Figlio di Luigi XIII e di Anna d’Austria, Luigi XIV, passato alla storia come Re Sole, a soli cinque anni di età divenne il sovrano di venti milioni di sudditi. Era il 1643. In nome della sua minore età, come d’uso, la madre assunse la reggenza al fianco dell’abile primo ministro, il cardinale italiano Giulio Mazarino. Non era un momento facile per il regno francese, stremato dalle spese sostenute per una politica estera condotta all’insegna della lotta agli Asburgo e per gli sperperi della corte. Il carico fiscale sui sudditi cresceva e così pure l’insoddisfazione popolare. Nel 1647 i funzionari si opposero con decisione ai provvedimenti governativi attraverso il Parlamento di Parigi, che bloccò i decreti regi. La "Fronda parlamentare", a cui seguì poi la "Fronda dei principi", fu una vera e propria rivolta, che mise a repentaglio l’intero apparato statale.
Nell’agosto 1648, dopo che il governo aveva fatto arrestare alcuni membri del parlamento, Parigi insorse e per alcuni giorni si combatté nelle strade della capitale. Mazarino, assieme ai reali, dovette abbandonare Parigi, per un esilio che durerà tre anni. Placatesi le rivolte, non di rado stroncate nel sangue, fuggito a Bruxelles il capo della rivolta nobiliare, il principe di Condé, il re bambino si ristabilì nel 1652 al Louvre. Il palazzo sarà definitivamente abbandonato nel 1682 con il trasferimento della corte e del governo a Versailles. Alla morte di Mazarino nel 1661, Luigi divenne finalmente il re di Francia.
A chi attendeva la nomina di un successore del cardinale egli rispose con decisione: "D’ora in poi sarò io il mio primo ministro". Ridotti gli esponenti dell’antica nobiltà al rango di cortigiani, egli cercò i suoi ministri nella file della borghesia e per essi creò il Consiglio del re; l’ultima parola spettava però sempre a lui. Nessun uomo di Chiesa era membro del Consiglio, che si riuniva la domenica, il lunedì ed il mercoledì, sempre presieduto dal sovrano. Silenzioso e apparentemente apatico, egli aveva in realtà un intimo vigore e smisurate ambizioni. Amava le donne: le sue grandi favorite furono Louise La Vallière, che gli diede quattro figli, la marchesa di Montespan, che ne partorì otto, tutti poi legittimati, e infine Françoise Scarron, nata d’Aubigné e dal re nominata marchesa di Maintenon.
Dalla moglie Maria Teresa d’Asburgo-Spagna ebbe invece un solo erede, la cui nascita fu celebrata con una grandiosa festa. L’avvenente marchesa di Montespan fu per un decennio la favorita del re; ad essa subentrò la marchesa di Maintenon, celebre per la sua devozione religiosa, sposata segretamente da Luigi nel 1684, dopo essere rimasto vedovo della legittima consorte, Maria Teresa d’Asburgo-Spagna. Alla morte del sovrano, il 1° settembre 1715, l’affascinante marchesa si ritirò per sempre nell’abbazia di Saint-Cyr, dove morì quattro anni più tardi. Luigi XIV fu veramente il Re Sole, la luce dominante al centro di un mondo che da lui prendeva vita e attorno a lui si muoveva. La sua persona era stata oggetto di un vero e proprio culto da parte di una folla di cortigiani che si assiepava nei palazzi di Versailles. Con lui il processo di formazione dello stato assoluto giunse alla sua più alta affermazione.
Durante l’epoca di Luigi XIV, la Francia conobbe uno dei momenti di maggiore espansione coloniale. L’intraprendenza francese nella conquista di nuovi mercati al di là dell’Europa era già stata avviata dalla politica economica del cardinale Richelieu, il quale aveva creato imprese privilegiate per il commercio come la Compagnia del levante, per il traffico nei paesi musulmani, la Compagnia della Nuova Francia (1628), per la colonizzazione del Canada, e la Compagnia dell’Africa Occidentale (1626).
Il primo ministro Colbert proseguì nell’impresa di emancipazione economica della nazione, creando la Marina Mercantile e le due Compagnie delle Indie Occidentali e Orientali (1664), con cui lo stato si innalzò al livello delle altre grandi potenze marittime. Sino dall’inizio del Seicento, i francesi avevano organizzato i primi insediamenti sul continente americano, soprattutto nel Mar dei Caraibi e nel nord. Le isole di Martinica e di Guadalupa furono occupate da basi francesi, così come la parte occidentale di Santo Domingo e della Caienna, situata nell’odierna Guyana. Nel 1605, fu istituita la prima colonia canadese, Port Royal, seguita da Québec e da Montréal, da dove partì l’espansione verso il lago Ontario.
Il viaggio compiuto da René de La Salle, tra il 1678 ed il 1682, dal fiume San Lorenzo alle cascate del Niagara e da qui attraverso i Grandi Laghi lungo il corso del Mississippi fino alla sua foce, permise la fondazione della colonia della Louisiana. Nel continente africano, la prima colonia francese fu stabilita nel 1626 alla foce del fiume Senegal.
Più tardi fu la volta del Madagascar, che rappresentava un’ottima base per le tappe delle navi in rotta di navigazione verso l’Oriente, e delle Isole di Reunion. All’inizio del Settecento, la presenza francese in America del Nord si rafforzò grazie alla fondazione di Detroit e di Nouvelle Orléans. Tuttavia, la popolazione insediata sull’immenso territorio era assai poco numerosa ed i coloni si dedicavano soprattutto alla caccia e al commercio delle pelli più che all’agricoltura, come avveniva nelle colonie delle altre nazioni.
I continui conflitti tra la Francia e l’Inghilterra, che segnarono la storia europea del XVIII sec., si ripercossero potentemente sul continente americano. La Guerra dei Sette Anni troncò definitivamente le ambizioni francesi in America. A seguito del Trattato di Parigi del 1763, infatti, la Francia perdette il Canada, ad iniziare dalla città di Québec, fondata in una posizione strategica dall’esploratore Samuel de Champlain nel 1608. La Louisiana fu invece affidata alla Spagna, che cedette, in cambio, all’Inghilterra la Florida. Il conflitto anglofrancese si estese anche all’India. Grazie all’impiego di milizie formate da indigeni e all’appoggio dei maragià locali, l’Inghilterra ebbe la meglio sui suoi avversari: la Compagnia francese delle Indie poté conservare i suoi possedimenti, ma le fu proibito di fortificare le proprie basi. La Rivoluzione francese, scoppiata nel 1789, mise fine alla mire espansionistiche della nazione. Dopo il 1794, il governo del paese tentò di riallestire una flotta moderna, ma il dominio dei mari era ormai passato agli inglesi
Se il regno di Luigi XIV aveva segnato l’apogeo della monarchia francese, il XVIII secolo vide il suo declino e la sua caduta. La Reggenza di Filippo duca d’Orléans (1715-1723) conobbe il rilassamento dei costumi e dell’autorità. Luigi XV (1710-1774), detto il Beneamato, non mantenne a lungo questo appellativo. L’influenza delle favorite, infatti, intralciò il lavoro dei ministri e discreditò il potere reale: Madame de Pompadour o la Du Barry governarono infatti più volte la volontà di Luigi XV. Malgrado la vittoria francese, la guerra per la successione austriaca (1740-1748) si chiuse con una pace deludente. La situazione andò peggiorando progressivamente.
Le disfatte della Guerra dei Sette Anni contro la Prussia e l’Inghilterra costarono alla Francia i territori indiani e il Canada.
Luigi XVI (1774-1793) si impegnò nella via delle riforme, ma si scontrò con l’opposizione delle classi privilegiate e non ebbe l’energia per mantenere il potere, nonostante i consigli di ministri "illuminati" come Turgot (1727-1781) e Necker (1732-1804). Le difficoltà finanziarie si accrebbero enormemente e provocarono la convocazione degli Stati Generali.
La nobiltà francese del Settecento si suddivideva in "nobiltà di spada" ed in "nobiltà di toga". Alla prima, la noblesse d’epée, appartenevano i membri delle grandi casate, che avevano avuto origine in epoca medioevale. Orgogliosi di appartenere ad una casta di pochi privilegiati, spesso nutrivano un profondo disprezzo nei confronti dei parvenus, coloro cioè che solo dietro un ingente pagamento di denaro avevano potuto accedere al titolo. Erano questi gli appartenenti alla nobiltà di toga, la noblesse de robe, instauratasi sin dalla fine del XVI sec. Certamente ricchi, tanto da potere pagare altissime somme di denaro, essi erano per lo più borghesi che, avendo acquistato un terreno o occupato un incarico statale al quale era legato un titolo nobiliare, avevano assunto il titolo stesso, tramandandolo ai loro discendenti.
Il dispotismo illuminato fu materia di controversia fra gli illuministi. Diderot e Paul d’Holbach (1723-1789) affermavano che il popolo aveva diritto di governarsi attraverso i propri rappresentanti.
Charles de Montesquieu sosteneva che, per garantire la libertà del cittadino, era necessaria la "divisione dei poteri": i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario dovevano essere esercitati da tre diversi organi, indipendenti l’uno dall’altro.
Riuniti nelle stesse mani infatti aprivano la strada ad ogni abuso, privando il cittadino della propria libertà. Jean-Jacques Rousseau affermava che lo stato era nato dalla necessità dell’uomo di unirsi agli altri, legandosi tramite un "contratto sociale". Tutti gli uomini erano uguali e ogni decisione che interessava la comunità doveva essere presa da tutti gli uomini collettivamente.