A lungo gravata dal giudizio negativo di Hegel, che vi scorse solo «una sistemazione pedantesca della filosofia leibniziana», l'opera di Christian Wolff (Breslavia, 1679 - Halle, 1754) viene oggi valutata con maggiore attenzione ed equilibrio, anche in ragione della vasta influenza da essa esercitata sulla filosofia tedesca del Settecento.
Studioso di Cartesio e corrispondente di Leibniz - del quale diffuse la filosofia in Germania, anche se non senza fraintendimenti e riduttivismi Wolff informò la sua opera ad alcuni convincimenti che lo collocano a buon diritto nell'area del pensiero illuministico: in primo luogo, la fiducia nella possibilità dell'intelletto umano di comprendere ogni aspetto del reale e l'esortazione a fare un uso attivo e critico della ragione; inoltre, la convinzione che la filosofia abbia come fine ultimo la felicità dell'uomo e che essa abbisogni, per svilupparsi e quindi giovare all'uomo, della libertà di pensiero (ricordiamo l'espulsione di Wolff dall'Università di Halle, roccaforte del pietismo).
Non a caso, Wolff scrisse in tedesco le grandi opere del primo periodo, fino al 1725, titolandole Pensieri razionali e delineando con esse una vera e propria "enciclopedia filosofica"; Pensieri razionali «sulle forze dell'intelletto umano», (cioè la logica 1713), «su Dio, il mondo e l'anima» (la metafisica, 1720), «sul modo di agire degli uomini» (l'etica, 1720), «sul modo di agire degli uomini in società» (la politica, 1721), «sugli effetti della natura» (la fisica, 1723), «sui fini delle cose naturali» (teleologia, 1724), «sull'uso degli organi» (fisiologia, 1725). In seguito, con l'ambizioso progetto di farsi «precettore del genere umano», Wolff elaborò una serie di opere in latino, destinate alla comunità scientifica internazionale.
Qui si accentuano gli aspetti di formalismo scolastico caratteristici del suo sistema (e della cultura filosofica universitaria tedesca): ma in proposito è interessante notare che le distinzioni, le classificazioni e la terminologia wolffiana costituirono lo schema formale e linguistico entro cui operò la posteriore filosofia in Germania ed ebbero lunga persistenza anche fuori di essa.
Wolff afferma nella sua logica l'esigenza di una fondazione metodologicamente rigorosa del sapere: «nel metodo filosofico non bisogna fare uso di termini che non siano stati chiariti da un'accurata definizione, né bisogna ammettere come vero alcunché di non rigorosamente dimostrato; nelle proposizioni bisogna determinare con pari cura il soggetto e il predicato e il tutto deve venire ordinato in modo che siano premesse quelle cose in virtù delle quali le seguenti sono comprese e giustificate».
Questo "metodo della fondazione", che intende dotare la ragione di uno strumento per controllare ogni suo passo, ebbe notevole influsso sulla filosofia tedesca del Settecento e lo stesso Kant vi scorse uno dei fondamentali contributi di Wolff.
Tale esigenza di rigore conduce Wolff a privilegiare il modello di indagine razionale proprio della matematica e il ragionamento sillogistico-deduttivo, fondato sul principio di non contraddizione. Wolff definisce la filosofia «scienza di tutte le cose possibili, del come e del perché esse siano possibili», intendendo per "possibile" ciò che non è logicamente contraddittorio; compito del pensiero, in sostanza, è quello di chiarire l'ordine del reale, e questo può essere fatto svolgendo in modo analiticamente rigoroso i contenuti dei concetti.
I princìpi della logica (identità, non-contraddizione, ragion sufficiente) non hanno per Wolff carattere solo logico formale, ma ontologico: corrispondono al modo di essere degli enti e consentono perciò di ricavarne deduttivamente le caratteristiche e le relazioni.
Sebbene quindi Wolff si ponga il problema del rapporto fra ragione ed esperienza e sottolinei il ruolo di questa nella verifica della validità delle deduzioni, in realtà il suo sistema tende a costituirsi come una gigantesca catena di sillogismi, in cui l'esperienza stessa non può avere un ruolo costitutivo nel processo conoscitivo.
Wolff distingue tra filosofia teoretica, o metafisica, e filosofia pratica. La metafisica si suddivide a sua volta in ontologia, scienza dell' essere in generale, che Wolff sviluppa recuperando ampiamente la tradizione aristotelico-scolastica, e nelle tre branche della "metafisica speciale" che sono la psicologia, la cosmologia e la teologia razionale, rivolte allo studio rispettivamente dell'anima, del mondo e di Dio (secondo il medesimo schema Kant conduce la sua critica alla metafisica nella Dialettica trascendentale).
Se nella sua metafisica Wolff riprende ampiamente, ma non sempre fedelmente, tesi leibniziane (come a proposito dell'armonia prestabilita, della teodicea e delle monadi, che peraltro egli interpreta come atomi formali, non come sostanze spirituali), un tratto di originalità è riscontrabile nella sua trattazione della teologia, che egli chiama naturale o razionale distinguendola da quella rivelata, dove afferma la possibilità di una comprensione razionale di Dio e di una interpretazione delle Scritture alla luce di criteri razionali, arrivando a mettere in discussione la possibilità dei miracoli (che gli appaiono come una sospensione ingiustificata dell'ordine perfetto imposto da Dio al mondo).
La filosofia pratica è da Wolff aristotelicamente suddivisa in etica, economica e politica. Se in campo politico egli professa un giusnaturalismo molto moderato e rispettoso del potere assoluto del principe, interpretato in senso paternalistico, nell' etica egli propone la separazione di morale e religione, ricavando dalla sua visione del mondo come un tutto razionalmente ordinato la tesi che le leggi morali hanno carattere naturale-razionale e avrebbero quindi validità anche nell'ipotesi che Dio non esistesse. Dal concetto di uomo come ente che tende alla propria perfezione Wolff ricava una morale detta appunto "della perfezione" - il cui imperativo fondamentale recita: «Fa' quello che contribuisce alla perfezione tua, della tua condizione, e del tuo prossimo, e non fare il contrario». Un principio al quale Kant riconoscerà il requisito dell'universalità e dell'indipendenza dall'esperienza, necessari per lui a fondare la moralità, ma che criticherà severamente per la sua astrattezza e il suo formalismo.
Filosofia egemone nelle università tedesche alla metà del secolo, il wolffismo ebbe numerosi seguaci ma anche critici, che ne contestarono alcuni aspetti pur rimanendo all'interno della metodologia e della terminologia filosofica elaborata dal maestro. Fra i seguaci, che non ebbero in genere alcuna originalità, vale la pena di ricordare Martin Knutzen (1713-1751), insegnante di Kant a Konigsberg, il quale tentò di mediare il wolffismo con elementi di empirismo lockiano.
Tra i critici, oltre ad Andreas Rüdiger (1673-1731), che criticò da posizioni lockiane la sillogistica e l'innatismo di Wolff, occorre segnalare lo scolaro di questi, Christian August Crusius (1715-1775), il cui antiwolffismo esercitò notevole influenza su Kant. La critica crusiana a Wolff fa perno sull'insufficienza del principio di non contraddizione come criterio di verità e reclama il ruolo autonomo e insostituibile dell'esperienza nel processo conoscitivo. Il criterio di verità non può ridursi per Crusius all'accordo formale dei concetti, ma deve comprendere il rapporto con i dati materiali offerti dalle singole scienze.
Analogamente, il principio di causalità non può essere ridotto a quello di non contraddizione, e dunque il rapporto di causalità fra i fenomeni non può essere risolto nella loro concatenazione deduttiva, ma deve fondarsi su elementi empirici. In tal modo, Crusius pone in questione l'identità di pensiero ed essere che è alla base del razionalismo wolffiano e delinea una problematica, quella del rapporto fra ragione ed esperienza, che sarà al centro della riflessione kantiana.
Si deve ancora fare cenno a Johann Lambert (1728-1777) e a Johann Tetens (1736-1803). Membro dell'Accademia delle scienze di Berlino, matematico, geometra e fisico di valore (le sue Lettere cosmologiche, del 1761, presentano un'ipotesi sulla formazione dell'universo simile a quella kantiana), Lambert fu profondamente influenzato sia da Wolff sia da Locke. Anche Lambert, muovendo dalla constatazione che la logica, il cui compito è di distinguere il vero dal falso, non può dire nulla circa la realtà, afferma la necessità del ricorso all'esperienza e si pone il problema del rapporto fra ordine formale e contenuto empirico.
Secondo Lambert, la fondazione di un sapere rigoroso richiede che l'esperienza sia analizzata per ricavarne quei concetti "semplici" (solidità, estensione, forza, durata, unità, coscienza, volontà) la cui validità è garantita dalla loro "pensabilità", ossia non contraddittorietà. La combinazione di questi concetti primi permette poi di costruire deduttivamente, in analogia con i procedimenti della geometria, i diversi sistemi di conoscenze.
In Tetens, la cui opera maggiore sono le Ricerche ,filosofiche sulla natura umana e sul suo sviluppo (1776), troviamo un interesse specifico per le indagini di psicologia della conoscenza, Tetens opera una mediazione fra l'associazionismo empiristico di Locke, Hume, Condillac e il razionalismo di Leibniz e Wolff. La rappresentazione sensibile, che è all'origine della nostra conoscenza, non è per Tetens sufficiente a spiegare il progresso della conoscenza stessa, che implica un intervento attivo dell'intelletto nell'elaborare e correlare i dati sensibili sulla base di princìpi indipendenti dall'esperienza. L'esperienza, in altri termini, fornisce i contenuti della conoscenza, l'intelletto dà a essa la forma: una intuizione e una terminologia che Kant riprenderà, utilizzandola però nella sfera dell'analisi trascendentale, non psicologica, della conoscenza.