La situazione internazionale nella seconda metà dell'Ottocento
L’età vittoriana
L’Inghilterra dal 1837 al 1901 vive il lungo regno della regina Vittoria che dà nome a quest’epoca nota come età vittoriana.
L’Inghilterra non era stata attraversata dalle rivoluzioni del ’48 e, nonostante i problemi sociali e politici, si era incamminata verso un ulteriore crescita economica che aveva portato un relativo benessere anche a ampi strati della classe operaia.
L’idea stessa del progresso e del benessere venne celebrata assieme all’esaltazione delle doti individuali necessarie per affermarsi e per migliorare la propria posizione senza danneggiare quella altrui.
Quest’epoca è ricordata anche per l’alto senso morale che poggiava le sue basi sul senso della famiglia e sulla rispettabilità.
La vita politica era segnata dai due principali partiti inglesi che si alternano al potere.
In un primo tempo si affermano i liberali guidati da Palmerston e da Gladstone.
Palmerston era un moderato e durante i suoi governi cercò sempre di operare riforme con grande prudenza.
Gladstone, diventato primo ministro nel 1868, istituì il voto segreto in parlamento e riformò la scuola e l’economia.
Gli successe alla guida del governo il conservatore Disraeli che assunse posizioni riformiste tali da ottenere in taluni casi l’appoggio del partito liberale, a testimonianza che la vita politica era legata più all’attività dei singoli ministri che a ragioni ideologiche.
Gladstone torna al potere nel 1880 e da vita a una riforma elettorale che raddoppia il numero degli elettori e avvia un’efficace legislazione sociale che garantiva assicurazioni sociali e sussidi ai disoccupati migliorando le condizioni dei lavoratori.
Nel corso dell’ottocento gli Inglesi aumentano la loro presenza in India puntando a occidentalizzare il paese.
Ma questo provoca forti tensioni sfociate nel 1857 in una rivolta dei soldati indiani arruolati nell’esercito inglese.
La rivolta venne repressa e nel 1858 gli inglesi impongono un sistema giudiziario e una legislazione simile a quella inglese.
Nel 1877 la regina Vittoria viene incoronata imperatrice delle Indie.
Napoleone III
Luigi Napoleone Bonaparte aveva vinto a sorpresa le elezioni del ’48 e nel giro di tre anni riuscì a modificare la seconda repubblica trasformandola in un dominio personale.
Nel 1851 come primo atto sciolse il parlamento.
Nel 1852 con un primo plebiscito si fece nominare presidente della repubblica per dieci anni.
Un successivo plebiscito gli regalò il titolo imperiale come Napoleone III.
Viene istituito un nuovo parlamento chiamato Corpo Legislativo che in realtà non ha alcuna funzione legislativa in quanto può solo ratificare le leggi proposte dallo stesso Napoleone III.
Nasce così un regime del tutto particolare perché la politica dei plebisciti gli dava un notevole consenso, soprattutto tra i contadini, e non può essere dunque considerato solo come un modello autoritario.
Il consenso aveva alla base soprattutto la borghesia finanziaria e imprenditoriale francese grazie anche alle agevolazioni verso le imprese e alla campagna di grandi opere pubbliche, come le reti stradali e ferroviarie, le condotte idriche e fognarie urbane che creavano posti di lavoro e importanti opportunità per lo sviluppo economico.
Tra gli obiettivi principali di Napoleone III c’era anche quella di una grande ristrutturazione della stessa Parigi che acquista l’attuale fisionomia fatta di ampi viali, al posto delle strette strade della città medievale.
In realtà non aveva solo l’obiettivo di lasciare un’impronta sulla città ma anche di garantire l’ordine pubblico.
Molte rivoluzioni a Parigi avevano avuto vita facile perché non era difficile costruire barricate in strade così strette ammassando mobili e altre masserizie gettate dalle finestre, stringendo d’assedio tutti i principali centri dello stato.
Con i nuovi larghissimi viali l’impresa delle barricate diventava quasi impossibile in tempi brevi.
La politica estera è segnata dalla partecipazione alla guerra del Piemonte contro l’Austria nella speranza di sostituire l’Austria in Italia.
In realtà la guerra si risolse con l’acquisizione di Nizza e della Savoia e fu parzialmente un insuccesso.
Inoltre la sua politica di supremazia europea era entrata in crisi con la crescita della Prussia che negli anni sessanta stava portando avanti il processo di unificazione tedesca.
Lo scontro tra le due potenze a Sedan nel 1870 segnò un’umiliante sconfitta francese e la fine dell’Impero di Napoleone III che venne sostituito da una nuova repubblica.
L’impero germanico
Nel 1861 salì al trono in Prussia Guglielmo I che l’anno seguente nominò come cancelliere Otto von Bismarck un conservatore che apparteneva alla classe sociale degli Junkers i proprietari terrieri che formavano l’aristocrazia della Prussia.
L’obiettivo del nuovo Imperatore e del suo cancelliere era quello di raggiungere la piena unità della Germania.
La divisione politica rallentava lo sviluppo tedesco iniziato con l’unione doganale del 1834 per favorire lo sviluppo di un mercato interno tedesco.
Il primo obiettivo era quello di estromettere l’Austria dalla confederazione germanica.
Nel 1866, alleatasi con l’Italia, la Prussia sconfigge l’Austria a Sadowa e la estromette dalla nuova confederazione tedesca del nord nel 1867.
Grazie a questa vittoria prussiana l’Italia, anche se sconfitta, ottiene il Veneto.
Ma la Francia di Napoleone III era allarmata per la crescita della Prussia che mirava a uno stato tedesco molto forte ai suoi confini.
Per questo Bismarck spinge la Francia a dichiararle guerra e a Sedan, nel 1870, le infligge una pesante sconfitta e conquista anche l’Alsazia e la Lorena, regioni francesi sul confine tedesco.
Nel gennaio del 1871 viene dichiarata la nascita dell’Impero tedesco dall’unione della Prussia e degli stati facenti parte della confederazione germanica.
Il nuovo stato aveva una struttura federale con a capo l’imperatore.
Ogni stato manteneva le sue istituzioni e si creava un parlamento diviso in due camere, una eletta a suffragio universale in tutta la Germania, l’altra invece composta dai rappresentanti di tutti i singoli stati.
Guglielmo I fu il primo imperatore e Bismarck il primo cancelliere della federazione.
Inizialmente Bismarck cercò di contrastare il partito dei cattolici ma poi, resosi conto che il vero pericolo per il nuovo stato era la crescita del partito socialista, decise di allearsi con i cattolici e fece approvare dal parlamento una legislazione sociale molto avanzata in difesa dei lavoratori, sperando che questo togliesse credito presso le classi lavoratrici al partito socialista.
La guerra di secessione americana
Nel 1861 l’unità degli Stati Uniti rischiò di concludersi per la crisi nei rapporti tra gli stati del nord e quelli del sud.
Il nord era in grande crescita grazie allo sviluppo industriale e si era diffuso nell’opinione pubblica un sentimento contrario alla schiavitù largamente praticata nei latifondi degli stati del sud.
Inoltre, le differenze di politica economica tra i due blocchi erano abbastanza forti.
Il nord era più propenso a una politica protezionistica per salvaguardare l’industria e i suoi prodotti nel mercato interno.
Il sud invece era contrario perché le sue produzioni erano dirette in larga misura anche ai mercati esteri e perciò non voleva nessun vincolo alla libertà nei commerci.
Le differenze diventano esplosive quando nel 1860 viene eletto alla presidenza degli Stati Uniti Abraham Lincoln, contrario al mantenimento del regime di schiavitù e alla sua estensione nei nuovi stati del sud.
Dopo che gli stati del sud abbandonano gli Stati Uniti e fondano una confederazione autonoma si scatenò una sanguinosa guerra civile che si concluse solo nel 1865 con la sconfitta dell’esercito del sud e l’abrogazione della schiavitù.
In realtà per i neri d’America cambiò ben poco perché in molti casi furono costretti ad emigrare negli stati del nord e a lavorare in condizioni di grave sfruttamento nelle fabbriche.
Quelli che restarono al sud dovettero fare i conti con l’odio razziale verso di loro che, subito dopo la guerra persa, porta alla fondazione del Ku Klux Kan un’organizzazione che con metodi violenti e brutali tentava di impedire ai neri l’esercizio dei diritti civili.
Nel frattempo continuava silenziosa la guerra non dichiarata contro i pellerossa che vennero confinati definitivamente in riserve dalle quali non potevano uscire.
Le azioni militari e i massacri nei loro confronti continuarono sino al 1890.
La società europea nella seconda metà dell'Ottocento
L’economia nella seconda metà dell’ottocento
Dopo una fase di prolungato e intenso sviluppo industriale, soprattutto nell’Europa continentale e negli Stati Uniti, agli inizi degli anni settanta la crescita economica subisce una battuta d’arresto.
Già nel biennio 1856-58 c’era stata una prima crisi finanziaria provocata dalla caduta dei titoli in borsa.
Ma nel 1873 le cause della crisi sono da ricercare nella sovrapproduzione industriale, soprattutto in due nazioni nel pieno della loro espansione industriale quali gli Stati Uniti e la Germania.
In realtà la crisi fu percepita con forza anche in Inghilterra e in Francia e di conseguenza un po’ in tutti i paesi industriali.
Si tratta ovviamente di schemi per analizzare l’epoca che non vanno presi troppo alla lettera perché in altre nazioni, in ritardo sullo sviluppo industriale come l’Italia o il Giappone, la crisi non fu percepita negli stessi termini.
Di fatto la causa della frenata fu determinata dalla crescita eccessiva della produzione rispetto a quanto si riusciva poi a vendere realmente.
Si crearono grosse giacenze di merci invendute e ciò provocò il crollo dei prezzi anche del 40% e il licenziamento degli operai.
Questa fase durò almeno sino alla metà degli anni novanta e venne definita per questo Grande Depressione.
Il vero aspetto negativo è dato dal fatto che la crescita economica rallentò rispetto ai decenni precedenti e non ci fu un’espansione ulteriore dei miglioramenti di vita garantiti a coloro che erano già coinvolti dallo sviluppo economico.
Durante questa fase si avviò anche una profonda ristrutturazione dei settori industriali più danneggiati dalla crisi.
Molte fabbriche più piccole vennero inglobate nelle aziende più forti e si assiste a una concentrazione dell’industria, e più in generale dell’economia, in poche mani.
Un po’ dappertutto emergono alcune grandi figure di magnati dell’industria e della finanza che controllano ormai interi grandi settori produttivi e talvolta anche le banche.
Viceversa i banchieri importanti che finanziano gli imprenditori determinano le scelte economiche di tante nazioni.
Il movimento operaio
Lo sviluppo del movimento operaio comincia in Europa con la diffusione dell’industrializzazione.
Diversi intellettuali, come Proudhom, Blanqui e Blanc, già negli anni quaranta dell’ottocento, cercavano soluzioni ai problemi dei lavoratori con proposte che scaturivano da diverse concezioni della società.
Successivamente negli anni sessanta l’anarchico Bakunin è stato molto attivo trai contadini in Italia e in Spagna.
Le sue azioni insurrezionali miravano alla negazione di ogni autorità.
Dunque non solo l’abolizione di ogni forma di proprietà privata ma anche la distruzione di ogni forma di istituzione, compreso lo stato.
Per questo gli anarchici ritenevano che l’azione rivoluzionaria che avrebbe dovuto portare a questa distruzione radicale dovesse arrivare spontaneamente dal basso.
Le idee anarchiche in Italia contribuirono a formare le prime associazioni di lavoratori.
In seguito alle numerose manifestazioni di protesta degli operai per le loro condizioni economiche alcuni intellettuali ebbero l’idea di una grande organizzazione internazionale di tutti coloro che avevano organizzato associazioni di lavoratori.
Nacque così l’Associazione Internazionale degli Operai, nota come I Internazionale, alla quale aderirono gruppi di formazione molto diversa tra di loro.
Oltre gli anarchici erano rappresentati i mazziniani italiani, i francesi legati al socialista Blanqui, il movimento sindacalista inglese e i tedeschi vicini alle idee di Lassalle così come quelli che erano vicini a Marx.
Marx diventa il protagonista indiscusso di questa prima fase e combatte aspramente contro le idee anarchiche sino al punto che nel 1872, quando i rapporti tra Marx e Bakunin divennero molto tesi, l’internazionale si divise e gli anarchici tentarono di fondare una loro associazione che però non sopravvisse se non pochi anni.
Marx da questo momento assunse uno ruolo fondamentale negli sviluppi del movimento operaio anche se proprio in Inghilterra, dove la classe operaia era più numerosa e meglio organizzata, le sue idee non ebbero un influsso significativo.
Dalle sue idee nel 1885 nasce la seconda internazionale con Bernstein, convinto di migliorare le condizioni di vita degli operai attraverso riforme politiche e sociali, e Kautsky che voleva un socialismo intransigente e rivoluzionario.
Il colonialismo
Con la sconfitta francese a Sedan nel 1870 ad opera dei tedeschi, in Europa si visse un periodo di pace nel quale non ci furono conflitti tra le diverse nazioni.
In realtà a partire dagli anni ’80 il conflitto si sposta verso la nuova frontiera emergente legata all’espansionismo coloniale in Africa e Asia che coinvolse, quasi nello stesso tempo, i principali stati europei.
Il ruolo principale era detenuto da Inghilterra e Francia che crearono un enorme impero coloniale occupando moltissimi paesi africani e rischiando, in qualche caso, anche di entrare in conflitto per l’interesse comune su certe regioni.
In Asia l’espansionismo delle due principali potenze avvenne senza particolari conflitti in quanto gli Inglesi, che già possedevano l’India, tendevano ad espandersi verso la Birmania mentre la Francia aveva di mira il resto del sud-est asiatico.
Anche il Belgio partecipò alla corsa coloniale occupando il Congo, che sottopose a un pesante sfruttamento, mentre la Germania occupò il Togo e il Camerun.
Per evitare contatti militari e incidenti tra le varie potenze si riunì a Berlino nel 1884-85 una conferenza con la quale le varie potenze definirono le rispettive zone d’influenza in Africa.
Lo sfruttamento delle colonie era una delle misure che permetteva alle varie economie, penalizzate dalla crisi economica, di ottenere materie prime a basso costo e di avere nuovi mercati per le proprie merci.
Sul piano ideologico, soprattutto gli inglesi avevano giustificato l’intensa colonizzazione come una sorta di missione da parte degli europei con l’obiettivo di portare la civiltà ai rozzi popoli primitivi dei vari paesi.
Nel modello coloniale inglese si sviluppa anche un particolare sistema di autogoverno dei territori occupati chiamato dominion.
In pratica quando i territori conquistati erano scarsamente popolati venivano colonizzati da inglesi sino a creare una superiorità rispetto ai pochi indigeni.
In questi casi, come in Canada, l’Inghilterra concedeva a questi territori lo statuto dei dominions con un governo e un parlamento propri.