza sacrificio.
Altre preghiere venivano regolarmente recitate la sera. La pietà e la devozione della gente del mare si rivolgevano anche ai numerosi santuari, che sorgevano lungo le coste. Una litania toscana del XIV secolo, che veniva recitata "quando fussino stati alcuno giorno sanza vedere terra", disegnava una sorta di itinerario devozionale che partiva da "Santa Maria delle Grazie di Monte Nero di Livorno" e proseguiva ricordando i santuari delle coste liguri, provenzali, rossiglionesi, catalane, di Tortosa, di Valenza e delle Baleari, per arrivare a quelli di San Domenico di Cartagena e della Vera Croce di Cadice.
Per entrare in contatto con i più lontani mercati asiatici, eliminando la mediazione commerciale degli Arabi e dei Turchi, soprattutto i veneziani e i genovesi intrapresero difficili e avventurosi viaggi. Nel XIII secolo, grazie alle maggiori garanzie di sicurezza offerte dalla formazione di un grande impero mongolo, queste iniziative divennero più numerose.
Il nome più famoso è senz'altro quello di Marco Polo, sia per la durata e la vastità dei viaggi che intraprese, sia per il resoconto che di essi ci è pervenuto attraverso Il Milione. Il veneziano non fu affatto l'unico a cercare di giungere nei centri di produzione di quei beni di lusso - come i tessuti di seta e le spezie - che costituivano da secoli i prodotti orientali più richiesti in Occidente. Mercanti europei sono segnalati in Cina, in India, lungo il Volga, nel Turkestan, in Persia.
Tentativi di espansione commerciale si registrarono anche verso Ovest. Navigatori genovesi, superato lo stretto di Gibilterra, esplorarono le coste atlantiche dell'Africa, per raggiungere le miniere d'oro del Senegal. Nel 1291, i fratelli Vivaldi intrapresero un lungo viaggio destinato forse, come due secoli più tardi quello di Cristoforo Colombo, a toccare le Indie, viaggiando verso Occidente, ma scomparvero poco dopo avere raggiunto le Canarie.
Un effettivo allargamento del commercio marittimo oltre il Mediterraneo si realizzò solo nel XIV secolo, quando la costruzione di imbarcazioni più veloci e capienti stimolò genovesi e veneziani ad allacciare rapporti con i centri economici della Francia, dell'Inghilterra e delle Fiandre.