Uno dei meriti dell'eleatismo fu certo quello di aver diffuso tra i greci la discussione razionale ed un comune interesse verso temi e problemi che in tal modo si avviano a costituire quel patrimonio comune di conoscenze e di ricerche che prenderà il nome di filosofia.
Con il termine "pluralisti" la storiografia filosofica suole indicare i maestri presocratici che, a seguito dell'interesse nato per la scuola di Elea, tentarono di trovare una soluzione alle difficoltà e ai paradossi che da essa nascevano circa i rapporti tra l'esperienza e il pensiero o la ragione.
In particolare essi immaginarono di muovere da una molteplicità di princìpi, pensati sulla scorta dell'essere parmenideo e - per derivazione da essi - di risolvere in qualche modo il problema del divenire testimoniatoci dall'esperienza.
I più importanti di tali maestri furono Empedocle, Anassagora e Leucippo, che fu anche il fondatore della grande scuola atomistica, con la quale si conclude l'età presocratica.
Empedocle nacque ad Agrigento nel 492 e morì nel 432. Egli fu poeta, medico, mago, taumaturgo e profeta; dotato di una personalità eccezionale, la sua fama toccò vertici considerevoli. Da giovane aveva studiato le dottrine pitagoriche ed eleatiche. In seguito peregrinò in Italia meridionale e in Grecia, ovunque sollevando molto entusiasmo con la sua parola e legando alla sua predicazione turbe di discepoli, dai quali era venerato come un semidio.
La sua morte è avvolta nella leggenda. Dopo un banchetto con i suoi fedeli, all'improvviso scomparve misteriosamente; solo i suoi calzari di bronzo vennero ritrovati sulla bocca dell'Etna e si favoleggiò allora che il vulcano ne avesse rapito il corpo, consacrando Empedocle alla compiuta trasfigurazione in un dio.
Empedocle scrisse due poemi: Le purificazioni e Sulla natura. Ce ne restano un migliaio di versi. Il primo poema mostra evidenti influenze dell' orfismo e infatti Empedocle, come Pitagora, sostenne la teoria della trasmigrazione delle anime. Gli antichi riconobbero ad Empedocle, oltre all' originalità della dottrina, doti di vigoroso poeta.
In palese polemica con gli eleati, Empedocle rivaluta il valore della sensazione. Sebbene incerta e mutevole, gli uomini, i «figli di un giorno», non possono sdegnarne la testimonianza. Anche il pensiero del resto è pieno di dubbi e senza l'apporto della sensazione non può andar lontano.
Sensazione e pensiero devono perciò collaborare nella ricerca della verità. La vita dell'uomo, egli dice, è breve: condannata a pronta morte, essa dilegua come fumo; ognuno di noi si imbatte in poche e incerte esperienze, dalle quali pretende di trarre la verità del tutto, che peraltro ignora e che mai potrà conoscere compiutamente.
Nonostante queste premesse, Empedocle svolge una sua visione complessiva del reale, in cui sono evidenti le influenze dell'eleatismo. Egli però si sforza di rendere compatibile tale influenza con quelle due fondamentali evidenze sensibili (il divenire e il molteplice) che l'eleatismo aveva negato, scandalizzando il senso comune. Come Parmenide, Empedocle nega la realtà del non essere (e correlativamente del vuoto) e quindi del nascere e del perire. Ciò che gli uomini chiamano nascita e morte non è che il combinarsi e il trasformarsi incessante degli elementi della realtà. Tali elementi (come li chiamerà più tardi Platone riferendosi al saggio di Agrigento) Empedocle li chiama «radici di tutte le cose» e li identifica con il fuoco, l'acqua, la terra e l'aria. Ognuna di queste radici ha la compattezza e l'eternità dell' essere parmenideo e sono le combinazioni di tali radici che si mostrano nel divenire e nel movimento.
Divenire e movimento sono a loro volta il risultato dell'azione di due forze opposte: l'Amore e l'Odio, o l'Amicizia e la Contesa, come si potrebbero anche tradurre le corrispondenti espressioni usate da Empedocle. La prima determina l'ordine e l'armonia del mondo (cosmo); la seconda la disgregazione e la separazione (caos). Le due forze si alternano nella prevalenza, dando vita a infiniti cicli cosmici. In particolare, quando l'Amore si espande per tutto l'universo, l'Odio si disperde ai margini, senza mai scomparire del tutto. In seguito l'Odio riprende ad espandersi a sua volta, cacciando l'Amore alle estremità dell'universo, e così di seguito.
Dalle quattro radici Empedocle ricavò anche una sua teoria della conoscenza. Dalle cose, dice, partono degli effluvi che colpiscono i sensi, penetrando attraverso i pori. Poiché anche il corpo dell'uomo è composto delle quattro radici fra loro mescolate, esso è in grado allora di sentire la terra con la terra, l'acqua con l'acqua ecc. L'uomo perciò conosce «il simile con il simile».
Empedocle studiò a fondo gli organi sensitivi degli uomini e degli animali e le sue osservazioni ispirarono la nascita di una scuola medica siciliana che ebbe notevole fama.
Anassagora nacque a Clazomene nel 499 e fu il primo a portare la filosofia ad Atene, dove fu amico di Pericle. Le sue teorie razionalistiche gli procurarono un'accusa di empietà. I ceti tradizionalisti della società ateniese intendevano così porre un freno alle novità introdotte dalla riflessione filosofica, novità che minacciavano le antiche credenze religiose. È però possibile che, colpendo Anassagora - come il grande scultore Fidia, accusato a sua volta di empietà per essersi ritratto, a dire dell' accusa, nel celebre fregio del Partenone - si volesse in realtà colpire Pericle attraverso la cerchia dei suoi amici. Anche la politica di Pericle si ispirava infatti a criteri razionalistici nuovi e illuminati e disponeva di un potere tanto ampio quanto inviso ai suoi avversari.
Anassagora non affrontò il processo, ma preferì fuggire a Lampsaco, ove aprì una scuola e morì nel 428. Di lui ci restano frammenti di un' opera che ebbe vasta fama (Sulla natura).
Anche Anassagora accoglie la tesi parmenidea dell' eternità del tutto: nulla nasce e muore, ma ogni cosa è frutto di combinazioni, cioè di unione e separazione.
Come Empedocle (del quale può essere che abbia subito l'influenza) Anassagora cerca di risolvere i due problemi lasciati aperti dagli eleati: la molteplicità e il movimento.
Quanto al primo, egli stabilisce il carattere originario di tutte le molteplici qualità che compongono la natura e che ci testimoniano i sensi. Chiamò tali qualità semi. Aristotele, riferendo il suo pensiero, le definì omeomerie ("particelle similari"). Questi semi sono irriducibili (ogni qualità è come un compatto essere parmenideo, impenetrabile dalle altre qualità). Inoltre i semi sono indistruttibili: per quanto tu divida un pezzetto di osso, diceva Anassagora, avrai sempre particelle di osso, via via più piccole all'infinito.
In natura però i semi non stanno mai separati. In ogni fenomeno reale, per quanto piccolo, non è contenuto un solo seme, ma tutti. «Tutto è in tutto», diceva Anassagora, e ciò che muta è solo la proporzione quantitativa dei semi.
Questo spiega sia il prevalere di certe qualità a differenza di altre, come mostrano le nostre sensazioni, sia il divenire continuo delle cose. Infatti se una foglia a noi appare verde è perché in essa i nostri sensi non scorgono la presenza di tutti gli altri semi colorati; percepiamo infatti solo la qualità predominante del verde.
D'altra parte la stessa foglia può apparirei in seguito gialla o rossa, perché il rapporto quantitativo dei semi in questione è intanto mutato. In modo analogo si spiegano anche tutte le altre trasformazioni che vediamo in natura: per esempio come accade che il pane e l'acqua di cui ci nutriamo si trasformino in carne, ossa e sangue; oppure come dal caldo si passi al freddo, dal secco all'umido e così via.
A tali trasformazioni presiede un principio dinamico ordinatore, analogo nella funzione all' Amicizia e alla Contesa di Empedocle, ma differente nella sua natura. Anassagora chiamò infatti tale principio "mente" (nous) e gli attribuì prerogative divine (donde presumibilmente l'accusa di empietà nei confronti delle credenze religiose tradizionali).
Sia Platone sia Aristotele riconobbero ad Anassagora il merito di aver introdotto per primo nella natura un principio cosmico intelligente, sebbene senza aver approfondito in modo adeguato la natura di tale pensiero, ancora concepito come una forza puramente materiale.
Come Empedocle, anche Anassagora rivendica, contro gli elelati, il valore della sensazione, pur riconoscendone i limiti. I sensi, infatti, sanno cogliere le qualità quantitativamente emergenti nelle cose, ma non sono in grado di avvertire tutte le altre qualità che pure sono presenti. Nondimeno, ciò che si presenta ai sensi è «una visione dell'invisibile», cioè un indizio della vera realtà delle cose alla quale i sensi ci indirizzano allusivamente.
Diversamente da Empedocle, Anassagora spiega però il meccanismo della sensazione e della conoscenza in virtù del principio dei contrari. Non il simile conosce il simile, ma è per esempio il freddo che, per contrasto, sente il caldo, il dolce l'amaro e così via.