Dilthey Wilhelm
Nato a Biebrich (Wiesbaden) il 19 novembre 1833 e morto a Siusi (Bolzano) il I ottobre 1911. Studiò a Berlino storia, filosofia e teologia e insegnò nelle università di Basel, Kiel, Breslavia e dal 1882 1905 a Berlino, dove succedette a H. Lotze. Dilthey è autore di numerose e importanti opere di storiografia, tra le quali spiccano: Leben Schleiermachers (Vita di Schleiermacher, 1870); Die Jugendgeschichte Hegels (La storia del giovane Hegel, 1905); Das Erlebnis und die Dichtung (Esperienza vissuta e poesia, 1906). Mentre gli scritti filosofici più significativi sono: Einleitung in die Geisteswissenschaften (Introduzione alle scienze dello spirito, 1933); Ideen zu einer beschreibenden und zergliedernden Psychologie (Idee per una psicologia descrittiva e analitica, 1894); Beitrage zum Studium der Individualitat (Contributi allo studio dell'individualità, 1896); Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften (La struttura del mondo storico nelle scienze dello spirito, 1910). Di lui sono rimasti inoltre numerosi inediti, la cui pubblicazione non è ancora conclusa. Ispirandosi a Kant, Dilthey cerca le condizioni che rendono possibile l'esperienza e la conoscenza storica mediante una critica della ragione storica, intesa come fondazione delle scienze dello spirito e demarcazione tra la loro forma di sapere e quello delle scienze della natura. Nella Introduzione alle scienze dello spirito (1883), Dilthey afferma che nelle scienze dello spirito non si dà una distinzione netta di soggetto e oggetto come nelle scienze naturali, perché il soggetto conoscente appartiene allo stesso mondo storico-sociale, oggetto delle proprie indagini. Inoltre, nelle scienze dello spirito non si può introdurre il concetto di causalità come nella meccanica classica ma si deve partire da uno schema teleologico come quello rappresentato dalle categorie di motivo, scopo e valore. Per questo Dilthey considera la psicologia filosofica - intesa come psicologia descrittiva e analitica capace di cogliere la struttura e lo sviluppo della vita psichica come totalità - come lo strumento principale per spiegare i processi conoscitivi in atto nelle scienze dello spirito. Per Dilthey la conoscenza storica si attua grazie all’analogia esistente tra la vita psicologica individuale e la vita del mondo storico-sociale. Successivamente Dilthey ha modificato la sua impostazione riconoscendo, sulla scia di Husserl, un contenuto oggettivo alle nostre rappresentazioni mentali non riconducibile alle strutture psichiche soggettive. Abbandonata la gnoseologia psicologica, egli teorizza una visione ermeneutica del comprendere, soprattutto nel saggio Die Entstehung der Hermeneutik (La genesi dell'ermeneutica, 1900), dove la comprensione storica è intesa come conoscenza di espressioni vitali fissate in testi e documenti. La comprensione è fondata sulla constatazione che la vita cosciente è in grado di conoscere manifestazioni passate della vita stessa grazie cioè al vissuto individuale (Erlebnis). Qui si trova la peculiarità del problema ermeneutico: la comprensione è possibile solo sul fondamento della circolarità di comprensione, vita ed espressione grazie a quell'autocomprensione di cui la vita è capace. Perciò il circolo ermeneutico pone al centro il vissuto individuale grazie al quale siamo in grado di comprendere a posteriori espressioni vitali oggettivate ed estranee, a partire dall’autocoscienza del vissuto propria di ciascuno. Dunque il comprendere si propone nell'ultimo Dilthey come la condizione ontologica dell'ermeneutica, a partire da una ontologia della vita. L’ontologia ermeneutica della vita si propone quale principio di comprensione della condizione storica del mondo umano e quale fondamento delle scienze dello spirito.STUDI: P. ROSSI, Lo storicismo tedesco contemporaneo, Einaudi, Torino 1971; A. MARINI, Alle origini della filosofia contemporanea: W. Dilthey, La Nuova Italia, Firenze 1984; G. CACCIATORE-G. CANTILLO, W. Dilthey. Critica della metafisica e ragione storica, Il Mulino, Bologna 1985; F. BIANCO, Introduzione a Dilthey, Laterza Bari 1985.
Durkheim Émile
Nato a Épinal nel 1858 e morto a Paris nel 1917. Laureato in lettere all’École Normale Superieure, ebbe un soggiorno di studio in Germania e al suo rientro cominciò il suo insegnamento nei licei, prima di essere nominato professore a Bordeaux e successivamente alla Sorbonne a partire dal 1902, dopo aver fondato, nel 1897, l'«Année sociologique». Opere principali: De la division du travail social, 1893; Les règles de la méthode sociologique, 1894; Le suicide, 1897; La prohibition de l'inceste, 1897; Les formes élémentaires de la vie religieuse, 1912; Le système totemique en Australie, 1912; Détermination du fait moral, 1906; Jugements de valeur et Jugements de réalité, 1911; Sociologie et philosophie, 1924; L'éducation morale, 1925. Durkheim sviluppa la sua teoria partendo dalla critica di Comte e Spencer che costruivano la loro indagine sociale partendo dall’idea di leggi universali giustificate da una metafisica di tipo progressivo evoluzionistico. Per Durkheim, la sociologia è scienza in quanto identifica il proprio oggetto con i fatti sociali. Prendendo in esame l'azione coercitiva che il costume, il rito o la norma giuridica esercitano sull'individuo considerava i fatti sociali come una sintesi dei diversi fattori individuali ma dotata di caratteri differenti dai singoli individui. La sociologia scientifica si delineava disciplina dedita alla descrizione e alla spiegazione di fenomeni effettivamente osservabili. Fenomeni dunque non di natura psichica interiore ma tipi ideali esteriori che hanno un significato coercitivo in quanto valori condivisi in una società data. Perciò si rende necessario abbandonare l’analisi ideologica della famiglia e del diritto o della proprietà e avvicinarne il tipo sociale attraverso la rilevazione rigorosa degli elementi ricorrenti che la costituiscono. Un’impostazione che poneva in discussione il concetto di causa, il ruolo dei fattori ecologici e razziali e i rapporti tra l'indagine sociale e l'etica. Infatti, come il fenomeno sociale sfugge al dominio della fisica e della biologia, così i valori non dipendono principalmente dall'ambiente e dai bisogni individuali ma hanno la loro origine nella società. Questo aspetto assiologico della società è descritto da Durkheim come solidarietà, distinta in organica e meccanica. La solidarietà meccanica è quella dei rituali sociali più elementari e ripetitivi ed è propria delle società preindustriali. Mentre la solidarietà organica è quella che nasce in un patrimonio sociale complesso dove i valori collettivi sono controbilanciati da un patrimonio individuale o di gruppi ristretti che deve essere armonizzato in continuazione per evitare il fenomeno dell’anomia. di Secondo la definizione coniata dallo stesso Durkheim, l’anomia è una crisi dei valori sociali che genera una rottura della solidarietà tra individui e conduce all’assenza di legami interindividuali, manifestando uno stato di patologia sociale che incentiva quei fattori di disgregazione sociale, come il suicidio, più frequenti nelle accelerazioni imposte dalla modernità alla convivenza, come Durkheim stesso aveva dimostrato nell'opera dedicata allo studio del problema. Per questo motivo Durkheim critica sia la posizione liberista di Comte e Spencer sia l’eccessiva coercizione sociale di Marx e si dichiara a favore di una limitazione degli effetti sociali del liberismo attraverso l'incentivazione della cooperazione, restituendo un ruolo centrale alla religione come fattore socialmente determinante per ritrovare un comune sentire morale. Con questa impostazione metodologica Durkheim apre la strada al dibattito sulle scienze sociali di fine ottocento che troverà nello storicismo tedesco, e particolarmente in Max Weber, uno dei teorici più lucidi.
Studi: A. IZZO, Durkheim, Il Mulino, Bologna 1980; A. SCIVOLETTO, Il metodo sociologico di Émile Durkheim, Angeli, Milano 1970; H.SCHOEK, Storia della sociologia, Borla Roma 1980.
Weber Max
Nato a Erfurt nel 1864 e morto a München nel 1920. Dopo un intenso corso di studi, dove studiò soprattutto discipline giuridiche economiche e storiche, conseguì il dottorato nel 1889 con la dissertazione, Zur Geschichte der Handelsgesellschaften im Mittelalter, Stuttgart 1889, e ottenne la libera docenza nel 1892 con uno studio sulla storia economico sociale dell’antica Roma, Die römische Agrargeschichte in ihrerBedeutung für das Staatund Privatrecht, ivi 1891, trad. it., Milano 1967. Nel 1894 fu nominato docente di economia politica a Freiburg i. Br. e nel 1896 venne chiamato dall'Università di Heidelberg. Intanto aveva aderito all'«Unione per la politica sociale» che, a causa degli aderenti, era nota anche col nome di «socialisti della cattedra». Si allontanò dall’Unione a causa delle polemiche suscitate dalle posizioni teoriche da lui espresse circa l’avalutatività delle scienze sociali. L’anno dopo la sua nomina ad Heidelberg, Weber dovette lasciare il suo incarico per circa sei anni, a causa di una grave forma di depressione. Nel 1904 riprese l’attività scientifica e politica, candidandosi senza successo per il parlamento e fondando con Sombart la rivista «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik» [Archivio di scienze sociali e politica sociale]. Nel 1910 è tra i fondatori della Società sociologica tedesca. Nel primo dopoguerra, fece parte della delegazione tedesca a Versailles e fu tra gli estensori della costituzione della Repubblica di Weimar. Riprese anche per breve tempo l’insegnamento a Wien e München. L’opera di Weber ha assunto un’importanza storica crescente in almeno tre settori fondamentali. In primo luogo sul piano della riflessione critica sulla metodologia delle scienze sociali, in secondo luogo sul rapporto etica e storia e, infine, nello sviluppo della sociologia della religione. Un primo elemento di valutazione dell’apporto di Weber è offerto dal dibattito sulle scienze storico sociali così fortemente sviluppato nella cultura tedesca a cavallo tra otto e novecento. I riferimenti fondamentali sul problema erano per Weber l’opera di Dilthey e la proposta di tradizione neokantiana offerta dalla “Scuola del Baden” di Windelband e Rickert. Schierandosi su posizioni affini a questa scuola, Weber critica la metodologia di Dilthey che faceva dell’immediatezza psicologica del comprendere storico una formulazione conoscitiva ancora fortemente impregnata dei presupposti organicisti del romanticismo. Per Weber l’alternativa tra spiegare e comprendere proposta da Dilthey è uno spartiacque ancora troppo fragile per cogliere la specificità delle scienze sociali. Le scienze sociali si distinguono dalle altre semplicemente per il loro orientamento metodologico verso l’individuale, pertanto il comprendere che è loro proprio non può essere legato al vissuto psicologico dello storico ma deve tradursi in spiegazioni oggettive di tipo causale. Questa impostazione comporta però in Weber una serie di precisazioni importanti che lo allontanano anche dalla Scuola del Baden. Il presupposto comune era offerto dalla distinzione tra giudizio di valore e relazione ai valori. Il giudizio di valore è infatti un modello deontologico che non può appartenere alle scienze ma che è proprio piuttosto della politica. Lo scienziato non deve esprimere giudizi di valore sull'oggetto delle sue ricerche, sebbene tutta la sua attività si orienta a partire da valori presenti nella sua realtà storica. In poche parole, l’avalutatività delle scienze non significa un’affermazione di principio di neutralità dello scienziato ma piuttosto il riconoscimento della storicità situata delle sue ricerche. La relazione ai valori rappresenta il punto di partenza soggettivo delle scienze ma non ne svilisce i risultati in quanto lo scienziato storico sociale deve cercare di trovare una serie di spiegazioni plausibili per i fatti storici da lui isolati e organizzati in un insieme coerente. L'oggettività dei risultati non è dunque nella neutralità di principio della ricerca né in un sistema positivistico evoluzionistico di causalità necessarie ma in una coerente e plausibile organizzazione dei fatti storico sociali trattati a partire dalla serie di condizioni ritenute più coerenti nello spiegare un evento determinato. Ma affianco a questa lettura delle scienze storico sociali, Weber riconosce che nessun avvenimento individuale può essere ricostruito senza una comprensione più generale dei fenomeni sociali trattati. A questo servono le discipline teoriche delle scienze sociali che, attraverso un sistema esplicativo fatto di regole e concetti generali, offrono i termini euristici per la spiegazione degli eventi individuali. Queste teorie sono definite da Weber come «tipi ideali», cioè elementi esplicativi che devono offrire un quadro adeguato e coerente della serie cause degli eventi, tale da poter rendere intelligibili i fatti individuati dal ricercatore. Rispetto a questo quadro di riferimento gioverà ricordare che Weber durante il primo conflitto mondiale ha ulteriormente approfondito la sua concezione metodologica, approfondendo le implicazioni della sua teoria dell’avalutatività in chiave soprattutto etica. Nell’immediato dopoguerra Weber scriverà che i valori non sono dati in modo assoluto e definitivo e che la loro validità è subordinata alla loro effettiva realizzazione, sempre subordinata ai conflitti che le diverse sfere di valori creano nel loro reciproco confrontarsi. Un’antitesi alla quale non sfugge nemmeno la disciplina princeps del valore, l’etica, sempre dibattuta tra l’intenzionalità dell’agire e la sua responsabilità. In tal senso la relazione ai valori è sempre una relazione problematica legata alla scelta che ciascuno compie e che ha come conseguenza prioritaria la gerarchizzazione dei valori, la subordinazione di certi valori rispetto ad altri ritenuti più fondamentali. In tal senso la scienza si pone su un piano diverso da quello dei valori perché essa è interessa a capire come certi eventi si sviluppano e in questo può aiutare ad impostare le scelte etiche in modo più incisivo. La scienza è avalutativa non perché sia contro i valori ma perché il suo compito è quello di determinare le condizioni per mezzo delle quali certi valori possono essere realizzati. Sempre approfondendo le implicanze metodologiche dei primi saggi Weber sviluppa la sociologia e particolarmente la sociologia della religione. Il primo presupposto di questa disciplina è da ritrovare nella polemica di Weber con il determinismo materialistico del marxismo a cui rimprovera l’unilateralità causale nella spiegazione dei fenomeni sociali, sempre riportati dalla metodologia materialistica alle basi economiche dei rapporti sociali. Per Weber l’economia è solo uno degli aspetti costituivi di un fenomeno sociale e che assieme alle basi materiali è necessario ammettere una mentalità particolare in base alla quale si muove tutto l’insieme sociale. Di questa riflessione si trova un primo significativo approccio nei saggi dedicati all’analisi del capitalismo moderno dove Weber considera la moderna mentalità positiva verso la ricchezza, fortemente caratterizzata dall’etica calvinista. Da qui prende piede un’analisi comparata di sociologia della religione che va a studiare il rapporto tra differenti religioni e mentalità etica ed economica. Questa impostazione andrà ulteriormente affinandosi nei saggi successivi e in quelli pubblicati postumi nei quali Weber metterà ancor più a fuoco le peculiarità della sociologia, sganciandola da quella sorta di ancillaggio verso la storia a cui era stata in parte costretta dalla teoria dei tipi ideali. In questa nuova luce anche le analisi di sociologia della religione tendono a mettere meglio a fuoco i rapporti tra strutture economiche e altri aspetti della vita sociale, tentando di dare a ciascuna concausa un ruolo più autonomo.
BIBLIGRAFIA. OPERE: Die «Objektivität» sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis, 1904, trad. it. L’obiettività della conoscenza delle scienze sociali e della politica sociale, in P.ROSSI (a cura di), Il metodo delle scienze storico sociali, Torino 1958; Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, 1904-05, trad. it. L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Roma 1945; Die protestantischen Sekten und der Geist des Kapitalismus, 1906, [Le correnti protestanti e lo spirito del capitalismo]; Die Wirtschaftsethik der Weltreligionen, 1915-1919; [L’etica economica delle religioni mondiali]; Über einige Kategorien der verstehenden Soziologie, 1913, trad. it., Su alcune categorie della sociologia comprendente, in P.ROSSI (a cura di), Il metodo delle scienze storico sociali, op. cit.; Der sinn der «Wertfreiheit» der soziologischen und ökonomischen Wissenschaften, 1917, trad. it., Il senso della «avalutatività» delle scienze sociali ed economiche, in P.ROSSI (a cura di), Il metodo delle scienze storico sociali, op. cit.; Wissenschaft als Beruf [La scienza come professione] e Politik als Beruf [La politica come professione], 1919, trad. it. in., Il lavoro intellettuale come professione, Torino 1948; Wirtschaft und Gesellschaft, 1922 (postuma), trad. it., Economia e società, Milano 1961.
STUDI: Sul ruolo di Weber nello storicismo tedesco, P. ROSSI, Lo storicismo tedesco contemporaneo, Einaudi, Torino 1956, 21971; una prima introduzione al suo pensiero con biografia e bibliografia in ID. Lo storicismo tedesco, Utet, Torino 1977, pp. 541-554; L. CAVALLI, Max Weber, religione e società, Il Mulino, Bologna 1968; N.M. DE FEO, Introduzione a Weber, Laterza, Roma-Bari 1973.