Nell’ottocento si assiste a un grande sviluppo dell’agricoltura soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti. La produzione agricola aumentò notevolmente grazie al massiccio impiego di capitali che permettevano un efficace ammodernamento con l’introduzione e la diffusione delle macchine e l’uso dei concimi chimici.
Inoltre nuovi produttori si affacciavano sul mercato internazionale contribuendo all’aumento delle derrate alimentari in commercio, particolarmente la Russia e la Polonia che avevano grandi produzioni di grano.
In questo caso la produzione si basava sull’estensione dei terreni dedicati alla produzione e non tanto sulla modernità dei metodi di produzione intensiva applicati nelle regioni più moderne.
Il risultato fu comunque così significativo da fare di queste due nazioni i rifornitori di grano del resto d’Europa.
Ma questa situazione di abbondanza comporta nuovi problemi a cui l’Europa non era abituata.
Prima di questa fase di grande sviluppo, quando si parla di crisi agricole ci si riferisce alle carestie che hanno flagellato nei secoli la produzione.
Nell’ottocento ci fu, in effetti, una grande carestia in Irlanda quando una malattia distrusse i raccolti di patate nel ’46 e nel ’47.
Ma le ricorrenti crisi agrarie del secolo sono causate dalla stessa abbondanza della produzione.
Si trattava, in altre parole, di crisi di sovrapproduzione. Siamo davanti a quel fenomeno che accade quando l’offerta di prodotti in vendita, agricoli e non, è superiore alla domanda da parte dei consumatori e i prodotti rischiano di restare invenduti.
Per evitare questo rischio i prezzi tendono a scendere ma il risultato, che certamente soddisfa chi deve acquistare, fa calare il valore dei prodotti in maniera eccessiva e mette in difficoltà gli agricoltori che ricavano troppo poco dalla vendita dei loro raccolti.
Per far fronte a queste crisi ricorrenti in Inghilterra nel 1815 viene approvata la legge sul grano con la quale si cercava di limitare le importazioni di grano per evitare che il prezzo calasse troppo danneggiando i produttori inglesi. La legge venne abolita in seguito perché danneggiava la produzione industriale inglese che chiedeva una piena applicazione del principio del libero scambio, cioè della piena libertà di commercio, per vendere anche all’estero le sue merci.
Infatti molte nazioni cercavano di non acquistare merci inglesi per ritorsione contro la legge sul grano che impediva di vendere liberamente in Inghilterra i proprio prodotti agricoli.
La rivoluzione industriale, nata con l’uso della macchina a vapore nelle manifatture tessili, trovò il suo prodotto simbolo nello sviluppo delle ferrovie.
Grazie all’impiego dei treni c’era la possibilità di migliorare i commerci e sviluppare il trasporto dei passeggeri.
Questo permette di dare alla macchina a vapore una diffusione anche in quelle nazioni che non hanno uno sviluppo manifatturiero.
Inoltre l’uso del motore a vapore favorì anche il trasporto navale che smette di dipendere dalla navigazione a vela e diventa più rapido e più economico.
In questa fase la rivoluzione industriale comincia ad affermarsi anche fuori dall’Inghilterra, soprattutto negli Stati Uniti che facevano delle ferrovie il punto di partenza dello sviluppo economico, in un territorio che andava estendendosi con i nuovi stati e aveva bisogno di collegamenti interni efficaci.
Agli Stati Uniti si deve anche l’invenzione del sistema che consisteva nella costruzione di macchine con i pezzi intercambiabili che permettevano di sostituire i pezzi danneggiati senza buttare via l’intera macchina.
Il sistema si diffuse rapidamente anche nelle altre nazioni industrializzate.
L’industria europea comincia il suo sviluppo a partire dalle nazioni ricche di ferro e carbone nel sottosuolo come la Francia e il Belgio.
Il ritardo del resto d’Europa rispetto agli inglesi si spiega anche con il divieto posto dalle autorità inglesi all’esportazione delle macchine e all’emigrazione di operai e tecnici specializzati negli altri paesi europei.
Le banche hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo industriale in quanto concessero finanziamenti sia ai governi sia ai privati.
Il loro contributo è stato fondamentale nella costruzione delle reti ferroviarie lungo la fase centrale del secolo.
Lo sviluppo dell’industrializzazione ha portato un maggior controllo commerciale nelle diverse nazioni, favorendo la nascita del mercato interno.
In altri termini gli stati cercarono di favorire i prodotti nazionali negli scambi commerciali al loro interno. Eliminarono le eventuali limitazioni legislative al commercio interno e cercarono di evitare l’introduzione di prodotti esteri, adottando tariffe doganali molto alte per le importazioni.
Nel 1814 i vincitori di Lipsia si riuniscono nel congresso di Vienna.
Al congresso, oltre le potenze vincitrici, interviene anche la Francia perché Talleyrand rappresenta il governo di Luigi XVIII che ottiene la partecipazione sostenendo che la Francia era stata danneggiata dalla rivoluzione e da Napoleone.
Al congresso si affermarono due principi fondamentali: il principio di legittimità in base al quale si dovevano ristabilire sui troni d’Europa i sovrani che governavano prima della rivoluzione francese del 1789.
Il secondo era il principio dell’equilibrio, voluto dall’Inghilterra, in base al quale si cercava di controbilanciare il potere dei diversi stati per dare maggiore stabilità e sicurezza all’Europa.
Per questo si decise di frenare ogni possibile espansionismo francese creando ai suoi confini stati più forti.
Si unificarono in un unico regno Olanda Belgio e Lussemburgo, venne rafforzata la Prussia con acquisizione di nuovi territori e l’Austria estese i suoi domini in Italia e nella penisola balcanica.
In Italia si formò il regno del Lombardo Veneto affidato a un viceré austriaco e l’Austria di fatto controllava l’intero paese perché aveva legami dinastici con le principali case regnanti.
La Russia rafforzò la sua influenza con l’annessione della Polonia orientale e il controllo del residuo regno polacco. Lo zar si fece interprete al congresso anche dell’esigenza di stabilità e sicurezza in Europa mediante il principio dell’intervento che prevedeva un aiuto vicendevole dei sovrani per salvaguardare la pace e i valori tradizionali dell’Europa.
Per questo nel 1815 costituì la Santa Alleanza assieme all’Austria e alla Prussia.
L’Inghilterra non aderì a questo trattato che aveva nella parte teorica affermazioni contrarie al suo liberalismo. Aderì invece alla Quadruplice Alleanza, inizialmente antifrancese, con Austria, Prussia e Russia che diventò Quintuplice dopo l’ammissione della Francia nel 1818 al congresso di Aquisgrana.
Con il congresso di Vienna si inaugura quella che gli storici chiamano età della restaurazione.
In realtà non era possibile restaurare il passato cancellando la rivoluzione francese e l’età napoleonica e pertanto questo tentativo si può considerare come uno sforzo per cercare di riaffermare i governi precedenti. L’Austria attuò una rigida centralizzazione amministrativa e garantì l’ordine interno con una efficace forza di polizia che controllava tutto il complesso territorio dell’Impero, suddiviso in diverse nazionalità in Serbia, Croazia, Ungheria e Lombardo-Veneto.
In Germania la Prussia era lo stato principale ed era antagonista dell’Austria che aveva la presidenza della confederazione germanica.
La Russia era il paese più arretrato d’Europa.
La borghesia aveva un ruolo nella cultura ma la proprietà della terra restava nelle mani della nobiltà.
C’era una corrente che premeva per una occidentalizzazione e una corrente che voleva tenere alte le tradizioni russe.
In Francia Luigi XVIII concesse una costituzione.
I cittadini potevano eleggere la camera bassa mentre la camera alta era nominata dal re e i suoi membri potevano lasciare il loro seggio ai figli.
Il diritto di voto era concesso a un minoranza anche se c’era libertà di parola e di stampa.
In Inghilterra non si può parlare di restaurazione perché il liberalismo inglese era contrario ai principi della Santa Alleanza e riteneva ingiusto intervenire nelle altre nazioni per fermare le rivoluzioni in atto.
Nel 1832 venne attuata una riforma che dava maggior peso nell’organizzazione dei collegi elettorali alle città.
Il diritto di voto era comunque riservato solo a chi aveva una buona posizione economica.
La vita politica era legata ai due principali partiti che si alternavano al governo.
Ma la ricchezza prodotta nel paese più industrializzato aveva creato un forte squilibrio sociale per le condizioni molto difficili delle classi popolari e degli operai.
Quando Napoleone viene sconfitto a Lipsia nel 1814 le grandi nazioni europee si riuniscono a Vienna per eliminare i cambiamenti che Napoleone aveva fatto in Italia e in Europa.
L’obiettivo d era quello di riportare l’Europa alla situazione che precedeva Napoleone.
In realtà non era così semplice e soprattutto non sempre questo principio venne applicato.
Per garantire l’equilibro tra le diverse nazioni ci furono modifiche importanti nella geografia politica europea. L’Italia infatti non verrà riportata alla situazione che precedeva l’arrivo di Napoleone nel 1796.
Due repubbliche importanti come Genova e Venezia non avranno più la loro indipendenza.
La repubblica di Genova verrà unita al Piemonte per rafforzare il regno di Sardegna sul confine francese.
La repubblica di Venezia, invece, era stata unita alla Lombardia per formare il Regno Lombardo-Veneto.
La Lombardia era stata restituita agli Austriaci che hanno mantenuto anche il Veneto perché così controllavano tutto il territorio che andava da Milano sino ai confini dell’Impero d’Austria.
Ma gli austriaci non solo hanno aggiunto il Veneto ma controllano praticamente tutti gli altri stati italiani.
Maria Luisa d’Austria, la moglie di Napoleone, aveva avuto il ducato di Parma ed essendo la figlia dell’imperatore austriaco Francesco I aveva strettissimi legami con l’Austria.
Lo stesso discorso vale per il ducato di Modena.
Il duca Francesco IV d’Este era infatti legato da stretta parentela con la casa regnante in Austria.
Nel granducato di Toscana con Ferdinando III rientrano gli Asburgo Lorena che già regnavano sul ducato prima della conquista napoleonica.
Questa dinastia, nel settecento, aveva dato alcuni imperatori all’Austria e dunque era anche questa vicinissima all’attuale imperatore.
Ma l’Austria influenzava anche gli stati dove non c’erano dinastie legate al suo imperatore.
Aveva un grande influsso sullo Stato della Chiesa, dove c’era ancora Pio VII, e sul Regno di Napoli che aveva cambiato nome ed era diventato Regno delle due Sicilie. Ma in effetti Ferdinando I, re delle due Sicilie, era stato sposato con Maria Carolina, figlia di Maria Teresa d’Austria, sino alla morte di lei nel 1814.
Inoltre la figlia di Ferdinando I e Carolina era stata la seconda moglie di Francesco I, attuale Imperatore d’Austria.
Come si vede, se si esclude il Regno di Sardegna, tutto il resto dell’Italia era sotto il controllo dell’Austria che aveva imposto un clima molto duro contro tutte le forme di partecipazione democratica e di liberalismo sviluppate negli anni delle repubbliche napoleoniche.
Il controllo politico voluto dal congresso di Vienna impediva ogni dibattito sulla situazione delle singole nazioni e vide la nascita di diverse società segrete che crearono una rete clandestina per sfuggire al controllo delle polizie europee.
Oltre la massoneria ebbe un ruolo di primo piano soprattutto la Carboneria, diffusa particolarmente in Italia e Spagna, così chiamata perché tra affiliati si usavano per comunicare gli stessi termini delle rivendite di carbone.
Proprio in Spagna il malcontento per la restaurazione ha visto il primo moto di protesta organizzato dalla Carboneria che chiedeva una costituzione, grazie a un gruppo di ufficiali spagnoli a Cadice nel gennaio del 1820.
Il loro esempio fu seguito anche in Italia ma tutti i moti si risolsero con un insuccesso grazie agli eserciti della Santa Alleanza.
Solo la Grecia riuscì a portare sino in fondo l’insurrezione coordinata dalla società segreta Eteria nel 1821, ma non per la capacità delle società segreta quanto per l’intervento delle grandi potenze, preoccupate del peso della Russia sulla questione greca e interessate ad avere un ruolo importante nel’area balcanica dove l’Impero Ottomano era in crisi.
La Grecia ottenne dunque l’indipendenza nel 1829 e successivamente le grandi potenze le diedero un sovrano tedesco che non concesse alcuna costituzione.
Inoltre, questo conflitto mostrava le contraddizioni della Santa Alleanza in quanto aveva mostrato la diversità di interessi di Russia e Austria entrambe interessate alla supremazia nell’area balcanica.
La restaurazione finisce con le trasformazioni determinate dalle rivoluzioni del 1830, a partire dalla Francia.
Il regno di Carlo X si conclude con l’insurrezione del luglio che protestava perché il sovrano aveva sciolto il parlamento e abolito la libertà di stampa.
Al suo posto venne insediato Luigi Filippo d’Orleans che concesse maggiori libertà politiche.
Dietro la Francia si mosse il Belgio che insorse per l’indipendenza nazionale, visto che era stato inserito in un regno con l’Olanda da cui era diviso per lingua religione e tradizioni.
Grazie al sostegno francese nasce un regno indipendente sotto Leopoldo I.
Anche la Polonia cercò di ottenere l’indipendenza nazionale dalla Russia ma lo zar intervenne con durezza e nessuno sul piano internazionale sposò la causa polacca.
In effetti il Belgio indipendente era utile ai francesi che non avevano più sul confine settentrionale un regno così esteso come deciso dal congresso di Vienna.
Con questi avvenimenti l’ordine voluto a Vienna veniva messo definitivamente in crisi e finiva l’età della restaurazione.
Durante l’epoca della restaurazione nel Regno del Lombardo-Veneto, unito all’Impero austriaco, c’era un’intensa attività culturale.
Nel 1818 veniva fondata la rivista “Il Conciliatore” che mirava alla divulgazione dei nuovi metodi in agricoltura e nelle varie attività manifatturiere.
La rivista era stata fondata da un patriota lombardo, Federico Confalonieri, assieme ad altri scrittori lombardi ma anche piemontesi come Silvio Pellico.
La rivista si occupava non solo degli argomenti descritti ma dava spazio anche a temi che si richiamavano ai valori patriottici di libertà e indipendenza.
Molti dei suoi collaboratori finirono successivamente nelle carceri austriache.
Nel Regno delle due Sicilie non c’era la possibilità di fondare riviste e pertanto i patrioti e la borghesia del Regno comincia a far nascere la società segreta chiamata Carboneria.
L’associazione aveva un’organizzazione molto particolare, infatti solo i capi conoscevano tutti gli obiettivi dell’associazione per non rischiare di far scoprire i piani stabiliti e i nomi degli affiliati.
Proprio per evitare di essere scoperti i Carbonari avevano adottato un linguaggio segreto usando tutti i termini legati al commercio del carbone.
Il carbone era utilizzato molto più di oggi ed era di uso comune.
I carbonari perciò si chiamavano tra di loro buoni cugini e chiamavano le loro sedi vendite o baracche.
La carboneria partendo dal Regno delle due Sicilie si diffuse in tutta Italia e fu alla base delle prime insurrezioni italiane nel 1820-21 e nel 1830.
Dopo la rivolta scoppiata in Spagna nel gennaio del 1820, un gruppo di ufficiali del Regno delle due Sicilie, guidati da Morelli e Silvati, insorge e chiede al re Ferdinando I la costituzione.
Le elezioni per il parlamento vedono una grande affluenza ma presto il re sollecita l’intervento degli austriaci che mette fine alla rivoluzione.
Anche in Piemonte era scoppiata un’insurrezione guidata da un gruppo di nobili, capeggiati da Santorre di Santarosa, che per la prima volta parlano di indipendenza dell’Italia settentrionale e chiedono l’adesione del re alle loro idee.
A Milano non ci fu il tempo di far scoppiare l’insurrezione perché la polizia austriaca arresta i patrioti considerati più pericolosi come Pellico, Confalonieri e Maroncelli.
La sconfitta di tutte queste insurrezioni lascia il posto a una riflessione da parte dei patrioti sui metodi adottatati sin qua e sugli obiettivi che si erano prefissati.
Ci si rende conto del fatto che le stesse società segrete non riuscivano ad essere utili per sensibilizzare il popolo.
Dopo l’indipendenza, nei primi decenni dell’ottocento gli Stati Uniti cominciarono ad estendersi.
Questa espansione spostava la frontiera dello stato sempre più verso il lontano ovest, il far west.
Non si trattava solo di un avanzamento territoriale ma di un atteggiamento che influì fortemente sulla mentalità della società americana.
Il desiderio di avventura, la capacità di rischiare e di confrontarsi con un ambiente naturale spesso difficile si identificavano con lo spirito di frontiera che rendeva aperta e dinamica la società americana.
Già prima dell’indipendenza negli stati più a sud si praticava lo schiavismo nelle grandi piantagioni.
Man mano che avanzava la frontiera gli stati schiavisti aumentavano di numero e nel 1820 si stabilì che lo schiavismo non poteva essere praticato a nord del 36° parallelo.
La democrazia americana si rafforzava con il presidente Jackson mentre in politica estera un altro presidente, Monroe, affermò il principio: l’America agli americani che sanciva la non ingerenza europea nelle questioni americane e metteva le basi per la supremazia degli Stati Uniti sul resto delle Americhe.
In America latina già da tempo i discendenti degli spagnoli chiedevano l’indipendenza ma questa possibilità si aprì solo dopo il 1815 quando il movimento si rafforzò sotto la guida di José di San Martin in Argentina e di Simòn Bolìvar in Venezuela.
Partendo dalle loro nazioni entrambi contribuirono all’indipendenza delle altre colonie spagnole sudamericane.
Ma il sogno di Bolivar di fondare gli stati uniti del Sudamerica non si realizzò.
Anche il Brasile nel 1822 ottenne l’indipendenza dal Portogallo diventando un impero sotto un membro della stessa dinastia portoghese e trasformandosi successivamente, nel 1889, in una repubblica federale.
In Messico la lotta indipendentista comincia nel 1810 e assume una forte spinta sociale perché chiedeva l’uguaglianza per gli Indios e la restituzione di tutte le loro terre.
Il movimento guidato da un sacerdote cattolico si estese nelle province ma non riuscì a conquistare la capitale per l’intervento dell’aristocrazia, spaventata dalle rivendicazioni sociali, che affiancò gli spagnoli.
Dopo la sconfitta di questo movimento sarà la stessa aristocrazia ad ottenere l’indipendenza nel 1821.