Dopo la morte di Hegel, una prima occasione di divisione tra i suoi discepoli fu il concetto di religione come "rappresentazione" dell'assoluto. Esso infatti poteva essere inteso nel senso che la religione, pur nella forma ad essa peculiare, aveva un contenuto di verità, ma anche nel senso che essa, in quanto "superata" dalla filosofia, era destinata a sparire nello sviluppo dello spirito.
Dei seguaci di Hegel alcuni (i più anziani, o "vecchi hegeliani"), sulla traccia del maestro, identificarono esplicitamente l'idea con Dio, presentando l'hegelismo come traduzione - e fondamento - razionale della religione, e ciò anche allo scopo di appoggiare la rinascita religiosa sviluppatasi contro l'illuminismo giacobino, con intento apertamente conservatore. Altri invece (i "giovani hegeliani") sottolinearono l'immanenza dell’ldea, e l'impossibilità di conciliarla coi dogmi della religione.
Queste due posizioni furono qualificate come "destra" e "sinistra" hegeliane per analogia con le posizioni politiche del tempo. Della "destra" fecero parte, tra gli altri, KARL FRIEDRICH GOESCHEL (1781-1861), KASIMIR CONRADI (1786-1849), GEORG ANDREAS GABLER (1786-1853), quasi tutti docenti nelle più importanti università tedesche. Un "centro" fu composto da alcuni scolari di Hegel di tendenza liberale, tra cui EDUARD GANS (1798-1893), editore di Hegel, e KARL FRIEDRICH ROSENKRANZ (1805-1879), autore di una famosa Vita di Hegel, e da EDUARD ZELLER (1814-1908) e KUNO FISCHER (1824-1907), prestigiosi storici della filosofia, rispettivamente, antica e moderna.
La qualificazione di "destra", "sinistra" e centro" fu data da DAVID FRIEDRICH STRAUSS (1808-1874), che fu di fatto l'iniziatore della stessa "sinistra". Studioso di teologia, egli pubblicò nel 1835 una famosa Vita di Gesù, che segnò la fine della sua carriera universitaria. In essa sosteneva che i Vangeli non presentano il "Cristo storico" ma il "Cristo della fede", cioè un "mito": non però un'invenzione individuale, ma un "mito collettivo",cioè la trasfigurazione popolare della personalità di Gesù, generata essenzialmente dall'attesa del Messia da parte del popolo ebraico. Su questa base (che prospettava Dio come espressione dello spirito umano) Strauss negava la divinità di Cristo "la genuina, reale esistenza dello spirito non è né Dio in sé, né l'uomo in sé, ma il Dio-uomo; non è la sola infinità, né la sola natura finita, ma il movimento che porta dall'una all'altra e che nell'aspetto divino è la rivelazione, nell'aspetto umano la religione". Da qui una vera e propria esaltazione del panteismo, visto come "evoluzione risolutiva del teismo", come Dio-pensiero che pensa in tutti.
Strauss in ciò fu seguito da BRUNO BAUER (1809-1882). Inizialmente aderente alla "destra", Bauer scrisse La tromba del giudizio universale contro Hegel ateo e anticristo (1841), dove sostenne che Hegel, facendo della religione una "rappresentazione", la riduceva a una creazione dell'uomo. Il tema è il centro della questione dell'eredità di Hegel, contesa tra vecchi hegeliani e giovani hegeliani. I primi, che si dicono i veri seguaci del maestro, sono in realtà i suoi traditori: sostengono, infatti, una teoria che non potrebbe essere più opposta al principio del sistema. I Rosenkranz, gli Henning, i Gabler, nel nome di Hegel difendono la religione cristiana. Basandosi sul loro insegnamento e in nome della difesa della religione cristiana, il governo prussiano ha tolto le cattedre ai giovani hegeliani che invece, più coerenti con il principio animatore dello hegelismo, si dicono atei. Avviene così paradossalmente, dice Bauer, che gli ipocriti sono con il governo ma, continuando ad insegnare la dottrina hegeliana, stanno smantellando lo stato cristiano nel nome del quale il governo perseguita i giovani hegeliani. Il tradizionale nemico della religione cristiana, il passo che conduce all'ateismo è, secondo Bauer, il panteismo di cui l'hegelismo è il compimento. Nello spirito assoluto hegeliano avviene la dissoluzione dei singoli, e il rapporto tra Dio e l'uomo non è altro che un rapporto interno all'autocoscienza. Ciò che sembra serbare ancora una certa autonomia in realtà non è altro che una rappresentazione religiosa oggettivata. Essere veramente hegeliani allora significa - a differenza di quanto avviene nei discepoli "ufficiali" (vecchi hegeliani) - abbracciare un immanentismo rigoroso e totale, spingendosi ad affermare quel principio dell'hegelismo che lo stesso Hegel non aveva affermato a chiare lettere. Bauer chiama questa sua posizione (svolta soprattutto attraverso una Critica dei Vangeli, 1840-41) "criticità pura".
A queste posizioni aderì anche ARNOLD RUGE (1802-1880), organizzatore di quello che fu l'organo della scuola, gli "Annali tedeschi per la scienza e l'arte". Ruge diede alle posizioni della "sinistra" un carattere apertamente politico, assegnando alla filosofia il compito di preparare la rivoluzione (in senso democratico e repubblicano). Sugli ''Annali'', oltre a Strauss, scrissero Heine, Feuerbach e Marx. In tal modo la polemica inizialmente religiosa acquistava precisi risvolti politici, legati al dibattito tra i fautori di un rigido conservatorismo e i fautori di una politica di riforme negli ultimi anni di Federico Guglielmo IV. Avversi a ogni rinnovamento furono in genere gli esponenti delle università e in particolare quelli della "scuola storica del diritto", tra cui FRIEDRICH JULIUS STAHL (1802-1861), GUSTAV HUGO (1764-1844) e FRIEDRICH KARL VON SAVIGNY (1779-1861); favorevoli invece gli economisti, tra cui FRIEDRICH LIST (1789-1846), fautore di un mercato nazionale tedesco. Oggetto dei più aspri dibattiti furono la libertà di stampa e di espressione e la libertà religiosa. Entrambi i gruppi facevano ricorso al pensiero di Hegel, ma ciò non deve sorprendere" perché la dialettica consentiva di considerare la situazione politica come "sintesi" delle esperienze precedenti, e quindi come un punto di arrivo, ma anche come "tesi", e quindi come un momento da negare e superare. In questo senso i "vecchi hegeliani" rimasero fedeli al "sistema" di Hegel, mentre i "giovani hegeliani" scelsero di conservarne piuttosto il metodo.
Le concezioni della sinistra, in particolare di Strauss, assieme a quelle di Schleiermacher, influirono sulla nascita della "teologia liberale" (così detta sia perché indipendente dalla teologia ortodossa, sia perché vicina al liberalismo politico), di cui maggiori rappresentanti furono ALBRECHT RITSCHL (1822-1889) e il suo discepolo ADOLF VON HARNACK (1851-1930). L'orientamento morale e antidogmatico di questa teologia ha esercitato una notevole influenza sul pensiero religioso del Novecento.
Vicino inizialmente alla "sinistra" fu MAX STIRNER (pseudonimo di Johann Kaspar Schmidt, 1806-1856). Egli ascoltò le lezioni di Schleiermacher, fu allievo anch'egli di Hegel a Berlino, e autore di un'opera, L'unico e la sua proprietà (1845), alla quale si deve la fondazione di un particolare tipo di individualismo e di anarchismo. Lesse le opere di Strauss e di Feuerbach e guadagnò rapidamente le sponde di un intransigente ateismo.
Anche Stirner si oppone alla realtà politica e sociale esistente, perché essa mira a fare dell'individuo uno strumento dei propri scopi; questo però, a suo giudizio, si può dire di ogni principio, anche morale e religioso: e l’individuo deve respingerlo come un limite alla propria realizzazione e rivendicare il diritto alla piena proprietà di se stesso. Egli sostiene che l'individuo, nella sua irripetibile singolarità, è misura d'ogni valore e di ogni ideale, criterio assoluto d'ogni giudizio; e, con ciò, giustifica un egoismo e un anarchismo assoluti. La domanda "che cos'è l'uomo?" non ha alcun senso. Possiamo chiederci unicamente "chi è l'uomo" e dare con immediata sicurezza la risposta: "lo, l'Unico, sono l'Uomo. Tutto ciò che è fuori di me, al di là della mia stretta cerchia individuale o singolare, non è l'uomo. Anche se esiste, in linea di diritto non dovrebbe esistere affatto, non dovrebbe turbare la mia regale solitudine". Porre al di sopra del singolo un "'essenza" dell'uomo come faceva Feuerbach, o subordinare il singolo alla "società" come voleva il socialismo, significa ancora asservire l'uomo - che è sempre e unicamente uomo singolo - a un principio arbitrario: non meno che se si ammette un dovere, un ideale, una gerarchia di poteri storici, ecc. "La coscienza umana disprezza tanto la coscienza del cittadino quanto quella dell'operaio" .
Secondo Stirner, dunque, l'individuo è un assoluto, anzi l'unico vero assoluto, e perciò in contraddizione con ogni principio che gli sia presentato come "superiore". Ogni principio del genere costituisce la sua negazione; perciò l'individuo deve costituire la negazione di ogni principio, e in questo senso "fondare la sua causa sul nulla": "Dio e l'umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null'altro che se stessi. Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, che sono il mio tutto." (L’unico e la sua proprietà).
In modo particolare, non ha alcun senso porre la questione dell'esistenza di Dio. Secondo Stirner nel tempo cristiano, fino a Hegel e agli avversari di Hegel, la filosofia ha ceduto il posto alla teologia: "anche le più recenti ribellioni contro Dio non sono altro che gli estremi sforzi della scienza di Dio, ovvero insurrezioni teologiche". Così dobbiamo considerare Strauss e Feuerbach come non liberi, ancora intenti a strappare qualcosa del cielo per riempire l'uomo. Si è liberi quando diviene indifferente la questione: dove stia effettivamente Dio. "Se Dio sia uno o trino, se ci si possa immaginare come essenza suprema il Dio di Lutero, o l'Etre supreme, o non Dio, ma l'uomo, tutto questo è indifferente per chi nega l'essenza suprema stessa: ai suoi occhi, infatti, quei servitori di una essenza suprema sono, tutti quanti, dei devoti: l'ateo rabbioso non meno del cristiano pieno di fede.
L'epoca attuale, dice Stirner, ha semplicemente condotto a termine l'opera dell'illuminismo e non ci si è accorti che l'uomo ha ucciso Dio per diventare, adesso, "l'unico sommo Dio": "L'aldilà posto fuori di noi è ormai spazzato via, ed è compiuta la grande opera degli illuministi; però l'aldilà che è in noi è diventato un nuovo cielo e ci invita a dare un nuovo assalto al cielo: Dio ha dovuto cedere il suo posto, non a noi, ma all'uomo". Dev'essere chiaro che "solo in quanto sono questo unico io mi approprio di tutto come, del resto, solo in quanto io sono attivo e mi svolgo. Non io in quanto uomo sviluppo l'io, né l'uomo, ma, in quanto io, io mi svolgo". Sicché sarebbe vano, per rendere più felice l'uomo, cercar di sostituire la società attuale con una società diversa e migliore. La società, al contrario, deve cessare del tutto, e lasciare il posto a una pura e semplice associazione strumentale di cui il singolo possa servirsi per accrescere le proprie forze. Il libro L'unico e la sua proprietà di Stirner, molto letto nell'Ottocento, non ha in ogni caso un intento costruttivo, bensì distruttivo. Esso si conclude con le parole: "Ho riposto la mia causa nel nulla". Voler infatti costruire qualcosa sarebbe ancora di fatto subordinarsi a un ideale da raggiungere, a un fine da perseguire, quasi avesse valore in sé: e Stirner vuole l'opposto. Pure, come critica interna e indiretta al punto di vista dell'assoluta immanenza, la posizione di Stirner è ricca d'insegnamenti. Se l'uomo rifiuta di riconoscere qualsiasi valore al di sopra di sé e della propria singola esistenza immediata, è difficile negare che le conseguenze siano quelle che Stirner indica con forza.
L'interpretazione immanentistica della religione fu portata alle estreme conseguenze da LUDWIG FEUERBACH, che le negò ogni fondamento metafisico e le assegnò solo un fondamento umano. Nato nel 1808 a Landshut, in Baviera, Feuerbach studiò a Berlino, dove frequentò i corsi di Hegel, e iniziò poi a insegnare come libero docente. Nel 1830 pubblicò i Pensieri sulla morte e l'immortalità, in cui sosteneva che l'immortalità non si può dimostrare dal punto di vista di Hegel, e ciò gli costò la carriera universitaria cui era avviato. Tornò a insegnare per pochi mesi a Heidelberg, tra il 1848 e il 1849, su invito degli studenti rivoluzionari. Dal 1837 visse di una piccola rendita portatagli in dote dalla moglie, nel villaggio di Bruckberg, dove scrisse le sue opere maggiori: L'essenza del cristianesimo (1841), Tesi provvisorie per la riforma della filosofia (1842), Principi della filosofia dell'avvenire (1843), L'essenza della religione (1845). Negli ultimi anni della vita, in seguito a dissesti finanziari, visse solo con l'aiuto di qualche amico; morì nel 1872, in condizioni di estrema povertà.
Feuerbach partì dal principio hegeliano che lo spirito prende coscienza di sé in rapporto alla realtà esterna ("L'uomo sposta il suo essere fuori da sé, prima di trovarlo in sé"), e su questa base interpretò la religione come un'alienazione, per cui l'uomo proietta in un altro essere (Dio) le perfezioni che oscuramente sente proprie dell'essenza della specie umana: ad esempio l'onnipotenza, l'onnisapienza, o l'amore. ("L'essere divino non è altro che l'essere dell'uomo liberato dai legami e dai vincoli dell'individuo, cioè dai legami del corpo, della realtà ....") . In altri termini, non è Dio a creare l'uomo, ma l'uomo a creare Dio: la teologia ha la propria base nell'antropologia ("Tu giudicherai l'uomo secondo il suo Dio, e viceversa"); perciò la storia delle religioni riflette la scoperta progressiva della realtà da parte dell'uomo, dalle religioni delle forze naturali, fino alla religione dello spirito, il cui esempio compiuto è il cristianesimo (che in questo senso anche Feuerbach considera forma suprema di religione).
Secondo Feuerbach, è tempo che la teologia lasci il posto all'antropologia. La religione, infatti, ha svolto una funzione positiva quale "prima ma indiretta coscienza che l'uomo ha di se stesso", facendogli prendere coscienza (in Dio) dei valori per lui supremi; ma l'atteggiamento religioso porta l'uomo anche a deprimere se stesso, in quanto, considerando ogni perfezione come già realizzata in un essere da sé diverso, egli si concepisce e si mantiene in uno stato di insufficienza e di miseria.
La condizione per l'effettiva realizzazione dell'uomo, quindi, è per Feuerbach la negazione della sua alienazione, cioè l'ateismo, non come posizione teorica, ma come posizione pratica; in questo senso egli afferma: "Dio è stato il mio primo pensiero, la ragione il secondo, l'uomo il mio terzo pensiero e il mio pensiero ultimo". Nella sua critica alla teologia, Feuerbach comprese anche la filosofia di Hegel, che giudicò una "teologia mascherata", "il pensiero dell’uomo posto al di fuori dell'uomo". In opposizione alla filosofia "teologica", Feuerbach sostenne che la "filosofia dell'avvenire" doveva fondarsi su una considerazione concreta dell'uomo, che non trascurasse i suoi aspetti naturali, cioè la sensibilità e i bisogni fisici. In questa considerazione Feuerbach pose la maggior novità del suo pensiero: "Hegel pone l'uomo sulla testa, io lo pongo sui suoi propri piedi, riposanti sulla geologia"; "Il compito dell'età moderna è stato quello di realizzare e umanizzare Dio, vale a dire di trasformare e risolvere la teologia in antropologia." (Filosofia dell'avvenire).
Hegel aveva cercato di porre il finito nell'infinito (intendendo le determinazioni finite come momenti dialettici dell'Idea): Feuerbach vuole porre l'infinito nel finito (cioè, Dio nell'uomo). Hegel idealizzava il reale, Feuerbach vuole realizzare, incorporare nel sensibile, l'idea. Un vero capovolgimento, ma ciò non toglie che la spiegazione che Feuerbach dà della rappresentazione di Dio sia tratta dalla figura della "coscienza infelice" della Fenomenologia dello spirito (v. § 64): l'uomo proietta tutte le qualità positive che ha in sé in una persona divina e ne fa una realtà sussistente, di fronte alla quale si sente schiacciato come un nulla o, almeno, come un miserabile peccatore.
Ma Feuerbach va al di là di Hegel, per la pretesa di aprire, con questa chiave, la porta a una spiegazione dei dogmi. "Dio è persona" significa, per lui: la vita personale dell'uomo è la forma più elevata di essere. "Dio s'incarna e soffre per noi" è un'esaltazione dell'altruismo (umano). "Dio è amore" va tradotto in: la perfezione dell'animo (umano) è amore. La Trinità (in questo agostinismo rovesciato) adombra le tre facoltà supreme dell'uomo (volontà, ragione, amore), prese nella loro unità e proiettate al di sopra dell'uomo; e così via. "L'essere assoluto, il Dio che l'uomo si è creato, è lo stesso essere dell'uomo", quindi la religione è "l'immediata, indiretta coscienza che l'uomo ha di se stesso; per questo essa ha sempre preceduto la filosofia".
È da un terrore per le cieche forze della natura che l'uomo ha cercato rifugio in questa sua creatura che è Dio: "la tomba dell'uomo è la culla degli dèi". Feuerbach giunge così a contrapporre al teismo, che fa di Dio il soggetto di una realtà assoluta, un radicale umanismo, secondo cui il soggetto ultimo di tutto è l'uomo; e Dio e tutte le rappresentazioni religiose sono "predicati", o proprietà, che il soggetto umano ha o dovrebbe avere, riappropriandosene.Con riferimento ai bisogni umani, quindi, ne L'essenza della religione, Feuerbach integrò la spiegazione della religione, ponendo le radici dell'alienazione nel bisogno di un aiuto superiore che l'uomo sente a causa dei suoi limiti naturali, e quindi essenzialmente nel desiderio. Nella umanità concreta (sensibile) Feuerbach cercò quindi la radice di tutte le manifestazioni umane; e di queste sottolineò il fondamento sociale, nel senso che "l'uomo è per sua natura in rapporto con gli altri", e da ciò deriva la moralità e anche il pensiero.
"L'uomo singolo, considerato in se stesso, non racchiude l'essenza dell'uomo in sé, né in quanto essere morale, né in quanto essere pensante. L'essenza dell'uomo è contenuta soltanto nella comunione, nell'unità dell'uomo con l'uomo ... La vera dialettica non è un monologo del pensatore solitario con se stesso, ma un dialogo tra l'io e il tu." (Filosofia dell'avvenire).
In questa concezione, che chiamò "umanesimo integrale" perché tesa ad attuare l'uomo nella sua interezza, Feuerbach accentuò sempre più gli aspetti naturalistici, per polemica contro le concezioni spiritualistiche, che li trascuravano. "Se volete far migliore il popolo, in luogo di declamazioni contro il peccato dategli un'alimentazione migliore. L'uomo è ciò che mangia." (Recensione a Moleschott). Il ripiegamento dall'umanismo assoluto verso il naturalismo comincia a manifestarsi verso il 1845, con il libro L'essenza della religione. Esso si esprime a volte in forme drastiche, che non si limitano più a rilevare come nell'uomo i valori ideali siano inseriti in una condizione materiale, ma sembrano (almeno nell'espressione) suggerire che le condizioni materiali determinino tutto ciò che l'uomo è.
Con tutto ciò, Feuerbach rifiuta di lasciarsi qualificare come "materialista", rendendosi conto che, nella materia, il suo "soggetto", l'uomo, scomparirebbe. Ribadendo che l'uomo non può considerarsi come il semplice risultato di un'azione della materia (cfr. Materialismo e spiritualismo, 1866), si rifugia allora in un misticismo del genere umano, amalgamato in unità dall'amore. In questo senso, "riconducendo l'essenza dell'uomo alla società", Feuerbach finisce col riconoscersi "uomo sociale" e "comunista". Il materialismo di Feuerbach non è da assimilarsi a quello dell'illuminismo francese. Quindi, anche il suo ateismo non è del medesimo tipo.
Egli stesso dice: "Non c'è niente di più falso che far derivare il materialismo tedesco dal 'Système de la nature' o addirittura dal pasticcio di tartufi di La Mettrie. Il materialismo tedesco ha un'origine religiosa; comincia con la Riforma: è un frutto dell'amore di Dio per l'uomo, di cui i riformatori scorsero l'immagine, o meglio l'essenza, non in un amore indeterminato, fantastico, ma nell'amore più intimo dell'uomo, l'amore dei genitori verso i figli … Il materialismo tedesco non è dunque un bastardo, frutto degli amorazzi della scienza tedesca con lo spirito straniero; è un tedesco genuino, che vide la luce del giorno già all'epoca della Riforma".
Nell’ambito della sinistra hegeliana, infine, si formò il pensiero di Marx, che però si maturò con la riflessione su temi nuovi rispetto agli orientamenti della sinistra, cioè le questioni sociali e politiche determinate dalla rivoluzione industriale e capitalistica.