Con il regno di Luigi XIV, che si estese fino ai primi quindici anni del '700, il '600 diventò un "secolo lungo". Lo stato assoluto trovò la sua apoteosi e salde fondamenta per imporre unità al paese. La Francia, illuminata dal suo Re Sole, si assicurò la supremazia politica in Europa e diventò una potenza coloniale di livello internazionale, imponendo un modello governativo. Mazzarino morì nel marzo 1661.
"Grazie a Dio è finalmente crepato!" Queste parole, attribuite a Maria Mancini (nipote del cardinale, denominata "la Mazarinette"), riflettevano lo stato d’animo di gran parte dell’aristocrazia (e probabilmente dello stesso re) nei riguardi del ministro che aveva dominato per vent’anni.
Luigi divenne finalmente il re di Francia. A chi attendeva la nomina di un successore del cardinale, egli rispose: "D’ora in poi sarò io il mio primo ministro". Aveva 22 anni, era stato umiliato dalla Fronda, ma aveva ereditato una Francia egemone in Europa e aveva anche avuto un precettore di prim’ordine.
Ridotti gli esponenti dell’antica nobiltà al rango di cortigiani, egli cercò i suoi ministri nella file della borghesia e per loro creò il Consiglio del re; l’ultima parola spettava però sempre a lui.
Ordinò ai segretari di stato di non firmare alcun documento se prima non avessero ricevuto l’ordine dal re in persona e impose di essere messo al corrente ogni giorno di tutti gli affari, sia di stato, sia ordinari. Solo al timone dello stato, Luigi XIV si circondò di pochi ma capaci collaboratori: Colbert alle Finanza, Le Tellier alla guerra e de Lionne agli Esteri.
Nessun uomo di chiesa era membro del Consiglio, che si riuniva la domenica, il lunedì ed il mercoledì, sempre presieduto dal sovrano. Nel 1661, su iniziativa regia, fu creato il Consiglio delle Finanze, nel ’64 il Consiglio del Commercio e nel ’73 il Consiglio privato, l’autorità legale e amministrativa più alta. Nel 1712 fu istituita l’Accademia Politica, che doveva formare le giovani generazioni agli incarichi di governo.
I corrotti e gli onnipotenti furono esautorati ed eliminati, a cominciare dal celebre Nicolas Fouquet (1615-1680), ministro della Giustizia e sovrintendente alle Finanze.
Dispotico sul piano interno, "signore della guerra" in politica estera, il "Sole" tramontò la mattina del 1° settembre 1715: morì pochi giorni prima di compiere 77 anni, dopo aver regnato per ben 72 anni. La Francia era però sfinita dalla logorante politica di potenza e, forse, accolse la sua morte come una liberazione.
Nato nel 1619, a Reims, da una famiglia borghese di mercanti, Jean-Baptiste Colbert fu il potentissimo ministro delle finanze o, come allora si diceva, il controllore generale del regno di di Luigi XIV. Già collaboratore del cardinale Mazzarino, che lo aveva raccomandato al re come suo successore, Colbert si impegnò a trasformare la Francia da paese agricolo a nazione commerciale e industriale, ponendo le forze dello stato al servizio di un espansionismo che doveva promuovere il commercio d’oltremare, sul modello dell'aggressiva politica coloniale dell’Inghilterra e delle Province Unite.
L’indirizzo vincente di politica economica di Colbert è stato definito "colbertismo", una forma di "mercantilismo" fondata su un sistema protezionistico che colpiva con alti dazi le merci straniere, stimolando al contempo le industrie nazionali e attirando con buoni salari la manodopera specializzata.
Per estendere il raggio del commercio nazionale, egli favorì l’attività delle compagnie di colonizzazione (furono attivate le Compagnie del Levante, del Nord, delle Indie occidentali).
Alla base dei suoi interventi vi era il presupposto che la ricchezza di un paese si misurasse esclusivamente sull’abbondanza del "numerario", cioè dalle risorse monetarie presenti nelle casse dello stato. "Il commercio - scriveva il ministro nel 1666 - è la sorgente delle finanze ed esse sono il nerbo vitale della guerra".
Il mantenimento dell’esercito era, infatti, uno dei problemi principali in un’epoca costellata di conflitti, che turbavano l’Europa e i rapporti internazionali; l'aggressiva politica del Re Sole, inoltre, presupponeva la creazione di un forte e stabile contingente militare.
I soldati francesi erano regolarmente stipendiati e mantenuti a spese dello stato anche in caso di invalidità, e il deficit di bilancio si faceva sempre più forte. Dal 1688 era stata introdotta la leva obbligatoria che colpiva le classi sociali inferiori. Tra il Re Sole e Colbert la collaborazione fu stretta, fino a quando il sovrano iniziò a preferirgli Le Tellier, marchese di Louvois, ministro della guerra e creatore dell'esercito.
Non amato invece dalla corte, Colbert fu uno dei maggiori uomini di stato nell’Europa moderna. Protettore delle scienze e delle arti, egli fondò nel 1666 l’Accademia delle Scienze, l’Osservatorio di Parigi e l’Accademia di Francia a Roma. Morì a Parigi nel 1683.
Alle regole del più rigido assolutismo fu improntata la politica religiosa di Luigi XIV che mirava al consolidamento del potere regio inteso come diretta emanazione della volontà divina.
Sul fronte cattolico mirò a ridurre l'influenza della Curia di Roma sulla vita della chiesa francese, secondo le antiche dottrine gallicane francesi (che teorizzavano la limitazione dell'autorità pontificia sulle questioni temporali in favore di quella della monarchia); sul fronte protestante cercò di sradicare gli ultimi seguaci del calvinismo per ristabilire l'unità religiosa della nazione.
In questo senso nel 1685 il Re Sole compì uno degli atti più discussi del suo regno e forse uno dei suoi più grandi errori: revocò l’Editto di Nantes.
Da quella data essere protestante fu illegale e la conseguenza fu che oltre duecentomila industriosi borghesi (professionisti, artigiani, commercianti, banchieri), in prevalenza ugonotti, lasciarono il paese e portarono la loro competenza e i loro saperi nelle Province Unite (e di qui in seguito in Sudafrica), in Germania, in Svizzera, nel Brandeburgo.
L’intolleranza e la persecuzione furono rivolte anche contro altre forme di dissenso religioso che erano sorte in ambito cattolico; ad esempio contro il "giansenismo", il movimento nato dalle tesi da Cornelius Jansen (1585-1638), ex vescovo di Ypres, che sosteneva, contro i gesuiti, un rafforzamento del potere episcopale e la teoria agostiniana della necessità della grazia divina per il conseguimento della salvezza eterna.
Il giansenismo, di cui Blaise Pascal (1623-1662) fu il più famoso esponente, ebbe le sue roccaforti in due magnifici conventi: Port-Royal, a Parigi, e Port-Royal-des-Champs vicino a Versailles.
Il re sciolse con la forza la congregazione (1709) e fece distruggere il secondo monastero (1710), prima ancora che il papa dichiarasse eretico il movimento (1713). Fu perseguitato anche il "quietismo", un movimento mistico fondato sull’affermazione della "preghiera di quiete", e consistente in un atteggiamento di totale abbandono e di pura contemplazione del fedele di fronte a Dio.
Inazione e passività non potevano piacere a Luigi XIV che appoggiò Bossuet (1627-1704), teorico dell'assolutismo per diritto divino, nella disputa dottrinale con Fénélon, deciso sostenitore del quietismo e di un potere sovrano rispettoso della legge.
Nel 1699 il re convinse il papa a condannare il movimento come "erroneo", anche se non eretico.
Se Mazzarino, abilissimo diplomatico, aveva conseguito la sicurezza della Francia attraverso una rete capillare di accordi, Luigi XIV, invece, affidò la sua politica estera alle armi. Nel 1667-1668 si scontrò per la prima volta con la Spagna per il possesso dei Paesi Bassi in quella che fu detta "guerra di Devoluzione".
La scomparsa di Filippo IV di Spagna (1665), (suocero di Luigi XIV) aveva lasciato il trono al figlio di secondo letto Carlo II, un bambino di cinque anni, scavalcando Maria Teresa moglie del sovrano francese, nata dal suo primo matrimonio.
Poiché il diritto privato dei Paesi Bassi, stabiliva in questi casi la "devoluzione" dei beni paterni agli eredi di primo letto, Luigi rivendicò quei territori per la consorte. Con la pace di Aix-la-Chepelle (Aquisgrana) guadagnò Lilla e undici città fortificate dei Paesi Bassi, ma provocò una guerra con l’Olanda (1672-1678), che temeva l’espansione della Francia.
Non furono estranei al conflitto, sul versante francese, la componente religiosa e gli interessi commerciali, data l’esigenza di Colbert di ridurre la forte concorrenza economica da parte di quel paese. Ottenuta la neutralità dell’Inghilterra e l’alleanza della Svezia, l’esercito francese varcò il Reno, ma gli olandesi, guidati dal ventiduenne stathoulder Guglielmo III d’Orange (futuro re d'Inghilterra), aprirono le dighe e inondarono il proprio territorio.
Nel 1673 anche la Spagna e l’impero entrarono in guerra al fianco dell’Olanda. Le campagne si intensificarono, con vicende alterne su vari fronti (gli svedesi furono annientati dai brandeburghesi a Fehrbellin nel 1675) fino alla pace di Nimega del 1678.
Per i francesi i risultati furono relativamente modesti (l’annessione della Franca Contea), ma Luigi riuscì a propagandare l’evento come una grande vittoria e venne salutato in patria come "Luigi il Grande". In effetti aveva sconfitto una formidabile coalizione e imposto all’Europa il proprio ordine che durò per almeno un decennio.
L’economia e la finanza della Francia erano prospere, il paese era all’avanguardia anche nelle arti e nelle scienze: si parlò allora di una vera e propria "età dell’oro" che trovò la sua espressione più luminosa nell’affermarsi della corrente artistica del classicismo. La fine del secolo vide ancora il re impegnato in una serie di guerre, praticamente da solo contro l’intera Europa.
Alla guerra della Lega d’Augusta o "dei Nove anni" (1688-1697), durante la quale si contrapposero alla Francia Svezia, Spagna, Baviera, Franconia, Sassonia e Palatinato seguì, nel nuovo secolo, la guerra di successione spagnola (1701-1713), che portò sul trono iberico, lasciato vacante da Carlo II, Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV.
Se Luigi XIV,riuscì a far coincidere l’immagine della propria magnificenza col nuovo peso politico acquisito dalla Francia in campo internazionale, una delle opere che riuscì meglio ad esprimere questo ruolo, e il carattere assoluto che contraddistingueva la monarchia per diritto divino, fu la creazione di una nuova residenza della corte a Versailles.
Fu uno di quei luoghi speciali nei quali un’epoca trovava il suo culmine, dai quali si intuivano i mutamenti dei costumi, della diplomazia, dell'arte; dai quali si captavano le trasformazioni che stavano scuotendo l’Europa. Un piccolo castello costruito nel 1624 a Versailles, alla periferia occidentale di Parigi, come residenza di caccia di Luigi XIII, poco lontano da un villaggio circondato da paludi e da boschi ricchi di selvaggina, si trasformò, durante il regno di Luigi XIV, in una sontuosa reggia.
Il re era rimasto impressionato dalla sontuosità di Vaux-le-Vicomte il castello che aveva causato la rovina del sovrintendente Fouquet.
Non amando Parigi, roccaforte della Fronda, il sovrano volle una "capitale" tutta sua, congeniale alla sua persona e al suo potere. Asceso al trono, Luigi si apprestò a trasformare l'anonimo castello feudale del padre in reggia, creando così il suo personalissimo capolavoro perché nulla venne realizzato senza che egli lo progettasse, lo studiasse, lo discutesse e lo approvasse.
L’architetto Louis Le Vau (1612-1670) iniziò i lavori nel 1668, sette anni dopo l’ascesa al trono del Re Sole, sostituito poi da Jules Hardouin-Mansart (1646-1708). André Le Nôtre (1613-1700) fu il creatore geniale dei giardini. Il pittore di corte Charles Le Brun (1619-1690), uno dei più rinomati nel panorama artistico parigino, dirigeva intanto un esercito di decoratori, scultori, mobilieri e tappezzieri, intenti all’arredamento e agli abbellimenti interni.
Al servizio dell’entusiasmo del re lavorarono giornalmente trentamila uomini e seimila cavalli. I costi di costruzione salirono ogni anno in modo vertiginoso: 5 milioni di lire tornesi (quasi l’equivalente di 4 tonnellate d’oro) nel 1669, 6 milioni nel 1670, 20 nel 1671, e Colbert fu angustiato da quello che giudicò un colossale spreco. Ma Luigi non volle sentire critiche. "Le roi c’est moi". Io sono il padrone.
I lavori di edificazione della reggia durarono quasi cinquant’anni, con varie interruzioni nei periodi di guerra ma, già dal 1682, il re aveva lasciato il Louvre per trasferirsi qui con tutta la sua corte. Una sontuosa inaugurazione era già avvenuta, a cantiere aperto, nel 1664.
Fu un'opera colossale: Luigi XIV trasformò in reggia un padiglione di caccia; trovò una palude e ne ricavò i più splendidi giardini d’Europa; non vi era panorama e lo creò trasformando la natura.
La corte del Re Sole, a Versailles, contava migliaia di persone, tra nobili e servitori, tutti alloggiati nella reggia e negli edifici attigui.
Memore della rivolta della Fronda, che lo aveva costretto ancora bambino all’esilio nel 1649, il sovrano preferì circondarsi della nobiltà per controllarne le mosse e per impedire che nascessero forze di opposizione alla corona.
La vita a Versailles fu un inno alla gioia ma fu anche piena di intrighi e di fermenti perché tutti, in quel microcosmo, volevano attirare l’attenzione e il favore del monarca. Il destino di una dama o di un gentiluomo potevano essere decisi da un passo di danza, da un motto di spirito, da un saluto, da un invito.
In quel gran teatro delle feste dove ogni gesto assumeva un peso incredibile, vigeva un rituale perfetto, scandito dalle azioni di Luigi XIV: il lever e il coucher del Re Sole erano affari di stato e segnavano la nascita e il tramonto del giorno; i cortigiani si affollavano nell’anticamera, ansiosi di offrire un indumento e onorati, magari, di potersi inchinare per far calzare una scarpa al reale piede.
Le passeggiate, i pasti (ai due sontuosi pasti quotidiani partecipavano decine di "fortunati"), i giochi, e persino l’amore erano soggetti a una rigida etichetta dalle mille sfumature, che il re dirigeva da abilissimo regista. I cortigiani ne erano affascinati e atterriti nello stesso tempo.
La corte consacrava le mode e seguirle era una necessità. Il re amava lo sfarzo e le novità e i cortigiani, per adeguarsi a questa passione del sovrano erano costretti a possedere una gran quantità di merletti, nastri, fronzoli e parrucche.
A suggerire i dettami per le dame erano, naturalmente, le amanti del re. Nelle parrucche si sbizzarriva la fantasia: erano edifici complicati sostenuti da intelaiature in fil di ferro che salivano sopra la testa a un’altezza smisurata e che venivano dette, appunto, monte-au-ciel (sali in cielo). La danza era uno degli intrattenimenti più in voga ed era praticato con entusiasmo a corte; lo stesso Luigi XIV si esibiva come ballerino.
Proprio in quest’epoca e in questo ambiente ebbe origine un buon numero di nuove danze (gavotta, bourrée, minuetto, passepied, ciaccona). Musica, teatro, danza, giochi pirotecnici erano il complemento ordinario delle sfarzose feste; vi furono impiegati i maggiori artisti dell'epoca.