Dall'atomismo logico di Russell e del primo Wittgenstein, oltre che dall'empiriocriticismo di Mach, si sviluppò specialmente in Austria e in Germania, il «neopositivismo» o «positivismo logico» o «empirismo logico» (denominazioni tutte fra loro equivalenti).
Una corrente che rassomiglia al positivismo dell'Ottocento perché concepisce la filosofia esclusivamente come metodologia della scienza, ma se ne differenzia perché concentra l'attenzione soprattutto sull'aspetto logico-linguistico della scienza stessa (da ciò il prefisso «neo» o l'aggettivo «logico»).
L'ambiente in cui per primo si sviluppò il neopositivismo fu il cosiddetto Circolo di Vienna (Wiener Kreis), un gruppo di filosofi e di scienziati che si riunivano periodicamente a Vienna tra il 1924 e il 1938 e che nel 1929 scrissero anche un manifesto programmatico, definendo la propria filosofia «concezione scientifica del mondo» (wissenschaftliche Weltauffassung).
I prodromi del Circolo di Vienna furono alcune riunioni svoltesi in un caffè della capitale austriaca già a partire dal 1907 tra il matematico Hans Hahn, i fisici Philipp Frank e Richard von Mises ed il sociologo Otto Neurath, per discutere la filosofia della scienza di Mach, allora professore in quella università.
Un ulteriore evento che favorì la nascita del Circolo fu il trasferimento all'università di Vienna, proprio sulla cattedra che era stata di Mach, di Moritz Schlick, nel 1922.
Due anni più tardi infatti, nel 1924, lo stesso Schlick, insieme con Herbert Feigl e Friedrich Waismann, promosse una serie di riunioni, a cui parteciparono anche Hahn e Neurath e poi si aggiunsero Felix Kaufmann e Victor Kraft, allo scopo di discutere il Tractatus logicophilosophicus di Wittgenstein.
Nel 1926 venne trasferito all'università di Vienna anche Rudolf Carnap, che si aggiunse al gruppo, e nel 1928 il gruppo si denominò «Associazione Ernst Mach», redigendo - come già si è detto - un proprio manifesto programmatico, che fu pubblicato nel 1929.
Il Circolo di Vienna non fu, tuttavia, l'unica espressione del neopositivismo.
Contemporaneamente ad esso si costituì infatti a Berlino, ad opera di Hans Reichenbach, la Società per la filosofia scientifica, che comprendeva anche Richard von Mises, Carl G. Hempel ed altri, e si diede lo stesso programma della citata associazione viennese.
Pertanto, constatando la reciproca convergenza di vedute in occasione di un convegno organizzato a Praga da Philipp Frank, allora professore in quella università, i due gruppi, viennese e berlinese, decisero di fondare una rivista insieme, «Erkenntnis» («Conoscenza»), diretta da Carnap e Reichenbach, che fu pubblicata dal 1930 al 1938.
Tuttavia, l'avvento del nazismo in Germania (1933) portò allo scioglimento della Società per la filosofia scientifica e all'esilio dei suoi membri, e la successiva annessione (Anschluss) dell'Austria alla Germania nazista (1938) determinò la fine anche del Circolo di Vienna, i cui principali esponenti, cioè Carnap e Neurath, emigrarono a Chicago, negli Stati Uniti.
Qui, in collaborazione con alcuni filosofi americani, tra cui il più noto è Charles W. Morris, Carnap e Neurath ripresero la pubblicazione della rivista col nome di «Journal of Unified Science» e concepirono l'idea di realizzare una Enciclopedia internazionale della scienza unificata (International Encyclopaedia for Unified Science), nella quale tutte le diverse scienze venissero ricondotte al medesimo metodo, quello teorizzato appunto dal positivismo logico.
L'impresa si arrestò dopo pochi volumi, sia per le difficoltà intrinseche al progetto, sia per il sopraggiungere della seconda guerra mondiale.
Il neopositivismo, nel frattempo, si era diffuso anche in Inghilterra, soprattutto ad opera di Alfred J. Ayer, il quale aveva studiato a Vienna ed aveva condiviso in pieno le tesi del Circolo.
Lo stesso Ayer tuttavia, come vedremo, mutò in seguito orientamento, accostandosi alla filosofia analitica inaugurata dal «secondo» Wittgenstein.
Moritz Schlick nacque nel 1882 a Berlino, dove si laureò in fisica con Max Planck.
Insegnò prima nell'università di Kiel e poi, dal 1922, in quella di Vienna, dove nel 1924 incontrò Wittgenstein; fondò il Circolo di Vienna, collaborò alla rivista «Erkenntnis» e morì nel 1936, ucciso da uno studente filonazista perché si opponeva all'annessione dell'Austria alla Germania.
Oltre a varie opere di fisica pubblicò anche studi filosofici, tra cui i principali sono il volume Allgemeine Erkenntnislehre (Dottrina generale della conoscenza, 1918) e gli articoli Erleben, Erkennen, Metaphysik (Esperire, conoscere e metafisica, 1926), Fragen der Ethik (Problemi di etica, 1930), Positivismus und Realismus (1932), Uber das Fundament der Erkenntnis (Sul fondamento della conoscenza, 1934), Meaning and Verification (Significato e verificazione, 1936).
Questi ed altri articoli vennero raccolti e pubblicati dopo la sua morte col titolo Gesammelte Aufsatze 1926-1936.
Già nella Dottrina generale della conoscenza, che precede la lettura di Wittgenstein e quindi la formulazione del neopositivismo, Schlick concepiva la conoscenza come rapporto tra i segni, costituiti dai concetti, e i dati, costituiti dalle intuizioni sensibili.
Questi ultimi sono semplici esperienze vissute (Erlebnisse), del tutto inesprimibili, mentre i concetti possono essere definiti mediante un sistema di assiomi e di postulati, e quindi possono essere ricondotti a pochi concetti fondamentali.
La verità non è altro che la coordinazione univoca tra un segno e un dato, cioè la corrispondenza costante degli stessi segni agli stessi dati.
Un giudizio, pertanto, è vero, quando unisce tra loro concetti che si riferiscono al medesimo dato.
I giudizi possono essere descrittivi, o storici (cioè fattuali, sintetici), e analitici: i primi sono propri delle scienze empiriche ed i secondi delle scienze matematiche.
Mentre questi ultimi non ci fanno conoscere niente di nuovo, ma possono essere ricondotti ai concetti fondamentali, secondo il programma di fondazione della matematica delineato da Hilbert, i giudizi descrittivi, o storici, ci fanno effettivamente conoscere qualcosa di nuovo, ma non hanno altro fondamento che i dati sensibili, cioè hanno un significato solo quando possono essere ricondotti, in ultima analisi, a delle semplici constatazioni compiute con i sensi.
Il metodo delle scienze fisiche consiste pertanto, secondo Schlick, nel partire dai dati sensibili, nel risalire da essi, per induzione, a dei giudizi universali, cioè a delle ipotesi, e nel dedurre da queste, per mezzo della matematica, delle conclusioni particolari, le quali sono vere solo se vengono verificate da nuove osservazioni sensibili.
Sulla base di questa teoria Schlick formulò per primo il famoso principio di verificabilità, condiviso almeno inizialmente da tutti i membri del Circolo di Vienna, secondo cui «il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica», dove per metodo non si intende solo l'effettiva constatazione sensibile, ma anche l'indicazione delle operazioni attraverso cui la proposizione in questione può essere verificata, cioè confermata per mezzo di osservazioni sensibili.
Rudolf Carnap nacque a Ronsdorf, presso Wuppertal Carnap e Neurath (Germania), nel 1891, studiò matematica con Frege all'università di Jena e fu professore dal 1926 a Vienna, dove entrò a far parte del Circolo, scrivendo nel 1928 una delle opere in cui maggiormente si espresse l'orientamento di questo, Der logische Aufbau der Welt (La struttura logica del mondo).
Dal punto di vista del neopositivismo Carnap polemizzò, attraverso la rivista «Erkenntnis», da lui fondata insieme con Reichenbach nel 1930, contro le filosofie di tipo metafisico, in particolare contro Heidegger, con l'articolo Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache (Superamento della metafisica attraverso l'analisi logica del linguaggio, 1931).
Entrato poi in dissenso da Schlick a proposito della «questione dei protocolli», cioè dei fondamenti delle proposizioni scientifiche, Carnap si orientò, anche per influenza di Neurath, in una direzione diversa con l'opera Logische Syntax der Sprache (Sintassi logica del linguaggio, 1934).
Nel 1936, invitato all'università di Chicago, Carnap si trasferì in America, dove insegnò prima a Chicago e poi a Los Angeles, e organizzò con Neurath e Morris l'Encyclopaedia of Unified Science, e scrisse ancora Introduction to Semantics (Introduzione alla semantica, 1942), Formalization of Logic (Formalizzazione della logica, 1943), Meaning and Necessity (Significato e necessità, 1947) e Logical Foundations of Probability (Fondamenti logici della probabilità, 1950).
Morì a Santa Monica, in California, nel 1970.
Nella Struttura logica del mondo Carnap sostiene che l'unico mondo di cui noi possiamo parlare con verità, cioè l'unico che possiamo conoscere scientificamente, è l'insieme dei concetti della scienza, in particolare della fisica, i quali sono i veri oggetti della conoscenza.
Riprendendo la distinzione di Frege tra «senso» e «significato», egli afferma che il senso dei concetti è dato unicamente dai loro rapporti matematici, cioè quantitativi, misurabili, per cui ogni concetto è definibile attraverso l'insieme dei rapporti matematici che esso intrattiene con tutti gli altri.
La totalità dei rapporti fra i concetti costituisce la struttura logica del mondo, la quale è un sistema puramente formale, cioè descrive la realtà solo attraverso i rapporti tra i vari oggetti, prescindendo completamente dalle loro proprietà.
L'esempio di tale struttura fornito da Carnap è quello di una pianta ferroviaria, che non riproduce le caratteristiche delle varie città, ma permette di identificarle solo per mezzo delle linee che le congiungono.
Il «significato», cioè il termine di riferimento, dei concetti della scienza è costituito, come per Schlick, anche per Carnap (almeno in questa prima opera) dai dati sensibili, che anch'egli chiama esperienze vissute elementari (Elementar-Erlebnisse).
Questi formano gli oggetti materiali, gli stati psichici e gli oggetti spirituali, cioè i prodotti culturali, i quali non hanno nulla a che fare con gli oggetti della scienza, cioè con i concetti della fisica, espressi mediante rapporti matematici.
Tutti gli oggetti diversi da quelli della fisica non rientrano nella struttura logica del mondo e pertanto, secondo Carnap, non possono essere oggetto di conoscenza, ma sono soltanto esperienze private, sentimenti, esprimibili per mezzo di comunicazioni non conoscitive.
Tali sono, a suo avviso, gli oggetti di cui si occupa la metafisica, i quali sono concetti privi di qualsiasi significato, cioè di qualsiasi referente sensibile, ed inoltre sono collegati tra loro per mezzo di proposizioni che non esprimono rapporti matematici, misurabili rigorosamente.
Pertanto la metafisica esprime solo dei sentimenti, come la musica, con la differenza che in genere i metafisici non hanno il talento dei grandi musicisti, cioè sono dei «musicisti senza talento».
La riconduzione del significato delle proposizioni scientifiche ai dati sensibili elementari, sostenuta da Schlick e da Carnap nella sua prima opera, fu contestata da Otto Neurath (1882-1945), sociologo di ispirazione marxista entrato nel Circolo di Vienna ed autore, insieme con Hahn e lo stesso Carnap, del manifesto programmatico su La concezione scientifica del mondo, oltre che di vari scritti quali Physikalismus (Fisicalismo, 1931), Protokollsätze (Proposizioni-protocollo, 1932), Einheitswissenschaft und Psychologie (Scienza unificata e psicologia, 1933), Unified Science as Encyclopaedic Integration (Scienza unificata come integrazione enciclopedica, 1938) e Foundations of Social Sciences (Fondamenti delle scienze sociali, 1944).
Neurath osservò infatti che i dati sensibili, in quanto esperienze vissute, sono del tutto soggettivi e quindi non possono costituire un fondamento valido per le proposizioni scientifiche.
Egli propose perciò di sostituirli con i cosiddetti protocolli (termine desunto dalla psicologia, dove sta a significare le annotazioni relative alle esperienze che ciascuno compie), ossia con proposizioni elementari del tutto convenzionali, formulate in un linguaggio il più possibile oggettivo, privo di riferimenti a esperienze personali.
Il linguaggio più adatto a questa operazione fu individuato da Neurath nel linguaggio della fisica, perciò egli chiamò fisicalismo la sua proposta di assumere la fisica come modello di linguaggio per tutte le scienze.
Questa innovazione nell'ambito del neopositivismo viennese comportava una valorizzazione soltanto della dimensione sintattica del linguaggio, cioè quella concernente i rapporti tra le proposizioni, a scapito della sua dimensione semantica, cioè quella concernente il loro significato, e la conseguente concezione della verità come coerenza interna del discorso, anziché come corrispondenza tra il discorso e i fatti.
Nella medesima direzione si mosse, per influenza di Neurath, lo stesso Carnap nella sua seconda opera importante, cioè la Sintassi logica del linguaggio.
Anch'egli, infatti, abbandonò la teoria di Schlick, secondo cui il significato dei concetti è costituito dal loro riferimento ai dati sensibili, perché osservò che questi ultimi, per entrare in un discorso rigorosamente scientifico, devono sempre essere espressi da proposizioni, i protocolli, dalle quali bisogna eliminare tutto ciò che vi può essere di soggettivo, di privato, di relativo al sentimento.
Tali protocolli, anche per Carnap, devono essere formulati attraverso il linguaggio della fisica, il quale è rigorosamente oggettivo, cioè esprime soltanto rapporti numerici, quantitativi, misurabili.
Essi dunque sono proposizioni come le altre, e l'unico criterio di verità, oltre che di significanza, è la loro coerenza con tutte le altre proposizioni che costituiscono la fisica, cioè la loro conformità alle regole della «sintassi logica» del linguaggio.
Nelle sue ultime opere, tuttavia, Carnap cercò di recuperare anche la dimensione semantica del linguaggio, affidandosi prima ad un criterio pragmatico, ossia la capacità delle leggi scientifiche di prevedere i fenomeni naturali, e poi all'induzione, intesa come calcolo del grado di probabilità delle proposizioni scientifiche.
Egli fu spinto nella direzione della semantica e del pragmatismo soprattutto dalle ricerche di Charles W. Morris, filosofo americano di formazione pragmatistica, che collaborò con Carnap e Neurath alla fondazione della Enciclopedia della scienza unificata.
Nato ad Amburgo nel 1891, Hans Reichenbach studiò fisica con Planck, Einstein e Born, e dal 1926 fu professore di filosofia della fisica all'università di Berlino, dove fondò - come si è visto - la Società per la filosofia scientifica.
Diresse insieme con Carnap la rivista «Erkenntnis», organo del movimento neopositivista.
Nel 1933, a causa dell'avvento del nazismo, emigrò prima a Istanbul, dove insegnò fino al 1938, e poi negli Stati Uniti, dove insegnò all'università di Los Angeles e morì nel 1953. Le sue principali opere filosofiche sono Philosophie der Raum-Zeit-Lehre (Filosofia della dottrina dello spazio e del tempo, 1928), Die Kausalbehauptung und die Moglichkeit ihrer empirischen Nachprüfung (L'affermazione di causalità e la possibilità della sua verificazione empirica, 1933), Wahrscheinlichkeitslehre (Dottrina della probabilità, 1935), The Rise of Scientific Philosophy (La nascita della filosofia scientifica, 1951).
Reichenbach fu sostenitore di un assoluto empirismo, cioè della teoria secondo cui l'esperienza è l'unico criterio di significanza e l'unico fondamento possibile della scientificità del linguaggio.
Egli applicò tale empirismo anzitutto alla concezione dello spazio e del tempo, negando, contro Kant, che questi siano forme a priori ed affermando che essi sono soltanto schemi descrittivi di situazioni empiriche, cioè dell'ordine empiricamente dato delle successioni causali (egli credette anche di trovare una conferma a tale dottrina nella teoria einsteiniana della relatività, ma Einstein non fu d'accordo).
Poi Reichenbach applicò l'empirismo alla stessa legge di causalità, affermando che essa non ha nessun carattere a priori, ma si fonda soltanto sull'induzione empirica.
Questa però, pur essendo necessaria, non è sufficiente ad assicurare la verità assoluta delle leggi causali e ne può indicare solo il carattere di probabilità.
La probabilità è definita da Reichenbach da un punto di vista statistico come l'indice di frequenza con cui un fenomeno si produce; egli ritiene che non sia possibile determinare con assoluta necessità quale sia questo indice, ma giudica necessario supporre che esso comunque ci sia, affinché la scienza sia possibile.
Ad esempio, dopo avere visto che un fenomeno si produce con una certa frequenza, si deve supporre che esso continuerà a ripetersi con la stessa frequenza, anche se di ciò non si può avere mai la certezza assoluta.
Nell'opera su La nascita della filosofia scientifica Reichenbach sviluppa considerazioni di carattere più generale, riprendendo la distinzione neopositivistica di tutte le proposizioni in analitiche (necessarie ma vuote di informazioni) e fattuali (informative ma soltanto probabili), allo scopo di negare il carattere conoscitivo di qualunque discorso che non si serva né delle une né delle altre.
In particolare egli critica il linguaggio dell'etica, che a suo avviso non è composto né di proposizioni analitiche né di proposizioni fattuali, e perciò non ha alcun valore conoscitivo.
Le asserzioni dell'etica, secondo Reichenbach, sono soltanto delle direttive, ad esempio dei comandi o dei divieti, e come tali non sono né vere né false, ma appartengono piuttosto alla sfera dell'azione, in quanto si propongono soltanto di spingere gli uomini ad agire in un certo modo.
Al neopositivismo si può ricondurre anche il pensiero di Alfred J. Ayer, almeno per quanto concerne la sua prima fase, rappresentata dall'opera Language, Truth and Logic (Linguaggio, verità e logica, 1936).
Nato a Londra nel 1910; dopo avere studiato a Oxford Ayer ha soggiornato a Vienna all'inizio degli anni '30, entrando in contatto con Schlick e gli altri membri del Circolo e diffondendo poi le loro idee in Inghilterra, dove è stato professore prima nell'università di Londra e poi, dal 1959 al 1978, in quella di Oxford (Ayer è morto nel 1989).
Nell'opera citata, riprende anch'egli la distinzione neopositivistica tra proposizioni analitiche e proposizioni fattuali, della quale anzi rivendica la derivazione da Hume, e la usa per negare il carattere conoscitivo di tutti i discorsi non scientifici, cioè la metafisica, la teologia, l'etica e l'estetica.
Per quanto concerne in particolare la metafisica e la teologia, Ayer ritiene che le proposizioni di cui esse sono costituite, in quanto prive di referente empirico, siano anche prive di senso.
Per quanto concerne invece l'etica, egli ritiene che le sue proposizioni, le quali sono di tipo valutativo, non facciano conoscere nulla di fattuale, ma siano soltanto espressioni di emozioni, cioè desideri, timori, sentimenti in genere.
In tal modo egli trae le conseguenze della critica di Moore alla «fallacia naturalistica» e, in base alla cosiddetta «legge di Hume», secondo cui l'etica non può in alcun modo fondarsi sulla conoscenza, finisce col condurre l'etica a posizioni che saranno definite di tipo puramente «emotivistico».
Nelle opere successive tuttavia, cioè The Foundations of Empirical Knowledge (I fondamenti della conoscenza empirica, 1940), Thinking and Meaning (Pensiero e significato, 1947), Philosophical Essays (Saggi filosofici, 1954), The Problem of Knowledge (Il problema della conoscenza, 1956), The Concept of Person and Other Essays (Il concetto di persona e altri saggi, 1963), Metaphysics and Common Sense (Metafisica e senso comune, 1969) e The Central Questions of Philosophy (l problemi centrali della filosofia, 1973), Ayer abbandona il neopositivismo per accostarsi alla filosofia analitica, introdotta in Inghilterra dal «secondo» Wittgenstein.
Egli infatti tende a risolvere il riferimento ai dati sensibili in una analisi linguistica, in quanto i dati devono essere sempre espressi per mezzo di teorie, e al tempo stesso tende a negare la riducibilità dei vari linguaggi al solo linguaggio della scienza.
Ammette la legittimità del linguaggio ordinario, in quanto espressione del senso comune, e della stessa metafisica, in quanto espressione di una possibile nuova visione del mondo.
Un itinerario analogo a quello di Ayer era stato compiuto, precedentemente, da uno dei primi membri del Circolo di Vienna, cioè Friedrich Waismann.
Nato a Vienna nel 1896, assistente di Schlick, trasferitosi in Inghilterra nel 1937, fu professore prima a Cambridge (dove seguì anche i corsi di Wittgenstein) e poi, dal 1939, a Oxford, dove morì nel 1959.
Waismann è autore di opere logico-matematiche, quali la Einführung in das mathematische Denken (Introduzione al pensiero matematico, 1936) e Was ist logische Analyse? (Che cos'è l'analisi logica?, 1938), e di opere di filosofia del linguaggio pubblicate postume, quali The Principles of Linguistic Philosophy (I princìpi della filosofia linguistica, 1965) e How I see Philosophy (La mia visione della filosofia, 1968).
Già nell'Introduzione al pensiero matematico Waismann aveva sostenuto che i concetti fondamentali della matematica, ad esempio quelli dei numeri, si possono definire solo attraverso l'uso che ne viene fatto, e in Che cos'è l'analisi logica? aveva criticato il Tractatus di Wittgenstein, negando l'esistenza di proposizioni elementari a cui ricondurre tutte le altre.
Nelle opere successive, redatte sotto l'influenza del «secondo» Wittgenstein, egli criticò il principio di verificabilità empirica come unico criterio di significanza, contestandone anche la funzione di criterio di validità definitiva di una proposizione; propose invece di cercare il significato dei termini nel loro uso effettivo all'interno del linguaggio ordinario.
Importante è anche la valutazione che Waismann ha dato della filosofia, cioè della metafisica, da lui non più giudicata come un discorso privo di senso, ma anzi apprezzata come intuizione, cioè come capacità di «vedere le cose in modo nuovo», ovvero di «trasformare l'intera scena intellettuale».
Egli continua a ritenere, col neo-positivismo, che la metafisica non sia uno specifico tipo di conoscenza, ma ammette tuttavia che essa ci aiuti a vedere le cose che già conosciamo con occhi diversi, aprendo in tal modo nuovi orizzonti alle nostre conoscenze future.
La metafisica, concepita in tal modo, viene ad essere una specie di progenitrice della scienza, cioè un'intuizione non scientifica, che può, però, trasformarsi in conoscenza scientifica.